Smart working e residenza fiscale: in tilt anche le convenzioni contro le doppie imposizioni?

Rosy D’Elia - Imposte

Lo smart working potrebbe avere i suoi effetti anche sulla residenza fiscale e sulla disciplina delle doppie imposizioni. Dove è tenuto a versare le imposte un cittadino che trascorre più di 183 giorni in Italia ma risiede all'estero o viceversa? Secondo l'OCSE, bisogna tener conto del periodo in cui sono in vigore le restrizioni ed escluderlo dal calcolo. Ma è davvero così semplice?

Smart working e residenza fiscale: in tilt anche le convenzioni contro le doppie imposizioni?

Dove è tenuto a versare le imposte un cittadino che risiede all’estero ma trascorre più di 183 giorni in Italia lavorando in smart working o, viceversa, un contribuente che ha la residenza fiscale sul nostro territorio ma si trova in un altro paese?

L’emergenza coronavirus rischia di mandare in tilt anche le regole alla base della disciplina delle convenzioni contro le doppie imposizioni.

Ma dall’OCSE, nelle linee guida su trattati fiscali e pandemia da Covid 19 aggiornate al 21 gennaio 2021, arrivano le indicazioni da seguire: andrebbe escluso il periodo in sono in vigore le restrizioni per arginare il contagio. Ma è davvero così semplice individuare nettamente la finestra temporale essendoci in gioco stati diversi?

Smart working e residenza fiscale: le linee guida OCSE

Con il documento del 21 gennaio 2021, l’OCSE aggiorna e conferma le linee guida emanate dal Segretariato dell’OCSE nell’aprile 2020: la pandemia continua a richiedere misure senza precedenti e restrizioni a viaggi e spostamenti, con modalità diverse sono in vigore regole ed eccezioni in tutti i paesi e si continuerà in questa direzione anche per l’anno appena cominciato.

“Fornire maggiore certezza ai contribuenti durante questo periodo eccezionale” è l’obiettivo del documento. O forse, sarebbe meglio dire, la sfida.

Uno dei punti trattati e controversi riguarda l’impatto dell’emergenza coronavirus sulla residenza fiscale.

Un cittadino può trascorrere o aver trascorso un lungo periodo nello stato in cui non risulta fiscalmente residente a causa delle restrizioni imposte, ma anche per volontà beneficiando dello smart working: ipotesi che fanno sorgere interrogativi sull’applicazione delle regole in vigore.

In generale, secondo quanto stabilito dall’articolo 15 del modello OCSE, i redditi da lavoro potrebbero essere tassati in una giurisdizione diversa da quella in cui si ha la residenza fiscale in caso di svolgimento del lavoro sul territorio per un periodo superiore a 183 giorni.

Ed è proprio su questo punto che arriva la nuova indicazione dell’OCSE: le amministrazioni fiscali e le autorità competenti dovranno considerare la durata delle misure di salute pubblica imposte o raccomandate dal governo e valutare di escluderle dal calcolo.

Una eccezione alla regola, strettamente legata alla presenza fisica sul territorio, che non può essere più applicata quando le restrizioni vengono revocate.

Smart working e residenza fiscale all’estero, le linee guida OCSE e la posizione dell’Italia

A stabilire i termini della residenza fiscale in Italia è l’articolo 2 del TUIR, Testo unico delle imposte sui redditi, in cui si legge:

“Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile”.

La maggior parte del periodo di imposta corrisponde a 183 giorni, che diventano 184 negli anni bisestili. E basta solo una delle condizioni menzionate per determinare la residenza sul territorio.

Come più volte sottolineato anche dall’Agenzia delle Entrate con documenti di prassi, l’iscrizione all’AIRE, Anagrafe Italiani Residenti all’Estero, non è rilevante per escluderla se si verificano le condizioni descritte.

Il tema dell’impatto dello smart working sull’individuazione chiara della residenza fiscale dei cittadini è stato anche al centro della risposta all’interrogazione parlamentare pubblicata il 3 dicembre 2020.

La posizione assunta in Italia dal Ministero dell’Economia e delle Finanze risulta perfettamente in linea con quella dell’OCSE, evidenziata già dalla scorsa primavera.

Il MEF ricorda la regola generale:

“Nei casi in cui una persona fisica sia considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, ai sensi delle rispettive normative domestiche, apposite disposizioni, generalmente contenute all’Articolo 4 delle Convenzioni, conformemente a quanto previsto dal Modello OCSE di Convenzione fiscale, individuano i criteri dirimenti (le cosiddette tie-breaker rules) al fine di stabilire la residenza della persona ai fini della Convenzione. Tale regole prendono in considerazione, nell’ordine, i criteri della disponibilità di un’abitazione permanente, il centro degli interessi vitali, il luogo in cui il soggetto soggiorna abitualmente, la nazionalità (quando non sia possibile stabilire la residenza in base a detti criteri, le autorità competenti degli Stati contraenti devono accordarsi al riguardo)”.

L’abitualità del soggiorno deve essere valutata non solo in base al numero dei giorni ma anche alla frequenza, durata e regolarità nella vita ordinaria e in un periodo come quello attuale non può non essere considerata l’eccezionalità dell’emergenza coronavirus.

Come evidenziato dal MEF a dicembre 2020, in linea con l’orientamento OCSE, l’Italia ha concluso accordi con le Autorità competenti di alcuni Paesi, finalizzati a risolvere le questioni legate a smart working, residenza fiscale e tassazione: Austria, Svizzera, Francia.

E inoltre:

“gli uffici dell’Amministrazione finanziaria, per quanto di competenza, confermano la loro disponibilità ad assicurare la trattazione di procedure amichevoli con le autorità dei Paesi interessati, ove siano rilevati casi di difficoltà o dubbi inerenti all’interpretazione o all’applicazione di specifiche disposizioni contenute nelle Convenzioni sulle doppie imposizioni, in considerazione delle circostanze verificatesi con l’emergenza sanitaria ancora in corso”.

Dubbi che, in ogni caso, non possono dirsi definitivamente sciolti dal momento che se è vero che le restrizioni e le misure anticontagio sono in vigore ovunque, è anche vero che i tempi e le modalità non sono le stesse per tutti.

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