La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 137/2025, chiarisce un concetto importante: il Fisco non può richiedere al contribuente fatture elettroniche e altri documenti già a propria disposizione

Fatture elettroniche, così come altre informazioni già a disposizione nelle banche dati del Fisco, non possono essere richiesti dall’Agenzia delle Entrate ai contribuenti.
Richiedere oneri di attivazione, con il rischio di errori, non è giustificato. L’evoluzione tecnologica consente all’Amministrazione finanziaria di poter disporre in autonomia di una mole rilevante di informazioni, e si tratta di un aspetto da considerare anche nell’evoluzione del rapporto tra Fisco e contribuenti.
Questi alcuni dei punti contenuti nella sentenza della Corte Costituzionale n. 137 depositata il 28 luglio 2025, che affronta nello specifico il tema della preclusione probatoria in sede di contenzioso e ribadisce la necessità di correttezza e buona fede anche per l’Amministrazione finanziaria.
Fatture elettroniche e documenti in fase di contenzioso, la Corte Costituzionale limita la preclusione probatoria
La sentenza della Corte Costituzionale si inserisce in un dibattito da sempre acceso, che incrocia il tema dei numerosi documenti a disposizione del Fisco per le proprie attività di accertamento, che tuttavia non coincide con un “alleggerimento” degli oneri documentali richiesti ai contribuenti in fase di accertamento e contenzioso.
Più in generale, la questione affrontata riguarda il rapporto tra contribuenti e Amministrazione finanziaria e, scendendo nel merito, la preclusione processuale all’utilizzo di documenti non trasmessi o non consegnati in caso di richieste che precedono il contenzioso.
Il caso specifico sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale riguarda un ricorso presentato contro un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, che aveva contestato una plusvalenza non dichiarata nell’anno d’imposta 2015.
L’Agenzia delle entrate, prima dell’atto impositivo, aveva richiesto alla contribuente, ai sensi dell’articolo 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, di documentare eventuali spese che potessero giustificare l’incremento di valore dei terreni edificabili venduti.
Non avendo ricevuto la documentazione, l’Agenzia aveva determinato la plusvalenza basandosi sulla sola differenza tra i prezzi di vendita e di acquisto.
Nel giudizio, la ricorrente aveva prodotto le fatture relative alle spese, ma l’Agenzia aveva evidenziato l’inutilizzabilità di tali documenti in giudizio, non essendo stati esibiti o trasmessi in sede di controllo amministrativo, in assenza di un “impedimento oggettivo e incolpevole”.
Alla Corte è stata quindi posta all’attenzione la legittimità di tale preclusione e la sentenza n. 137 del 28 luglio 2025 delinea limiti all’impossibilità di produrre in sede di giudizio documenti utili a difesa della posizione del contribuente.
Documenti “misti” sempre utilizzabili in sede di contenzioso
Il tema è già stato più volte oggetto d’analisi da parte della Corte di Cassazione e nella sentenza viene evidenziato come la preclusione operi solo se la richiesta dell’amministrazione finanziaria è stata specifica e puntuale, rivolta al contribuente o suo ausiliare, con un congruo termine per rispondere e non riguardi documenti già in possesso dell’amministrazione.
In aggiunta, la mancata produzione dei documenti in fase di accertamento è ritenuta scusabile non solo in caso di forza maggiore, fatto del terzo o caso fortuito, ma anche per comportamenti “non riconducibili alla sfera di controllo del contribuente”, come nel caso in cui provengano da terzi o dipendano esclusivamente dal consulente fiscale.
L’impossibilità di usare documenti validi in sede di contenzioso è quindi limitata ai casi di dolo del contribuente, come ad esempio in caso di precedente rifiuto all’esibizione, allineando quanto previsto dall’articolo 32 del DPR n. 600/1973 a quanto previsto dall’articolo 52 del DPR n. 633/1972 in materia di IVA.
L’inutilizzabilità dei documenti deve quindi essere interpretata in senso restrittivo, evidenzia la Corte Costituzionale, e anche l’Amministrazione finanziaria deve agire secondo correttezza e buona fede:
“Quando questi principi sono disattesi, anche in questo caso ci si allontana dalle ragioni di civiltà giuridica che fondano i doveri inderogabili di solidarietà e il contribuente si ritrova a subire nuovamente il peso di una condizione di soggezione.”
La preclusione probatoria opera quindi solo per gli elementi informativi che hanno un contenuto unicamente a favore del contribuente, cioè quelli che se immediatamente consegnati avrebbero potuto stoppare sul nascere un accertamento o ridurre la portata della pretesa del Fisco.
Al contrario, gli elementi informativi che rivestono un contenuto misto, anche parzialmente suscettibili di produrre effetti sfavorevoli per il contribuente, devono essere esclusi dall’impossibilità di utilizzo in caso di contenzioso.
Fatture elettroniche e informazioni nelle banche dati del Fisco, stop alla produzione di documenti già in archivio
Ed è qui che la sentenza depositata il 28 luglio ribadisce un principio già posto in evidenza dalla Cassazione: non possono essere richiesti documenti e informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria.
L’evoluzione tecnologica e normativa, che ha portato alla creazione di nuove banche dati (come quella relativa alle fatture elettroniche), è alla base dei limiti nelle richieste informative al contribuente. Molti dati possono essere “attinti” dagli archivi del Fisco mediante una semplice interrogazione.
La Corte Costituzionale ha riconosciuto che un “sistema fiscale di massa” si basa sull’autoliquidazione delle imposte e sulla fedele e tempestiva presentazione delle dichiarazioni, il cui mancato rispetto incide sull’attività di accertamento e sugli sforzi dell’Amministrazione finanziaria.
Tuttavia, queste considerazioni non giustificano la richiesta di fornire informazioni facilmente ottenibili in autonomia, anche considerando il potenziale rischio di errori da parte del contribuente.
Al contrario, tali affermazioni giustificano la norma che limita la produzione di documenti post accertamento nei casi in cui l’amministrazione non potrebbe agevolmente ottenere i dati senza la collaborazione del contribuente, evitando così controlli e contenziosi inutili che potrebbero essere annullati dalla successiva presentazione di documenti favorevoli da parte del contribuente.
Solo secondo questa interpretazione la preclusione probatoria risulta compatibile con i principi di collaborazione e buona fede previsti dal disegno costituzionale, in quanto promuove un dialogo anticipato e pre-contenzioso tra le parti e la correttezza nei rapporti tra Stato e cittadino.
Una visione che riflette l’evoluzione del diritto tributario italiano e che si inserisce nel percorso che mira a favorire la collaborazione e la partecipazione del contribuente, come previsto ad ultimo anche nell’ambito della riforma fiscale dal nuovo adempimento collaborativo.
Il rapporto Fisco-contribuenti si basa su un patto, e non su rapporto di sottomissione. La cooperazione, o meglio dire la compliance, è alla base della civile convivenza anche tra autorità pubblica e contribuenti.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Fatture elettroniche e non solo: il Fisco non può richiedere documenti che ha già