In vista della prossima Legge di Bilancio si comincia a pensare anche alle pensioni. A dicembre scade la possibilità di uscire dal lavoro con Quota 103, Opzione Donna e Ape Sociale. La priorità è sospendere l'aumento dell'età pensionabile

Quale sarà il futuro della pensione anticipata nel 2026?
Anche quest’anno sembra non esserci spazio per una piena riforma del sistema pensionistico. A fine anno sono in scadenza i principali strumenti per l’uscita anticipata: Quota 103, Opzione Donna e Ape Sociale.
Come per gli anni passati si preannuncia il rinnovo per un altro anno, ma a tenere tutti col fiato sospeso è l’aumento di 3 mesi dell’età per andare in pensione che scatterà da gennaio 2027. Se davvero si vuole intervenire per bloccarlo occorre agire già da quest’anno.
Pensione anticipata, il cantiere dei lavori entra nel vivo: quali misure scadono a fine anno?
La Legge di Bilancio 2025 ha esteso per un altro anno l’operatività dei principali strumenti per il pensionamento anticipato attivi in Italia: Quota 103, Opzione Donna e Ape Sociale.
Le misure sono in scadenza il 31 dicembre e già si comincia a pensare al prossimo futuro. Scartata la nuova riforma delle pensioni auspicata da tempo, ora come ora non ci sono sufficienti risorse, l’ipotesi più probabile resta quella della conferma per un altro anno. Per l’Ape Sociale sono già state stanziate nuove risorse dalla legge di conversione del DL Economia.
Proprio per questioni legate alle risorse a disposizione, ricordiamo, dal 2024, sono stati modificati i requisiti di accesso con un conseguente restringimento della platea di possibili beneficiari, il che ha portato ad un minore utilizzo da parte di lavoratori e lavoratrici come confermato anche dall’INPS nei report diffusi in corso d’anno.
La stessa Quota 103, che garantisce la pensione a chi matura 62 anni d’età e 41 di contribuzione, potrebbe essere rivista o addirittura eliminata per lasciare spazio a nuove soluzioni, come dichiarato in un’intervista a la Repubblica dal Sottosegretario al lavoro Claudio Durigon:
“È una formula che va rivista, non ha avuto il successo sperato: solo 1.153 richieste nel 2024. Servono soluzioni più efficaci per la flessibilità in uscita.”
Eliminarla contribuirebbe anche a ridurre le spese anche in vista della questione che senza dubbio farà più discutere nei prossimi mesi: l’aumento di 3 mesi dell’età pensionabile dal 1° gennaio 2027.
Un aumento certificato dall’Istat in correlazione all’incremento della speranza di vita. Il decreto interministeriale che lo recepisce deve essere emanato, per legge, entro il 2025. Per questo il Governo si trova nella posizione di dover agire subito per contrastare l’aumento, cosa che ha più volte espresso intenzione di fare.
L’intervento quindi ci sarà, o almeno questo è l’obiettivo. Poi dipenderà dal costo effettivo. La Ragioneria dello Stato stima un costo di 300-400 milioni, l’INPS addirittura di 3 miliardi.
Si tratterebbe non un’eliminazione del meccanismo di aumenti, sarebbe troppo costoso, ma una sospensione il che rimanderebbe il discorso al 2029, anno del nuovo aggiornamento alla speranza di vita, per il quale l’Istat ha già conteggiato un ulteriore aumento di 3 mesi. Tra quattro anni si rischia dunque un doppio aumento.
L’uscita anticipata nel contributivo resta difficile
Tra i meccanismi di uscita anticipata c’è anche quello che prevede il pensionamento a 64 anni d’età (con 20 anni di contributi effettivi e un assegno pensionistico pari ad almeno tre volte l’assegno sociale, cioè 1.616 euro al mese nel 2025). Una possibilità che oggi è disponibile solo per i cosiddetti “contributivi puri”, cioè lavoratori e lavoratrici ha hanno iniziato a versare contributi dopo il 1° gennaio 1996.
“Credo che 64 anni possano diventare la vera soglia di libertà pensionistica. Oggi la possibilità è limitata ai contributivi puri. Stiamo valutando i costi per estenderla anche ai lavoratori nel sistema misto.”
Restano però le barriere all’accesso che limitano la fruizione di tale strumento, a partire dall’aumento, dal 2020, del valore minimo dell’assegno della pensione che dovrà essere 3,2 volte quello dell’assegno sociale e dal tetto massimo all’importo, che fino all’età di vecchiaia non può essere superiore a cinque volte il trattamento minimo INPS (3.017 euro lordi per il 2025). Gli anni di contributi necessari poi salgono a 25 se si sceglie di cumulare anche la previdenza complementare.
Senza contare che anche questa soglia di 64 anni è soggetta all’aumento legato all’adeguamento alla speranza di vita, a cominciare da quello previsto per il 2027.
Anche quest’anno, dunque, il capitolo della Manovra dedicato alle pensioni si preannuncia uno tra i più delicati e complicati.
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