Smart working, i giorni di lavoro da remoto contano come lavoro dall’estero?

Tommaso Gavi - Leggi e prassi

Smart working, il lavoro da remoto conta nel calcolo delle giornate lavorate dall'estero? I chiarimenti della risposta all'interpello numero 345 del 17 maggio 2021 dell'Agenzia delle Entrate: i giorni non lavorativi si conteggiano nello stato in cui si presta l'attività lavorativa in via prevalente e le retribuzioni convenzionali si possono frazionare.

Smart working, i giorni di lavoro da remoto contano come lavoro dall'estero?

Le giornate lavorate in smart working da casa, a causa dell’emergenza coronavirus, contano come giornate di lavoro dall’estero se il dipendente ha svolto le stesse mansioni ma è stato costretto a lavorare dall’Italia?

A fornire questo e altri chiarimenti sul tema è l’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello numero 345 del 17 maggio 2021.

Nel documento di prassi si specifica che i giorni di ferie, le festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi vengono considerati per intero giorni relativi alla determinazione della retribuzione dello Stato in cui viene prestata in via prevalente l’attività lavorativa.

L’ammontare delle retribuzioni convenzionali può essere frazionato.

In conclusione, l’Agenzia delle Entrate spiega come devono essere applicate le disposizioni previste nel TUIR.

Smart working, i giorni di lavoro da remoto contano come lavoro dall’estero?

Lo smart working svolto durante il periodo dell’emergenza coronavirus è al centro dei chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate.

Con la risposta all’interpello numero 345 del 17 maggio 2021 l’Amministrazione finanziaria chiarisce quali sono le indicazioni da seguire per il calcolo dei giorni di un lavoratore dipendente, costretto a lavorare dall’Italia con le stesse mansioni, a causa delle disposizioni anti-Covid.

Agenzia delle Entrate - Risposta all’interpello numero 345 del 17 maggio 2021
Reddito di lavoro dipendente - applicazione retribuzione convenzionale a dipendente in smart working - articolo 51, commi 1 e8-bis, del TUIR

Il quesito dell’istante, una società che appartiene ad un gruppo di dimensione internazionale, riguarda i requisiti previsti articolo 51, comma 8-bis, del Tuir ed in particolare lo svolgimento di attività lavorativa in un luogo diverso da quello stabilito a livello contrattuale.

Prima fornire chiarimenti sugli aspetti specifici delle richieste, l’Agenzia delle Entrate si sofferma sulle linee guida dell’OCSE, pubblicate il 3 aprile 2020, e successivamente aggiornate il 21 gennaio 2021.

Tali linee guida sono state recepite da un accordo amichevole con la Francia, in vigore dal 24 luglio 2020 ed efficace dal 12 marzo precedente.

Tuttavia, tali regole non hanno rilevanza ai fini della normativa interna e non possono essere utilizzate per interpretare le disposizioni del TUIR.

La risposta si sofferma poi sull’articolo 51, comma 8-bis, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, che prevede quanto segue:

“il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali di cui all’art. 4, comma 1, del decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317,convertito dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398”

Il reddito da lavoro dipendente prestato all’estero è quindi assoggettato a tassazione, che ha come base imponibile la retribuzione convenzionale fissata dal decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali.

Le condizioni da rispettare sono le seguenti:

  • l’attività lavorativa deve essere svolta all’estero per un determinato periodo di tempo con carattere di permanenza o di sufficiente stabilità;
  • tale attività deve costituire l’oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e, pertanto, l’esecuzione della prestazione lavorativa deve essere svolta integralmente all’estero;
  • il lavoratore, nell’arco di dodici mesi, deve soggiornare nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni.

Smart working e lavoro dipendente all’estero: i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

Dopo aver riepilogato il quadro normativo di riferimento, l’Agenzia delle Entrate ripercorre i precedenti documenti di prassi e fornisce i chiarimenti ai quesiti posti dall’istante.

Come sottolineato nella circolare del Ministero delle Finanze del 16 novembre 2000, numero 207, a determinare la tassazione del lavoro dipendente è la presenza fisica del lavoratore nello Stato.

Nessuna eccezione, quindi, nel caso in cui tale lavoratore abbia lavorato in Italia, sebbene per ragioni connesse con l’emergenza coronavirus.

I dettagli sul calcolo del numero delle giornate lavorative è specificato nel documento di prassi che sottolinea quanto segue:

“il Ministero delle Finanze ha precisato che i giorni di ferie, le festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi vengono considerati per intero giorni relativi alla determinazione della retribuzione dello Stato in cui viene prestata in via prevalente l’attività lavorativa.”

Un ulteriore chiarimento riguarda l’ammontare delle retribuzioni convenzionali.

Come specificato nella circolare 13 maggio 2011, n. 20/E dell’Agenzia delle Entrate, il decreto del Ministero del Lavoro che determina l’importo delle retribuzioni convenzionali prevede la possibilità di frazionare tali somme per adeguarle alla durata effettiva del periodo di lavoro.

In relazione al caso concreto, l’Agenzia delle Entrate ritiene che il requisito minimo delle giornate svolte all’estero sia soddisfatto, in base al calcolo precedentemente illustrato.

La retribuzione convenzionale relativa al mese di febbraio 2020 deve essere riparametrata sulla base del trasferimento in Italia del dipendente.

Il reddito prodotto dal lavoratore mentre lavorava in smart working dall’Italia deve essere rideterminato, ai sensi dei commi da 1 a 8 dell’articolo 51, del TUIR.

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