FMI: detrazione per il coniuge a carico da eliminare, penalizza le donne

Rosy D’Elia - Fisco

Anche il Fondo Monetario Internazionale invita l'Italia a togliere i freni all'occupazione femminile eliminando, ad esempio, la detrazione per il coniuge a carico: ma qual è il legame?

FMI: detrazione per il coniuge a carico da eliminare, penalizza le donne

Su due piedi sembra difficile immaginare una correlazione tra l’occupazione femminile e la detrazione per il coniuge a carico. Ma il Fondo Monetario Internazionale, con le ultime raccomandazioni arrivate il 29 maggio, ha invitato l’Italia ad eliminare questo sconto d’imposta proprio per favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro retribuito. E non è il primo organismo internazionale a farlo.

Ma un guadagno fiscale, che non arriva neanche a 1.000 euro nell’arco di un anno, può davvero compromettere l’occupazione femminile?

Sicuramente no, se considerato in maniera isolato. Sicuramente sì, se inserito in un sistema di politiche fiscali e del Lavoro che nasce da una netta divisione dei ruoli di genere e tende a confermarla e consolidarla. La donna si prende cura, l’uomo porta il pane a casa.

Detrazione coniuge a carico da eliminare, la richiesta del FMI per favorire l’occupazione femminile

Dalla scarsità dei servizi di cura per i bambini e le bambine ma anche per le persone non autosufficienti, che con l’invecchiamento della popolazione aumentano sempre di più, al sistema fiscale che, pur essendo neutro sulla carta, non ha ancora del tutto abbandonato il concetto del capofamiglia, il messaggio che arriva è univoco: l’occupazione femminile nell’economia delle famiglie ha un costo alto.

Che cosa vuol dire? Semplificando, c’è un equilibrio da trovare tra risposta alle esigenza di cura dei vari componenti, guadagni e spese da sostenere. E spesso a fare da ago della bilancia è proprio la donna, che da un lato assume su di sé la maggior parte dei carichi familiari e dall’altro ha una presenza meno marcata sul mercato del lavoro.

Nel sistema attuale, dove la famiglia resta in Italia la principale fonte di welfare, rinunciare alla cura delle donne, a favore del lavoro retribuito, in termini puramente economici ha un prezzo alto. E le ragioni sono diverse:

  • la prima sta nella scarsità e nel costo dei servizi di cura;
  • la secondo nella fragilità del lavoro femminile: i contratti sono meno stabili, di conseguenza le retribuzioni più basse, gli avanzamenti di carriera meno probabili. Ed è sempre più conveniente che a lavorare sia l’uomo;
  • la terza sta proprio nelle modalità di calcolo di imposte e agevolazioni: la Banca d’Italia ha studiato la quota di guadagni che vengono tassati quando una persona accetta un lavoro a causa dell’aumento delle tasse o della rinuncia ai benefici, evidenziando che è più elevata per le donne.

Tra gli elementi che contribuiscono ad aumentare il costo del lavoro femminile per le famiglie la Banca d’Italia, nella sua analisi Women, labour markets and economic growth pubblicata a giugno 2023, ha incluso anche la detrazione per il coniuge a carico, che il Fondo Monetario Internazionale individua come freno alla partecipazione al lavoro E che all’inizio del 2024 anche l’OCSE ha invitato ad eliminare.

Detrazione coniuge a carico, come funziona?

In base a quanto previsto dall’articolo 12 del Testo Unico delle imposte sui redditi, si ha diritto a uno sconto IRPEF quando uno dei due coniugi non lavora o, comunque, ha delle entrare minime restando a “carico” dell’altro.

Quando il reddito complessivo annuale è uguale o inferiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili, il coniuge che presenta la dichiarazione dei redditi ha diritto a una detrazione IRPEF di un valore che cambia in base alle condizioni economiche.

FMI: eliminare la detrazione per il coniuge a carico, ma il Governo vanno nella direzione opposto

Al di là del genere la leva fiscale mette in campo una forza motrice: le imposte sul reddito da lavoro così come le agevolazioni, ovvero la possibilità di beneficiare di alcuni vantaggi in base a specifici requisiti, possono influenzare l’offerta di lavoro.

E questa affermazione è vera in particolar modo per quella femminile: la sensibilità alle regole introdotte nel sistema non è uguale per tutti e tutte allo stesso modo.

La Commissione Europea ha sottolineato fin dalla metà degli anni ‘80, nel memorandum sull’imposta sul reddito e sulla parità di trattamento tra uomini e donne (1985), la presenza di discriminazioni dirette e/o indirette, anche se di natura assai diversa, nei sistemi d’imposizione sul reddito di tutti gli Stati membri.

Diversi studi confermano che i meccanismi di calcolo delle imposte risentono delle influenze economiche, politiche e sociali riproponendo delle distorsioni di genere che tendono a confermare i ruoli assunti nelle famiglie e, più in generale, nella società.

E l’Italia ne è una prova. Dalla fine degli anni ’70 si è affermato un modello di tassazione individuale, anche grazie alla riforma del diritto di famiglia, che dovrebbe essere garanzia di neutralità. Ma così non è perché la maggior parte delle agevolazioni fiscali, e non, restano su base familiare.

Portare anche il Fisco in una dimensione di parità di genere è uno dei passi da compiere anche per favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, per il Fondo Monetario Internazionale così come per una serie di altri organismi nazionale e internazionali.

Ma la direzione attuale sembra essere contraria: fin dai primi passi l’attuale Governo ha espresso la volontà di portare sempre più il calcolo della tassazione su un impianto familiare e ci sono già dei primi segnali di sperimentazione.

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