Un semplice comunicato stampa non è fonte di diritto

Emiliano Marvulli - Dichiarazione IVA

Niente sanzioni in caso di errori dovuti a dubbi interpretativi contenuti in una risoluzione poco chiara, anche nel caso di chiarimenti contenuti in un successivo comunicato stampa

Un semplice comunicato stampa non è fonte di diritto

Negli ultimi anni gli addetti ai lavori del fisco si sono trovati spesso davanti a paradossali situazioni di dubbio, a volte anche legate alla basica gerarchia delle fonti.

Si pensi, a titolo di esempio, ai casi in cui un ente pubblico importante annunciava con un comunicato stampa una proroga oppure un imminente provvedimento, che sarebbe stato poi contenuto in un provvedimento di legge che sarebbe stato approvato di li a poco.

Queste situazioni, apparentemente innocue, possono in realtà generare molti dubbi tra i cittadini. In alcuni casi, addirittura, alcuni cittadini ritengono in buona fede di potersi affidare a quanto letto in un semplice comunicato stampa.

Attenzione: non è mai così! Le fonti del diritto non sono mai cambiate nel corso del tempo e occorre prestare molta attenzione a quello che la legge prevede e quello che i provvedimenti amministrativi vanno ad attuare, come nel caso che analizzeremo oggi.

Si presume buona fede, e quindi le sanzioni non sono dovute, quando il contribuente è tratto in errore dai dubbi interpretativi contenuti in una risoluzione ministeriale, a nulla rilevando le precisazioni fornite in un successivo comunicato stampa dell’Agenzia delle entrate, in quanto documento non avente alcuna valenza nell’ambito della gerarchia delle fonti.

Sono queste le importanti indicazioni contenute in una datata ma sempre attuale Ordinanza della Corte di Cassazione (n. 370/2019).

Le fonti del diritto non sono cambiate: un semplice comunicato stampa non è legge

Oggetto del contendere riguarda un avviso di irrogazione sanzioni derivanti dall’illegittima compensazione di Iva per l’anno 2011, impugnato dal contribuente.

Il ricorso è stato accolto sia dalla CTP che dalla CTR, con il conseguente annullamento dell’atto impositivo.

La CTR ha riconosciuto la buona fede del contribuente che era stato tratto in errore dai dubbi interpretatiti contenuti della Risoluzione n. 218/E del 5 dicembre 2003, a nulla rilevando il successivo comunicato stampa dell’Agenzia delle entrate, diramato il 20 luglio 2004, contenente indicazioni più precise sulla fattispecie oggetto del contendere.

A parere dei giudici d’appello, infatti, il comunicato non ha alcuna rilevanza

“in quanto atto più difficilmente reperibile per il contribuente e comunque sprovvisto della veste di Risoluzione Ministeriale”, non potendosi quindi far valere “quale strumento di correzione e ripensamento delle valutazioni dell’Amministrazione Finanziaria stessa”

L’Agenzia delle Entrate ha allora proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, deducendo l’erroneità della sentenza di secondo grado nel punto in cui sono state ritenute non dovute le sanzioni per l’avvenuto superamento del c.d. “plafond” previsto in materia di compensazioni IVA.

La Corte di cassazione ha ritenuto infondato il motivo e ha rigettato il ricorso dell’Amministrazione finanziaria.

Le circolari ministeriali non sono fonti del diritto ma il principio di buona fede e affidamento può consentire di evitare le sanzioni

In materia di principi generali sul tema sanzionatorio, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio più volte espresso secondo cui “le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, sicché, ove il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell’affidamento, espressamente sancito dall’art. 10, comma 2, della I. n. 212 del 2000.”

Il principio è stato ripreso anche a livello di giustizia comunitaria allorquando gli eurogiudici, con riferimento all’IVA in quanto tributo armonizzato, hanno affermato che “quelli della tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto costituiscono principi generali del diritto e dell’ordinamento comunitari.”

Il tema centrale ruota pertanto attorno al principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino-contribuente

“che guardi con diligenza e in buona fede alle affermazioni dell’Amministrazione Finanziaria, specialmente quelle rese in sede di documenti di prassi amministrativa”

Con riferimento alla valenza giuridica di circolari e risoluzioni emanate dall’Autorità fiscale, la giurisprudenza di legittimità è chiara nell’affermare che tali documenti non sono vincolanti né per il contribuente né per la stessa Amministrazione emanante, che resta libera di poter addirittura disattendere completamente l’interpretazione adottata.

Infatti, se si accettasse il fatto che un documento interpretativo crei un vincolo in sede amministrativa e giudiziale equivarrebbe a riconoscere

“all’amministrazione stessa un potere normativo che, a tacer d’altro, è in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge codificato dall’art. 23 Cost.”

Nel caso di specie il contribuente è stato tratto in errore a fronte di un dubbio interpretativo scaturito dalle indicazioni poco chiare fornite in una risoluzione, a cui l’Amministrazione ha fatto seguire un comunicato stampa contenente istruzioni più precise.

A parere dei giudici di legittimità, che sottolineano il fatto che il “comunicato stampa” non ha alcuna collocazione nella gerarchia delle fonti in quanto “non-provvedimento”, esso non costituisce strumento “sufficiente a rimuovere ogni oscurità interpretativa”, soprattutto in una materia come quella della compensabilità dell’IVA ancora molto dibattuta e irrisolta all’epoca dei fatti.

Da qui è stata evinta la buona fede del contribuente e la conseguente non applicabilità delle sanzioni nonostante lo sforamento del plafond previsto dalla legge.

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