Pensione, stop all’aumento dell’età ma non per tutti: le ipotesi in campo

Francesco Rodorigo - Pensioni

L'aumento dell’età pensionabile potrebbe scattare dal 2027 ma non per tutti. Una delle ipotesi allo studio salverebbe chi ha già compiuto i 64 anni

Pensione, stop all'aumento dell'età ma non per tutti: le ipotesi in campo

Dal 2027 scatterà l’aumento dell’età pensionabile, dai 67 anni attuali si passerà a 67 anni e tre mesi.

L’aumento, già certificato dall’Istat, ci sarà a meno di un intervento da parte del Governo, il che richiederebbe un cospicuo impiego di risorse: circa 3 miliardi secondo le stime della Ragioneria generale dello Stato.

Anche per questo motivo i tecnici stanno vagliando ipotesi alternative al blocco totale. Tra queste la possibilità di bloccare l’aumento solo per una parte dei futuri pensionati e pensionate, in particolare per chi nel 2027 ha già compiuto i 64 anni d’età.

Pensione, stop all’aumento dell’età ma non per tutti: le ipotesi in campo

Con l’aumento della speranza di vita in Italia si prospetta anche un incremento dei requisiti per andare in pensione.

Dal 2027, secondo quanto già certificato dall’Istat, l’età pensionabile salirà di tre mesi: per andare in pensione serviranno quindi 67 anni e 3 mesi. Per l’accesso alla pensione anticipata, invece, i requisiti passerebbero a 43 anni e 1 mese di contributi per gli uomini, e a 42 anni e 1 mese per le donne, a prescindere dall’età anagrafica (oggi 42 anni e 10 mesi, un anno in meno per le donne).

Da mesi alcuni esponenti della maggioranza, in particolare della Lega, assicurano che l’aumento sarà bloccato ma ancora non c’è nulla di certo. La stessa Presidente Meloni a fine settembre aveva precisato che la questione non era ancora stata discussa.

Nessuna traccia di rassicurazioni anche nel DPFP, il documento programmatico di finanza pubblica approvato in Consiglio dei Ministri giovedì scorso che rappresenta la prima pietra della nuova Legge di Bilancio.

Il tema però resta tra i più caldi in vista della Manovra. L’aumento scatterà dal 1° gennaio del 2027, ma il decreto che lo certifica deve essere emanato, per legge, almeno un anno prima, quindi entro la fine del 2025.

Da qui poi si potrà eventualmente decidere di intervenire per bloccarlo, come già accaduto in passato. La neutralizzazione dell’aumento di tre mesi avrebbe però un costo non indifferente: secondo le stime della Ragioneria dello Stato si aggirerebbe attorno ai tre miliardi di euro, una spesa troppo elevata per essere sostenibile.

Anche per questo motivo allo studio del Governo ci sono delle ipotesi alternative al blocco dell’aumento dell’età pensionabile per tutti. Si ragiona, infatti, sul possibile blocco selettivo, cioè prevedere lo sconto di tre mesi per andare in pensione solo a chi al 2027 ha già maturato almeno 64 anni d’età.

In questo modo, l’aumento scatterebbe comunque dal 2027, ma solo per alcuni, e la spesa sarebbe contenuta.

Un’altra delle ipotesi al vaglio è, invece, quella di un incremento graduale. Arrivare, quindi, ai 67 anni e tre mesi aumentando l’età pensionabile anno per anno: di un mese nel 2027, di un altro mese nel 2028 per arrivare quindi a tre mesi dal 2029.

Domani cominceranno le audizioni parlamentari sul DPFP, con Istat, Banca d’Italia, UPB e Corte dei Conti e si comincerà ad avere un quadro più delineato su quella che sarà la prossima Manovra.

I rischi del blocco dell’età pensionabile

Il blocco dell’aumento dell’età pensionabile, sebbene spinto con forza da una parte della maggioranza, non mette tutti d’accordo.

In primo luogo, anche bloccando l’aggiornamento biennale, si rimanderebbe solamente il problema, in quanto dal 2029, se si dovesse mantenere la crescita della speranza di vita (in costante ripresa dopo il covid), si rischierebbe di avere un doppio incremento, derivante dal nuovo aggiornato biennale più il recupero di quello sospeso.

Ma non solo, i rischi sono soprattutto sul lungo termine e da più parti, infatti, è stata sottolineata la necessità di mantenere l’adeguamento all’aspettativa di vita. Ad esempio, già lo scorso luglio, l’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) in audizione alla Camera sugli effetti della transizione demografica aveva evidenziato il significativo aumento delle spese legate all’invecchiamento, le quali raggiungeranno l’apice nel 2040.

Mantenere il meccanismo di adeguamento automatico alla variazione dell’aspettativa di vita dei requisiti per andare in pensione, infatti, contribuirebbe ad attenuare l’aumento dell’indice di dipendenza dei pensionati ed evitare che le pensioni abbiano assegni troppo bassi, con conseguenti pressioni sugli istituti assistenziali.

Un punto di vista simile è quello dell’INAPP (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) che il 23 settembre, in audizione parlamentare sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica, ha portato all’attenzione i rischi per le pensioni e il sistema di assistenza socio-sanitaria nei prossimi anni.

Il rapporto dell’Istituto ha lanciato l’allarme: nei prossimi 10 anni usciranno dal lavoro circa 6,1 milioni di italiani, ma i giovani disponibili non basteranno a sostituirli. Entro il 2060 la popolazione tra i 20 e i 64 anni (quella in età da lavoro) calerà del 34 per cento, con conseguenze non solo dal punto di vista occupazionale, della produttività e della crescita economica ma anche per quel che riguarda il welfare e la previdenza.

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