Il lavoro di cura delle donne è invisibile, ma vale 10 Leggi di Bilancio

Rosy D’Elia - Lavoro

Le donne producono risorse utili per 10 Leggi di Bilancio con il loro lavoro di cura, che però resta invisibile e contribuisce a un insanabile divario occupazionale. Oggi a Roma i risultati dell'indagine OIL-Federcasalinghe

Il lavoro di cura delle donne è invisibile, ma vale 10 Leggi di Bilancio

Ogni anno le donne producono risorse utili per finanziare più di 10 Leggi di Bilancio: oltre 336 miliardi di euro su un totale complessivo di 473,5 miliardi.
A evidenziarlo è l’indagine condotta da Federcasalinghe e dall’Ufficio per l’Italia e San Marino dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL).

Ma per loro non c’è alcun guadagno: l’impegno non retribuito erode il tempo per sé e per le attività retribuite con tutti i divari di genere che ne conseguono.

Il lavoro di cura delle donne, motore invisibile della società, vale quanto 10 Leggi di Bilancio

L’equilibrio delle famiglie e la garanzia della produttività del Paese passano dal lavoro di cura non retribuito che le donne garantiscono ogni giorno per la crescita dei figli e delle figlie, ma non solo, anche per far fronte alle esigenze di persone disabili o anziane.

È un impegno femminile nel 71 per cento dei casi, come si legge nell’analisi presentata oggi, 2 ottobre, nella sede OIL di Roma.

Fare la spesa, curare i figli e gestire la casa sono attività apparentemente banali ma muovono il mondo e l’economia. Il paradosso è che non esistono.

Poco tracciato e per niente misurato in termini economici, il lavoro di cura è al centro di un corto circuito anche dal punto di vista della produttività. Da un lato ha un valore sommerso enorme, UN Women ha stimato un valore pari al 9 per cento del PIL mondiale, dall’altro rappresenta un freno alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro retribuito, che produce il reddito misurato dalle statistiche.

Ad esempio, secondo le simulazioni dell’OCSE, l’Italia avrebbe un incremento del PIL di quasi 0,4 punti percentuali risolvendo il divario occupazionale, che resta superiore ai 19 punti percentuali.

Ripensare il lavoro di cura non è una questione femminile, ma una esigenza collettiva

Nel contesto italiano il paradigma è semplice quanto complesso da scardinare: in assenza dei servizi, i bisogni delle famiglie vanno soddisfatti all’interno. E in presenza di ruoli di genere ancora culturalmente radicati e definiti, è alle donne che si chiede una risposta alle esigenze che emergono. Secondo l’indagine OIL-Federcasalinghe, l’impegno è superiore alle 6 ore al giorno.

In questa rendicontazione l’Italia è sul podio dei paesi con il maggiore divario di genere, dopo Portogallo e Grecia: il tempo dedicato dalle donne è maggiore di 2,3 volte rispetto agli uomini.

Ma la giornata dura 24 ore per tutti e per tutte. Ed è in questa scarsità di tempo che vanno letti i dati sulle persone inattive: in Italia più di 3,2 milioni di persone hanno dichiarato di essere fuori dal mercato del lavoro retribuito a causa di responsabilità di cura della famiglia. E il 95,1 per cento è rappresentato dalle donne.

D’altronde anche le lavoratrici non sono esenti dagli impegni legati alla cura familiare e spesso si trovano a fare i conti con l’equivalente di due contratti a tempo pieno.

In presenza di un welfare fatto più di sussidi che di servizi e di un sistema di tassazione che rende meno vantaggioso il lavoro femminile, le famiglie spesso si trovano difronte a una scelta: serve che qualcuno resti a casa, diventando allo stesso tempo fondamentale e invisibile.

Ma la questione non è solo femminile. In un paese che invecchia sempre di più, che vede le nascite calare di anno in anno e la popolazione lavorativa restringersi, la cura non è semplicemente una esigenza familiare, ma una necessità collettiva, anche di stabilità economica.

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