La proroga dello split payment

Il meccanismo dello split payment IVA è stato prorogato fino al 30 giugno 2026. Con l'ok della Commissione Europea è quindi confermata l'applicazione per i soggetti già obbligati negli scorsi anni. Un'analisi della misura e delle criticità

La proroga dello split payment

Nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea L188 del 27 luglio 2023 è stata pubblicata la decisione di esecuzione UE n. 2023/1552 del Consiglio del 25 luglio 2023, recante modifica della decisione di esecuzione UE n. 2017/784 per quanto riguarda il periodo di autorizzazione e l’ambito di applicazione della misura speciale di deroga agli articoli 206 e 226 della direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, adottata dall’Italia con lo split payment.

La decisione autorizza (autorizzazione n. 342/2023) l’Italia a prorogare l’applicazione della misura speciale dello split payment dell’IVA con effetti (retroattivi) dal 1° luglio 2023 (la precedente proroga era infatti scaduta il 30 giugno 2023).

Ne consegue che lo split payment continuerà ad applicarsi fino al 30 giugno 2026 e, almeno in una prima fase, nei confronti dei medesimi soggetti oggi interessati dalla misura. Almeno in una prima fase, in quanto dal 1° luglio 2025 le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a favore delle società quotate in borsa incluse nell’indice FTSE MIB, identificate ai fini IVA (art. 17-ter comma 1-bis lett. d) del DPR 633/72) non saranno comunque più comprese nel campo di applicazione della misura.

La proroga dello split payment

La proroga accoglie la richiesta fatta dall’Italia alla Commissione europea il 26 settembre 2022.

La misura speciale fa parte peraltro di un pacchetto di misure introdotte dall’Italia per contrastare la frode e l’evasione fiscale, che comprende anche l’obbligo di fatturazione elettronica.

Vero è che l’Italia si era ripetutamente impegnata a non chiedere il rinnovo della misura speciale che consente l’applicazione del meccanismo del pagamento frazionato.

La proroga della misura speciale, considerata la sua efficacia e le sinergie con altre misure applicate (tra cui appunto anche l’obbligo della fatturazione elettronica), è stata tuttavia chiesta per evitare una regressione negli sforzi compiuti dal Paese al fine di ridurre il divario dell’IVA.

L’Italia dovrà in ogni caso trasmettere alla Commissione europea, entro il 30 settembre 2024, una relazione sulla situazione generale dei rimborsi IVA ai soggetti passivi interessati e, in particolare, sulla durata media della procedura di rimborso, nonché sull’efficacia di tali misure e di ogni altra misura attuata per ridurre l’evasione fiscale nei settori interessati.

Come funziona lo split payment IVA

Tanto premesso, giova ricordare che il meccanismo dello split payment prevede che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti di pubbliche amministrazioni, delle società controllate da pubbliche amministrazioni centrali e locali (ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile) e delle società quotate in borsa incluse nell’indice FTSE MIB sono soggette ad un particolare regime IVA, che si attua nel modo seguente:

  • chi emette la fattura (fornitore/prestatore della PA) espone (e non addebita) l’imposta, riportando la dicitura “scissione dei pagamenti”,
  • chi riceve la fattura (cessionario/committente) effettua il versamento dell’IVA in apposito conto dell’Amministrazione fiscale.

Introdotto dalla legge di Stabilità 2015 (legge n. 190/2014) con l’obiettivo di realizzare un forte contrasto all’evasione IVA, il Dl n. 148/2017, convertito con modifiche nella legge n. 172/2017, ha peraltro esteso il regime dello split payment a:

  • tutte le pubbliche amministrazioni;
  • gli enti pubblici economici nazionali, regionali e locali, comprese le aziende speciali e le aziende pubbliche di servizi alla persona;
  • le fondazioni partecipate da amministrazioni pubbliche per una percentuale complessiva del fondo di dotazione non inferiore al 70%;
  • tutte le società controllate, in via diretta, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri (e le società da queste stesse controllate);
  • tutte le società controllate, in via diretta o indiretta, dalle amministrazioni pubbliche, dalle regioni, province, città metropolitane, comuni ed unioni di comuni o da enti pubblici economici nazionali, regionali e locali e da fondazioni partecipate da amministrazioni pubbliche (e le società da queste stesse controllate per una percentuale complessiva del capitale non inferiore al 70);
  • le società quotate inserite nell’indice FTSE MIB della Borsa italiana identificate agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto.

La legge n. 96 del 9 agosto 2018 ha escluso invece dallo split payment le prestazioni di servizi effettuate dai professionisti soggetti a ritenute a titolo di imposta o di acconto ai sensi dell’art. 25 del Dpr n. 600/1973.

