Rinnovo contratto statali e aumento stipendi: ma cambia qualcosa dopo la firma del Patto?

Stefano Paterna - Lavoro

Rinnovo contratto statali: le cifre degli aumenti medi degli stipendi riportate dal ministro Brunetta per i rinnovi 2019-21 sono le stesse avanzate dalla Dadone e respinte a suo tempo dai sindacati: 107 euro in media al mese. Elementi di novità vengono dalla salvaguardia dell'elemento perequativo della retribuzione e dal nuovo sistema di classificazione del personale.

Rinnovo contratto statali e aumento stipendi: ma cambia qualcosa dopo la firma del Patto?

Rinnovo contratto statali e aumento stipendi, dopo la firma del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale avvenuta il 10 marzo, si è data molta enfasi da parte di governo e sindacati all’apertura di una nuova stagione di rinnovi contrattuali a lungo attesa.

Ci sono anche le cifre dell’incremento medio degli stipendi dei dipendenti statali avanzate dallo stesso ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta: 107 euro medi mensili a regime per il triennio 2019-2021.

Cifre che tuttavia non si discostano da quelle proposte a suo tempo dal predecessore di Brunetta, Fabiana Dadone, e che pure furono rifiutate dalle organizzazioni sindacali.

Ma tra rassomiglianze e novità vediamo nel dettaglio il pacchetto di proposte del Governo Draghi in materia di rinnovo dei contratti del pubblico impiego.

Rinnovo contratto statali e aumento stipendi: le cifre per i rinnovi 2019-2021

Nella videoconferenza di Brunetta con le organizzazioni di categoria del pubblico impiego tenutasi venerdì 12 marzo, due giorni dopo la firma del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico, il titolare della Funzione pubblica è entrato nel dettaglio del cifre disponibili per la nuova tornata di rinnovi contrattuali:

“Con la Legge di bilancio del 2021, lo stanziamento complessivo a regime su tutta la PA ha raggiunto la cifra complessiva di 6,8 miliardi di Euro (nel precedente triennio 2016-2018 le risorse complessive per tutta la PA sono state pari a circa 5,4 miliardi di Euro), corrispondente a incrementi del 4,07 per cento e ad incrementi complessivi medi mensili a regime di 107 euro per le amministrazioni statali”.

Ora colpisce che le cifre snocciolate dal ministro Brunetta siano le stesse proposte dalla Dadone ai sindacati e da questi respinte: un fattore che fu anche alla base della proclamazione dello sciopero del pubblico impiego del 9 dicembre scorso.

È pur vero che Cgil, Cisl e Uil possono rivendicare la disponibilità del nuovo governo ad alcune richieste che poi facevano parte della loro piattaforma di trattativa dello scorso anno, quali:

  • i rinnovi contrattuali relativi al triennio 2019-2021 salvaguarderanno l’elemento perequativo della retribuzione che confluirà strutturalmente nella retribuzione fondamentale;
  • viene prevista la necessità di un nuovo sistema di classificazione del personale per valorizzare le diverse professionalità e le competenze acquisite, anche attraverso specifiche modifiche di legge e sviluppando il sistema degli incarichi;
  • conseguentemente il Governo si è impegnato a reperire altre risorse economiche con la Legge di Bilancio 2022 per finanziare nei nuovi contratti collettivi la riforma degli ordinamenti e dei sistemi di classificazione ed inquadramento del personale.

Tuttavia, non si può non notare che la vera partita dei rinnovi contrattuali deve ancora iniziare e che pertanto l’enfasi data da entrambi le parti alla firma del Patto per quanto riguarda la tematica dei rinnovi contrattuali (quindi al netto di altri aspetti quali lo smart working) non pare del tutto fondata.

Aumento degli stipendi e contrattazione decentrata sono le possibili criticità

Quando i sindacati (non solo i confederali) e il governo si siederanno di nuovo al tavolo della trattativa le possibili criticità saranno rappresentate proprio dall’aumento degli stipendi.

Anche il rimando che le organizzazioni di categoria del pubblico impiego di Cgil, Cisl e Uil fanno al rafforzamento della contrattazione decentrata e al superamento dei limiti al tetto del salario accessorio previsti nel Patto firmato la scorsa settimana, sono questioni che andranno vagliate perché per finanziarle il governo potrebbe anche decidere di indebolire la parte economica del quadro dei contratti nazionali.

Un primo accenno della complessità del percorso che deve ancora iniziare viene dalle dichiarazioni dei giorni scorsi dell’Usb pubblico impiego, sindacato di base, ma tradizionalmente radicato nel settore:

“Proprio i contratti nazionali di lavoro sono un ulteriore, necessario tassello nel processo di rilancio della PA” - si legge in una nota dell’organizzazione sindacale - “aumenti salariali che necessitano di risorse ulteriori rispetto a quanto stanziato dal precedente Governo, restituzione ai lavoratori di una parte consistente dei risparmi che hanno realizzato e realizzeranno le amministrazioni con l’applicazione dello smart working, e che in parte si sono trasformati in costi a carico dei lavoratori...”.

Dunque, sulla questione del rinnovo dei contratti pubblici è tutt’altro che calata la parola fine.

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