Come cambia l’età pensionabile? Dal 2027 salirà oltre i 67 anni ma si ragiona sul blocco

Francesco Rodorigo - Pensioni

Dal 2027 l’età pensionabile è destinata a salire oltre i 67 anni. Come funziona l’aggiornamento e perché l'aumento potrebbe essere bloccato

Come cambia l'età pensionabile? Dal 2027 salirà oltre i 67 anni ma si ragiona sul blocco

La speranza di vita è in aumento e con essa i requisiti per poter andare in pensione.

Dal 2027 si prospetta un aumento dell’età pensionabile di tre mesi: per andare in pensione serviranno quindi 67 anni e 3 mesi.

Da mesi alcuni esponenti del Governo assicurano che l’aumento sarà bloccato ma ancora non c’è nulla di certo e dalla Presidente Meloni non sono arrivate rassicurazioni: “non è un’ipotesi di cui abbiamo parlato”, ha dichiarato ieri.

Come funziona l’adeguamento dell’età pensionabile e perché esiste questo meccanismo?

Come cambia l’età pensionabile? Dal 2027 salirà oltre i 67 anni ma si ragiona sul blocco

L’aggiornamento dell’età pensionistica è un’operazione che viene svolta ciclicamente e si basa sui valori legati alla speranza di vita nel Paese.

Con la fine dell’emergenza sanitaria questo valore sta tornando a salire. Uno scenario che era stato prospettato già a gennaio e poi ufficializzato dall’Istat lo scorso aprile: nel 2024 la speranza di vita in Italia è salita di 5 mesi rispetto al 2023. E se da un lato si tratta di una buona notizia, perché significa che in Italia si vive più a lungo, dall’altro rappresenta una sfida per il sistema pensionistico che si troverà ad affrontare pressioni di spesa significative.

Una delle soluzioni per alleviare la pressione è appunto quella di adeguare l’età pensionabile, alzando i requisiti per andare in pensione. Lo si fa tramite un aggiornamento biennale previsto per legge.

Attualmente, in Italia, la soglia per l’accesso alla pensione di vecchiaia è di 67 anni. Con l’adeguamento previsto a partire dal 2027, quando è in programma il nuovo aggiornamento biennale, l’età di vecchiaia salirebbe a 67 anni e 3 mesi d’età, mentre l’accesso alla pensione anticipata passerebbe a 43 anni e 1 mese di contributi per gli uomini, e a 42 anni e 1 mese per le donne, a prescindere dall’età anagrafica (oggi 42 anni e 10 mesi, un anno in meno per le donne).

Dal 2019, per la pensione di vecchiaia, l’aggiornamento è previsto ogni due anni, ma negli ultimi 3 bienni (2021/2022, 2023/2024 e 2025/2026) è stato nullo dato che la speranza di vita non è cresciuta, anzi è diminuita, principalmente per via del covid (con l’aggiornamento i requisiti possono aumentare ma non possono diminuire).

Come detto, ora che la tendenza si sta invertendo si attende un aumento dei requisiti. Al confronto dell’indicatore con il biennio 2021/2022 (quello dell’ultimo aggiornamento), l’incremento in realtà è di 7 mesi, ma dato che verranno recuperati i 4 mesi persi durante il periodo Covid l’età pensionabile salirà di soli 3 mesi.

Per certificarlo è necessario un apposito decreto ministeriale che, per legge, deve essere emanato con almeno un anno di anticipo. Questo significa che per certificare l’aumento dal 2027 il decreto deve arrivare entro la fine del 2025.

Che il meccanismo di aumento possa essere bloccato non è una novità, ma costa. Per la pensione anticipata ordinaria è successo nel 2019 e da allora è rimasto fermo fino ad oggi e così resterà almeno fino alla fine del 2026.

Resta ad ogni modo la questione dell’adeguamento biennale alla speranza di vita, che non può essere eliminato in quanto non sarebbe sostenibile per i conti pubblici e il sistema previdenziale.

L’intervento più fattibile resta, dunque, quello del congelamento dell’adeguamento, ed è su questo aspetto che si è concentrato il dibattito politico degli ultimi mesi.

Aumento età pensionabile dal 2027: il blocco è ancora in dubbio

Da inizio anno in più occasioni alcuni esponenti di Governo, in primis il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e il Sottosegretario al Lavoro con delega alle pensioni Claudio Durigon, hanno ribadito l’intenzione di intervenire per bloccare l’aumento.

Bloccheremo l’aumento nel 2027, lo sterilizzeremo. Confermo quanto detto da me e dal Ministro Giorgetti nei mesi scorsi”, aveva detto Durigon ad aprile dopo la pubblicazione dei dati Istat.

L’intenzione sembra dunque quella di procedere con il blocco, anche se dalla Presidente Meloni non sono arrivate rassicurazioni, anzi.

“Non è un’ipotesi di cui abbiamo parlato, ma probabilmente è anche una proposta che può arrivare dai partiti della maggioranza. Ne parleremo quando arriverà.”

Questo il commento rilasciato ieri, 24 settembre, da New York dove ha partecipato all’80ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Come detto, per certificare l’adeguamento dei requisiti serve un decreto ministeriale emanato con un anno di anticipo, quindi entro il 2025. Per questo motivo per un eventuale intervento di sospensione non si potrà aspettare il 2026 ma si dovrà agire entro fine anno.

Ad ogni modo, il blocco dell’aumento, per la cui applicazione servirebbero risorse considerevoli, rimanderebbe solamente il problema, in quanto dal 2029 si avrebbe un doppio incremento (quello biennale 2027/2029 e il recupero di quello sospeso).

Per questo motivo da più parti è stata sottolineata la necessità di mantenere l’adeguamento all’aspettativa di vita. Ad esempio, già lo scorso luglio, l’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) ha evidenziato in audizione alla Camera sugli effetti della transizione demografica il significativo aumento delle spese legate all’invecchiamento, le quali raggiungeranno l’apice nel 2040.

Mantenere il meccanismo di adeguamento automatico alla variazione dell’aspettativa di vita dei requisiti per andare in pensione, infatti, aiuterebbe ad attenuare l’aumento dell’indice di dipendenza dei pensionati ed evitare che le pensioni risultino troppo basse, con conseguenti pressioni sugli istituti assistenziali.

Un punto di vista simile è quello dell’INAPP (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) che il 23 settembre, in audizione parlamentare sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica, ha evidenziato i rischi per le pensioni e il sistema di assistenza socio-sanitaria nei prossimi anni.

Nei prossimi 10 anni, si legge infatti nel rapporto dell’Istituto, usciranno dal lavoro circa 6,1 milioni di italiani, ma i giovani disponibili non basteranno a sostituirli.

Entro il 2060 la popolazione tra i 20 e i 64 anni (quella in età da lavoro) calerà del 34 per cento, il che avrà conseguenze non solo dal punto di vista occupazionale, della produttività e della crescita economica ma anche per quel che riguarda il welfare e la previdenza.

Ritardare l’uscita dal mondo del lavoro in modo progressivo appare, quindi, come una delle soluzioni al problema, assieme alle restrizioni per l’uscita anticipata e l’introduzione di politiche attive che possano attivare le fasce di popolazione meno integrate nel mondo del lavoro, cioè i giovani e le donne.

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