Lavoratore contagiato da Covid, basta il tampone negativo per tornare a lavoro?

Eleonora Capizzi - Leggi e prassi

Lavoratore contagiato da Covid, per tornare a lavoro non sempre basta aver eseguito un tampone ed essere risultato negativo. In caso di ricovero, per esempio, sarà necessaria la visita del medico competente. Queste ed altre regole sono riportate nella circolare del Ministero della Salute n. 15127 del 12 aprile 2021.

Lavoratore contagiato da Covid, basta il tampone negativo per tornare a lavoro?

Lavoratore contagiato da Covid: quando è possibile tornare a lavoro dopo aver eseguito un tampone che poi è risultato negativo?

A queste e ad altre domande ha risposto la circolare numero 15127 del 12 aprile 2021 del Ministero della Salute che chiarisce le procedure che permettono il rientro sul posto di lavoro dei dipendenti che hanno contratto il virus.

È infatti sempre indispensabile il test che abbia dato risultato negativo, ma talvolta non è condizione sufficiente.

In particolare, in caso di infezione che ha condotto al ricovero ospedaliero, il lavoratore dopo aver esibito il referto di avvenuta negativizzazione dovrà essere sottoposto anche alla visita da parte del medico competente, quando nominato, che ne valuti le condizioni fisiche e decida se è prematuro o meno un suo ritorno a lavoro.

Lavoratore contagiato da Covid, quando basta il tampone negativo per tornare a lavoro?

Il Ministero della Salute, con la circolare numero 15127, fornisce indicazioni operative in merito alla modalità di riammissione in servizio del lavoratore che, ammalatosi di Covid-19, si è assentato per un determinato periodo.

Ministero della Salute - Circolare numero 15127 del 12 aprile 2021
Scarica la circolare sulle indicazioni per la riammissione in servizio dei lavoratori dopo assenza per malattia Covid-19 correlata

Il documento di prassi chiarisce, infatti, quali sono le procedure da adottare in base alla gravità dell’infezione contratta e al decorso della stessa.

In ipotesi, ad esempio per il lavoratore positivo con sintomi gravi tali da necessitare un ricovero, il Ministero fissa delle linee guida molto stringenti in un’ottica di estrema cautela per verificare se non sia rischioso per la salute del lavoratore essere riammesso in servizio.

“(...) il medico competente, ove nominato, per quei lavoratori che sono stati affetti da COVID-19 per i quali è stato necessario un ricovero ospedaliero, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione secondo le modalità previste dalla normativa vigente, effettua la visita medica prevista (...) al fine di verificare l’idoneità alla mansione - anche per valutare profili specifici di rischiosità - indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia”.

Si legge nella circolare del Ministero della Salute.

Viceversa, i lavoratori positivi sintomatici, ma non gravi, possono rientrare in servizio dopo aver eseguito, almeno 3 giorni dopo la scomparsa dei sintomi, un test molecolare con riscontro negativo. Dovranno comunque, a prescindere, rimanere in isolamento per almeno 10 giorni dalla comparsa dei primi sintomi.

In buona sostanza, a nulla rileva non accusare più sintomi prima della deadline dei 10 giorni: si dovrà comunque rimanere isolati e poi fare il tampone che, ovviamente, dovrà essere negativo per giustificare una riammissione in servizio.

Così come gli asintomatici, obbligati rimanere in quarantena per almeno 10 giorni dal riscontro della positività, al termine dei quali dovranno eseguire il test dall’esito negativo.

Lavoratore contagiato a lungo termine: le istruzioni del Ministero della Salute

Nel quadro di ipotesi di casi di contagi, dai sintomatici agli asintomatici, dai più gravi ai meno gravi, Il Ministero della Salute non può fare a meno di considerare anche i casi a lungo termine, ossia quelli che, pur non presentando sintomi da almeno una settimana, continuano risultare positivi.

La circolare del Ministero della Salute del 12 ottobre 2020, infatti, dispone che in tali ipotesi si può interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi. L’avvenuto isolamento per il periodo prescritto, tuttavia, non è sufficiente a consentire il ritorno in servizio del dipendente.

A riguardo, ai fini precauzionali, la circolare del 12 aprile rimanda a quanto stabilito dal Protocollo condiviso del 6 aprile 2021 delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus: il reintegro di lavoratori risultati positivi oltre il ventunesimo giorno è subordinato, in ogni caso, alla negativizzazione del tampone molecolare o antigenico effettuato in struttura accreditata o autorizzata dal servizio sanitario.

A quel punto il lavoratore deve trasmettere il referto, anche in modalità telematica, al datore di lavoro direttamente o attraverso il medico competente, quando nominato.

Peraltro, l’eventuale periodo tra la fine dell’isolamento domiciliare e il rilascio del referto in cui si certifica la negativizzazione deve essere coperto da un certificato di prolungamento della malattia rilasciato dal medico curante, sempre che il lavoratore non possa essere messo in smartworking per il periodo di riferimento.

In tal caso, a meno che non lo richieda espressamente il lavoratore, non sarà necessaria la visita medica precedente alla ripresa del lavoro per verificare l’idoneità alla mansione per la riammissione sul posto di lavoro.

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