Vendite online, come sono tassate?

Come funziona la tassazione delle vendite online? Dato l'uso sempre più frequente di piattaforme e-commerce per lo scambio di beni tra privati, un focus su quando scatta il regime di imprenditorialità

Vendite online, come sono tassate?

La corretta tassazione delle vendite online porta sempre molti dubbi, soprattutto in relazione all’uso ormai sempre più frequente di piattaforme e-commerce destinate allo scambio di beni tra privati.

Fare chiarezza sul tema, in particolar modo sui casi in cui si passa al regime di imprenditorialità, è quindi fondamentale.

In riferimento alle attività di vendita poste in essere sulle piattaforme di commercio online, quanto ai riflessi che possono avere da un punto di vista fiscale, in base all’orientamento secondo cui l’esercizio delle attività di cui all’art. 2195 c.c., se abituale, determina sempre la sussistenza di un’impresa commerciale indipendentemente dall’assetto organizzativo scelto, va considerato reddito d’impresa, valorizzando a tal fine l’abitualità dell’attività, la vendita su piattaforme telematiche caratterizzata da un elevato numero di transazioni effettuate in più anni d’imposta.

Vendite online, come sono tassate?

La legislazione fiscale e quella civilistica non sono peraltro su tale aspetto coincidenti: l’art. 2082 c.c. considera infatti imprenditore chi svolge un’attività economica organizzata in modo professionale, mentre l’art. 55 TUIR non richiede il requisito dell’organizzazione, ma la mera professione abituale delle attività di cui all’art. 2195 c.c., anche non svolta in modo esclusivo.

È dunque pacifico che la nozione civilistica e quella tributaristica di “imprenditore commerciale” divergano per un aspetto essenziale, ossia quello della necessità dell’organizzazione, evidentemente poco rilevante nella realtà virtuale e telematica; il che agevola quindi la prospettiva fiscale, che, appunto, tale elemento non richiede in via necessaria.

Per trovare un supporto in termini di regole ed efficace contrasto all’evasione e per impedire che le interazioni in questo mondo non trasformino il web in un paradiso fiscale virtuale possiamo comunque fare affidamento su alcuni principi già espressi dalla Suprema Corte, la quale, ad esempio, con la Sentenza n. 7552/2025, ha affermato rilevanti considerazioni proprio in tema di inquadramento reddituale delle attività di vendita online svolte su piattaforme telematiche.

Nel caso di specie, nell’ambito di una controversia avente ad oggetto un accertamento induttivo, ex art. 39, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, di redditi di impresa, che l’Agenzia delle Entrate, sulla scorta di indagini condotte anche sui conti correnti intestati al contribuente, aveva imputato a quest’ultimo per le numerose vendite (di scarpe) effettuate negli anni d’imposta 2008 e 2009 su un portale di vendite on line, la Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto i ricorsi del contribuente, annullando i due avvisi di accertamento.

La Commissione Tributaria Regionale accoglieva poi l’appello dell’Amministrazione finanziaria, sostenendo, al contrario, che i redditi accertati e non dichiarati dal contribuente dovevano considerarsi redditi d’impresa e non redditi diversi, come invece ritenuto dai giudici di primo grado, e ciò in ragione dell’elevato numero delle transazioni commerciali (n. 1211/2008 e n. 418/2009), le quali davano contezza dell’abitualità dell’attività esercitata dal contribuente, elemento questo sintomatico, secondo la nozione tributaristica, dello svolgimento di un’attività di impresa.

Avverso la sentenza d’appello il contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, l’errore giuridico (a suo avviso) commesso dalla Commissione Tributaria Regionale nel ritenere fiscalmente irrilevante, quanto meno ai fini IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione, e sussumendo il caso concreto nelle fattispecie normative disciplinanti gli imprenditori pur in assenza della prova dei requisiti tipici consistenti nello svolgimento di un’attività commerciale con “professionalità abituale”, difettando comunque, ad avviso del ricorrente, le circostanze formali ed estrinseche per qualificare il contribuente stesso come un imprenditore commerciale operante virtualmente con professionalità ed abitualità.

Secondo la Suprema Corte la censura era fondata limitatamente alla sussistenza dei requisiti di applicabilità dell’IRAP, non avendo la Commissione Tributaria Regionale espresso in effetti sul punto alcuna motivazione.

La censura era invece infondata con riguardo al resto, dato che la Commissione Tributaria Regionale aveva correttamente affermato che i redditi accertati e non dichiarati dal contribuente dovevano considerarsi redditi d’impresa, e non redditi diversi, in ragione dell’elevato numero delle transazioni commerciali, le quali davano piena contezza dell’abitualità dell’attività esercitata dal contribuente.

