Un aumento in busta paga non coincide sempre con un rialzo degli stipendi. Si riducono i bonus spettanti e sale l'IRPEF dovuta: così il peso del Fisco riduce i benefici per i dipendenti

Aumenti in busta paga spesso con effetto nullo sull’importo effettivo degli stipendi: è l’effetto del drenaggio fiscale, che taglia gli sforzi di adeguamento all’inflazione.
Non si tratta di una dinamica nuova, ma a fronte del pagamento degli adeguamenti previsti da molti CCNL sulle buste paga di giugno e luglio 2025, è bene tornare ad analizzare come - e quanto - il Fisco incide sugli stipendi.
Si tratta di una criticità evidenziata dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio nel Rapporto sulla politica di bilancio 2025, e sulla quale crescono le proposte di revisione delle regole vigenti. L’obiettivo è tutelare il potere d’acquisto delle famiglie.
Aumenti in busta paga, il drenaggio fiscale “taglia” gli stipendi
La progressività del sistema comporta che, all’aumentare del reddito, aumenta il prelievo fiscale. L’IRPEF, così come il sistema sempre più articolato di bonus e detrazioni che agiscono sulla busta paga dei lavoratori dipendenti, non prevedono un meccanismo di adeguamento automatico all’inflazione.
In pratica, sale lo stipendio lordo ma non quello netto. Questo l’effetto degli aumenti in busta paga combinato all’incremento della tassazione complessiva del reddito percepito.
Tecnicamente si parla di drenaggio fiscale (fiscal drag), argomento che è tornato al centro della discussione nel mese di giugno dopo le osservazioni dell’UPB legate anche alle novità della Legge di Bilancio 2025 e alla luce dell’aumento dell’inflazione.
Capire di cosa si tratta è fondamentale: non si tratta solo di una questione di politica economica e fiscale, ma che incide direttamente sugli stipendi e quindi sui conti delle famiglie.
Perché il fiscal drag interessa tutti i lavoratori dipendenti
L’inflazione fa salire i prezzi, i CCNL si adeguano (con tempi variabili) allo scenario economico, ma il potere d’acquisto reale del cittadino non cambia o addirittura diminuisce.
Questa la diretta conseguenza del fiscal drag o drenaggio fisale, meccanismo che è collegato alla progressività del sistema fiscale italiano, nel quale le aliquote dell’imposta (IRPEF) salgono all’aumentare del reddito.
Il fiscal drag aumenta la pressione fiscale, agisce quando l’inflazione porta all’aumento dei redditi (ad esempio in caso di aumenti previsti dal CCNL di categoria per compensare il caro-vita) e conseguentemente fa passare il contribuente da uno scaglione più basso a uno più elevato, modificando al rialzo l’aliquota IRPEF applicata.
Semplificando quindi, sale il reddito e sale l’IRPEF, ma non solo.
In Italia anche il sistema di bonus e detrazioni è direttamente collegato al reddito percepito. Si pensi al trattamento integrativo, alle detrazioni per lavoro dipendente e al nuovo bonus per il taglio al cuneo fiscale previsto dalla Legge di Bilancio 2025.
Le “tasse” sugli stipendi aumentano silenziosamente e annullano i benefici degli aumenti in busta paga dei dipendenti.
L’impatto pratico: le aliquote IRPEF 2025 sugli stipendi
Come cambia la tassazione dei propri redditi se aumenta lo stipendio? Per rispondere a questa domanda è necessario analizzare il funzionamento dell’IRPEF.
La Legge di Bilancio 2025 ha reso permanente la struttura basata su tre scaglioni di reddito e aliquote e pertanto l’IRPEF è pari al:
- 23% per i redditi fino a 28.000 euro;
- 35% per i redditi superiori a 28.000 euro e fino a 50.000 euro;
- 43% per i redditi che superano 50.000 euro.
Il calcolo dell’IRPEF lorda avviene in modo progressivo: l’aliquota prevista si applica alla porzione di reddito che rientra nello scaglione corrispondente.
Facciamo qualche esempio pratico:
1- Reddito complessivo annuo di 18.000 euro:
- IRPEF lorda = 18.000 euro * 23% = 4.140 euro.
2- Reddito complessivo annuo di 30.000 euro:
- IRPEF lorda = (28.000 euro * 23%) + (2.000 euro * 35%) = 6.440,00 euro + 700,00 euro = 7.140 euro.