Lo split riguarda tutti gli acquisti effettuati dalle pubbliche amministrazioni individuate dalla norma, sia quelli effettuati in ambito istituzionale che quelli effettuati nell’esercizio di attività d’impresa.

In merito all’esigibilità dell’imposta, la stessa diventa esigibile al momento del pagamento della fattura ovvero, su opzione dell’amministrazione acquirente, al momento della ricezione della fattura.

I soggetti passivi dell’IVA, che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi soggette a “split” emettono la fattura secondo quanto previsto dall’art. 21 del decreto n. 633 del 1972 con l’annotazione «scissione dei pagamenti».

Lo split non trova invece applicazione in relazione alle operazioni di acquisto di beni e servizi assoggettate a regimi speciali che non prevedono l’evidenza dell’Iva in fattura e che ne dispongono l’assolvimento secondo regole proprie (es. reverse charge; operazioni con l’estero).

Le criticità dello split payment

Lo split payment, proprio per il suo meccanismo di funzionamento, è stato comunque nel tempo oggetto di diverse critiche, richieste di modifiche e abrogazione, a causa dei problemi di liquidità alle imprese che il meccanismo determinerebbe.

Si parla infatti di scissione dei pagamenti (split payment) in quanto il pagamento, che viene normalmente trasferito dal cliente al fornitore (corrispettivo in cambio della fornitura più IVA), è così suddiviso:

  • da un lato, il corrispettivo è versato al fornitore dei beni o dei servizi; e,
  • dall’altro lato, l’IVA dovuta è versata su un conto bancario bloccato dell’amministrazione fiscale.

Uno degli effetti “critici” della scissione dei pagamenti è dunque il fatto che, essendo i fornitori soggetti passivi, essi non possono compensare l’IVA versata a monte con l’IVA percepita sulle loro forniture. Questi potrebbero dunque (ed in effetti si trovano) trovarsi costantemente in una posizione creditoria e dover chiedere un rimborso effettivo di tale IVA all’amministrazione fiscale.

Nel meccanismo dello split payment vi sarebbe inoltre la violazione, quanto meno potenziale, di due principi di portata comunitaria:

  • il principio della neutralità fiscale dell’IVA, che sebbene non negato (non è, infatti, negato né il diritto alla detrazione, né quello al rimborso del credito), potrebbe essere di fatto violato dal ritardo con cui l’Erario rimborsa il credito IVA (da qui la richiesta della Commissione europea di rassicurazioni sui tempi effettivi di rimborso).
  • il principio di proporzionalità delle deroghe alla “Direttiva IVA”, secondo cui ogni deroga alle disposizioni della Direttiva 2006/112/CE deve essere proporzionata, necessaria e di portata limitata, non potendo le deroghe costituire soluzioni a lungo termine.

Sotto altro profilo, del resto, l’obbligo di fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi giornalieri per specifici settori rendono già possibile il controllo in tempo reale delle singole operazioni e degli importi esatti di IVA che le Pubbliche amministrazioni sono tenute a pagare sui loro acquisti.

Se è vero, però, che la fatturazione elettronica svolge un’efficace azione di contrasto all’evasione IVA attraverso il tracciamento delle operazioni e l’agevolazione dei conseguenti controlli, è altrettanto vero che il versamento dell’imposta resta comunque un adempimento affidato all’iniziativa del contribuente, laddove, al contrario, nello split payment l’imposta viene versata direttamente dal cessionario pubblico.

In termini di efficacia antievasione, perciò, il regime di scissione dell’imposta appare più incisivo della fatturazione elettronica, dalla quale, perciò, non può ritenersi ragionevolmente superato.

Una soluzione interessante che potrebbe risolvere le dette criticità potrebbe semmai consistere nella introduzione di meccanismi simili al plafond utilizzato dagli esportatori abituali, che consentirebbe di acquistare beni e servizi senza dover corrispondere l’Iva ai propri fornitori.

A tal proposito si evidenzia come tale soluzione sia già stata proposta anche nella proposta di legge n. 1074/2018, che, all’art. 17, prevedeva che le cessioni e le prestazioni effettuate da soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato nei confronti di operatori tenuti all’applicazione del regime dello split fossero eseguite, previa presentazione di apposita dichiarazione al competente Ufficio ADE, senza pagamento dell’imposta nel limite dell’ammontare complessivo dei corrispettivi delle operazioni assoggettate allo stesso regime nel corso dell’anno solare precedente e sempreché detto ammontare fosse superiore ad una certa soglia.

Tale soluzione non presenterebbe evidenti effetti negativi o criticità, se non il pericolo, come per le attuali ipotesi di plafond esportatori abituali, di fenomeni frodatori.

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