L’occasionalità delle vendite sul web

In conclusione sulla tematica giova anche evidenziare quanto segue.

Le informazioni acquisite tramite i siti di aste on line e le altre piattaforme telematiche circa le attività a cui il contribuente abbia preso parte e circa le vendite effettuate dallo stesso ed andate a buon fine rappresentano dati astrattamente idonei a fondare, anche solo in via presuntiva, l’accertamento induttivo di ricavi non dichiarati (cfr., Cass., n. 26987/2019).

La Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate hanno peraltro già avviato, in questi ultimi anni, una serie di indagini, per scovare i falsi venditori occasionali on line, che dovrebbero iscriversi come venditori professionali, aprire un account business e dichiarare al fisco le somme percepite.

In tali casi il “trucco”, in sostanza, è iscriversi alle piattaforme come venditori occasionali, mentre in realtà viene posta in essere una vera e propria rivendita professionale.

Quando le transazioni superano una certa soglia, il venditore non può essere infatti più considerato occasionale, ma professionale, e deve pagare le imposte sulla parte di guadagno ottenuta.

Solo nel caso in cui le attività siano svolte effettivamente in modo occasionale (ovvero in modo saltuario e non professionale) i guadagni rientrano nella categoria dei redditi diversi.

L’occasionale del web è, ad esempio, colui che vende una tantum un proprio bene (lo scooter, l’automobile o un qualsiasi altro oggetto), laddove tale attività non richiede ovviamente il carattere professionale o l’organizzazione.

Dimostrare, invece, l’occasionalità quando il processo di cessione diventa un fatto sistematico diventa più arduo. Principalmente, in questi casi, si tratta quindi di ditte individuali che hanno scelto le case d’aste online o le piattaforme telematiche per vendere i propri oggetti.

Il problema più gravoso per le Amministrazioni fiscali resta chiaramente quello di stabilire presso chi e come acquisire gli elementi probatori necessari all’identificazione dei contraenti, nonché al riscontro delle operazioni non registrate contabilmente dagli operatori interessati. A tal fine, l’Amministrazione finanziaria si deve pertanto dotare di procedure di monitoraggio efficaci.

Il caso di eBay e il valore delle vendite

La stessa eBay, del resto, a seguito dell’avvio di indagini nel settore, ha provveduto ad inviare una e-mail a tutti quegli utenti che hanno guadagnato cifre dai 1.000 euro in su: nel messaggio si leggeva che i gestori del sito hanno ricevuto dalla Guardia di Finanza una richiesta di informazioni relativamente agli utenti residenti in Italia a cui eBay ha emesso fatture annue superiori a 1.000 euro. Si precisava inoltre che i suddetti utenti dovevano aver venduto cinque o più oggetti nel corso di ogni anno.

Sulle piattaforme telematiche, in conclusione, chiunque ha la possibilità di vendere i propri oggetti al miglior offerente. E questa è un’opportunità che il web dà legittimamente a chi abbia una tale esigenza.

Quando le transazioni superano però una certa soglia, il venditore, come detto, almeno sotto il profilo fiscale, non è più considerato occasionale, ma professionale. Come per esempio emerso in riferimento ad un contribuente, evasore totale, che, come scoperto dalla GdF, mostrava un tenore di vita piuttosto elevato e aveva acquistato un’automobile da più di 41.000 euro e un’abitazione da 110.000 euro.

Tutto questo con risorse che appunto provenivano dalle vendite che l’uomo realizzava su siti d’aste on line, dove si era iscritto come venditore occasionale, mentre in realtà aveva dato luogo a una vera e propria rivendita professionale (di cellulari, tra l’altro contraffatti e provenienti dall’estero). L’uomo aveva così guadagnato circa 600.000 euro grazie ad oltre 26.000 transazioni effettuate on line.

Si rappresenta infine che tali conclusioni sono state confermate anche in sede comunitaria, laddove anche secondo la Corte di Giustizia (in causa Galin Kostov, §27 e §31 – C- 62/12) è da considerare soggetto d’imposta la persona fisica che eserciti un’attività economica, da intendersi come quella che comporta lo sfruttamento di un bene, materiale o immateriale, per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità.

Il discrimen tra attività occasione ed imprenditoriale, in definitiva, è ormai piuttosto chiaro.

Questo sito contribuisce all'audience di Logo Evolution adv Network