Focus sulle misure protettive adottate nell'ambito delle procedure del codice della crisi per garantire il buon esito delle iniziative

Le misure protettive nell’ambito delle procedure della crisi di impresa sono da intendersi come quelle misure temporanee richieste dal debitore per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza anche prima dell’accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza stessa.
Tali misure non sono finalizzate solo al buon esito delle trattative, ma sono anche strumentali a consentire di portare a conclusione lo strumento scelto dal debitore, tra quelli messi a disposizione dal codice della crisi, per regolare la propria situazione di crisi o insolvenza (compreso anche il concordato semplificato – cfr., Tribunale di Forlì, Decreto del 28/03/2024).
Misure protettive e procedure del codice della crisi: il delicato bilanciamento
In definitiva la possibilità di beneficiare di misure protettive del proprio patrimonio da eventuali iniziative dei creditori è stata prevista dal Legislatore per salvaguardare il buon esito delle trattative e superare la crisi.
Anche la composizione negoziata ha del resto natura stragiudiziale solo finché il debitore non intenda beneficiare di misure protettive, che devono poi essere richieste al Tribunale, il quale, nel decidere se concederle o meno, terrà comunque in considerazione la valutazione prognostica del risanamento dell’impresa (cfr., Tribunale di Piacenza, Ordinanza del 5 gennaio 2024).
Nel momento in cui il creditore o altre parti contestino la perdurante strumentalità delle misure, il giudice, anche al fine di evitare una eccessiva compromissione dei diritti dei creditori, dovrà comunque operare un bilanciamento tra gli opposti interessi in campo.
E tale bilanciamento è rilevabile nel confronto tra gli effetti del mantenimento delle misure e l’eventuale danno o pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie.
In sostanza, con le misure protettive il Legislatore ha riconosciuto la necessità di una tutela protettiva anticipata alla fase delle trattative, purché nell’ambito di un percorso di composizione in cui l’imprenditore sia assistito, nel negoziato con i creditori, da soggetti indipendenti, dotati di specifiche professionalità, e che sia garantito ai creditori stessi il controllo giudiziale sulla perdurante idoneità delle misure concesse a favorire il superamento della crisi tramite una soluzione concordata.
Certo, sussiste comunque, anche in questo caso, il divieto di abusare delle prerogative processuali, laddove l’istituto dell’abuso del diritto rappresenta un limite all’azione del titolare del diritto stesso e trova applicazione anche in materia concorsuale.
Lo stesso principio viene quindi in considerazione tutte le volte in cui la domanda non sia presentata al fine realizzare il suo scopo tipico, ma, in violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’Ordinamento ha predisposto lo strumento processuale (cfr., Cass., S.U., 15.5.2015, n. 9935; Cass., 7.3.2017, n. 5677; Cass., 31.3.2021, n. 8982).
In ogni caso il debitore deve avere la possibilità di modulare l’andamento della protezione e di chiedere al Tribunale la concessione di misure protettive anche nel corso del procedimento, sia nel caso in cui non le abbia inizialmente domandate, sia in epoca successiva alla scadenza di quelle inizialmente ottenute.
Procedure del codice della crisi: misure protettive al centro di attente valutazioni
Gli unici limiti sono rappresentati dal rispetto della durata massima di 12 mesi e dal divieto di abusare delle prerogative processuali (cfr., Tribunale di Bologna, Decreto del 7 novembre 2023).
A proposito del periodo temporale delle misure giova peraltro evidenziare che laddove più procedure di composizione della crisi si succedano, su domanda del debitore, legittimamente tra loro anche non continuativamente, tanto da confluire in un procedimento unitario, al fine del riconoscimento di nuove misure protettive il termine massimo dei 12 mesi deve considerarsi superato solo allorquando la somma dei periodi di protezione effettiva abbia raggiunto tale durata, senza tenere conto degli intervalli di tempo in cui le misure protettive non siano state operanti (cfr., Tribunale di Modena, 18 gennaio 2025).
La valutazione della spettanza delle misure protettive deve essere comunque oggetto di attenta ponderazione, come anche recentemente confermato dal Tribunale di Bologna, il quale, con pronuncia del 02 maggio 2025, nell’ambito di una composizione negoziata, ha evidenziato che, per tale procedura, le misure protettive non possono trovare conferma laddove il piano preveda un percorso esclusivamente liquidatorio, non potendo avere accesso a quella procedura un soggetto imprenditoriale che intenda proporre un piano di quel tipo con cessazione definitiva dell’attività e dismissione disgregata degli assets aziendali, ciò neppure laddove tale soluzione comporti una proposta migliorativa per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria giudiziale.
Stante infatti che l’art. 12, comma 1, C.CI. individua la condizione del ricorso alla composizione negoziata della crisi mediante la frase “risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”, si deve ritenere che scopo della stessa non sia la semplice ristrutturazione del debito esistente, ma la possibilità della prosecuzione dell’attività imprenditoriale, preservando nei limiti del possibile i posti di lavoro, ciò sia da parte del debitore, sia, se necessario, da parte di un terzo nelle forme della c.d. continuità indiretta, resa possibile proprio grazie alle iniziative programmate dal debitore per superare la situazione di squilibrio, crisi o insolvenza non irreversibile esistente al momento dell’accesso alla procedura.
In definitiva, nell’ambito della composizione negoziata (cfr., Tribunale di Verona 10 Marzo 2025), la ristrutturazione del debito costituisce un passaggio necessario (unitamente alle altre iniziative industriali e di discontinuità rispetto al passato) per conseguire l’obiettivo finale del risanamento dell’impresa, non potendo costituire essa stessa la finalità della composizione.
E anche le misure protettive devono essere pertanto finalizzate a tale obiettivo, senza il quale perdono la loro giustificazione.
Per l’accesso alla composizione negoziata e, a fortiori, per la conferma delle misure protettive, è quindi necessario, conclude il Tribunale di Bologna, che il debitore abbia depositato l’istanza allo scopo di risanare l’impresa sulla base di un piano che renda verosimile il conseguimento di tale risultato di riequilibrio, o che, in ogni caso, consenta all’impresa vitale di proseguire in mani altrui e solo in quest’ottica si giustificano sia le misure premiali che quelle protettive.
Linea di prudenza anche da parte del Tribunale di Modena, che, con pronuncia dell’8 marzo 2025, ha stabilito che la misura protettiva richiesta in sede di composizione negoziata da parte del debitore avente ad oggetto lo stay of executions (cessazione delle esecuzioni) nei confronti di un garante dello stesso ha natura essenzialmente cautelare, e non già protettiva, nemmeno “atipica”, non sussistendo un tale genus nell’ambito della composizione negoziata della Crisi, diversamente da quanto avviene con riferimento agli “strumenti”, ex art. 54, comma 2, terzo periodo, C.C.I..
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