3- Reddito complessivo annuo di 52.000 euro:
- IRPEF lorda = (28.000 euro * 23%) + (22.000 euro * 35%) + (2.000 euro * 43%) = 6.440,00 euro + 7.700,00 euro + 860,00 euro = 15.000 euro.
Non solo IRPEF: bonus e detrazioni tagliati se sale lo stipendio
Sull’IRPEF lorda si applicano le detrazioni per lavoro dipendente, ma anche il TIR (Trattamento integrativo) e il bonus per il taglio al cuneo fiscale.
Il TIR, ex bonus Renzi, può arrivare fino a 100 euro al mese per i dipendenti con reddito fino a 15.000 euro. Per i redditi più alti decresce progressivamente, fino ad azzerarsi in caso di redditi superiori a 28.000 euro.
Il bonus per il taglio al cuneo fiscale, nella struttura prevista dal 1° gennaio 2025, è pari invece al:
- 7,1 per cento fino a 8.500 euro
- 5,3 per cento tra 8.500 e 15.000 euro
- 4,8 per cento tra i 15.000 e i 20.000 euro
Per i redditi superiori a 20.000 euro è riconosciuta una detrazione aggiuntiva pari a 1.000 euro all’anno, importo che si riduce progressivamente per i redditi superiori e si azzera arrivati ai 40.000 euro.
Sale lo stipendio, diminuiscono i benefici in busta paga
L’importo effettivo del proprio stipendio dipende quindi dall’effetto incrociato dell’IRPEF, del bonus cuneo fiscale e del trattamento integrativo. Qualsiasi variazione al proprio reddito lordo può quindi innescare una serie di effetti a cascata.
Soprattutto per chi si colloca a ridosso della soglia reddituale che fa scattare l’aliquota IRPEF più alta, fa perdere detrazioni e bonus in busta paga, il beneficio di un aumento salariale può di fatto essere eroso o totalmente annullato.
Il recupero del potere d’acquisto, a fronte dell’inflazione, è quindi nei fatti solo teorico.
Una soluzione al problema: tassazione da adeguare all’inflazione
Come evidenziato dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, nella Relazione presentata l’11 giugno 2025, il drenaggio fiscale è dovuto all’assenza di meccanismi di indicizzazione dei parametri fiscali rispetto all’inflazione.
In sostanza, aliquote IRPEF e soglie di reddito per beneficiare dei bonus fiscali sulle retribuzioni non variano in base al “costo della vita”. Una questione che è tornata al centro della discussione anche in Parlamento.
L’11 luglio 2025, alla Camera, il Governo è stato interpellato sulle eventuali iniziative in campo per ridurre la pressione fiscale alla luce dell’effetto distorsivo del drenaggio fiscale. Il Sottosegretario Durigon ha risposto evidenziando che la scorsa Manovra ha stanziato 18 miliardi per ridurre il peso del Fisco sui redditi da lavoro, con “un’apprezzabile riduzione dell’aliquota media e un incremento del reddito disponibile dei lavoratori”.
Pur non evidenziando l’intenzione di mettere in campo interventi specifici sul tema, Durigon ha specificato che l’azione del Governo proseguirà nella direzione già tracciata, per “migliorare il benessere sociale delle famiglie italiane”.
Nulla di concreto quindi al momento da parte del Governo. Le opposizioni intanto presentano diverse proposte di intervento: il Senatore Mario Turco (M5S), ha depositato al Senato una proposta di legge per rivedere le soglie IRPEF a cadenza biennale in caso di aumento dell’inflazione.
Un adeguamento automatico, in caso di superamento del 5 per cento di inflazione cumulata nel biennio, proprio per annullare l’effetto del caro-vita in busta paga.
Sempre dalle opposizioni, e questa volta da AVS, arriva invece una proposta di legge per l’adeguamento automatico delle retribuzioni al costo della vita (“scala-mobile”), senza però affrontare nello specifico il tema dell’impatto della componente fiscale.
Proposte che si inseriscono in un dibattito quantomai acceso e che inevitabilmente sarà al centro dell’attenzione in autunno, nel corso dei lavori per la messa a punto della Manovra di bilancio 2026.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Aumenti in busta paga, così il Fisco “taglia” gli stipendi: meno bonus e più IRPEF