Contraddittorio preventivo generalizzato

Sotto la lente di ingrandimento della Corte Costituzionale il contraddittorio preventivo generalizzato: sul tema, inoltre, la riforma fiscale mette in cantiere delle novità

Contraddittorio preventivo generalizzato

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 47 del 21 marzo 2023, ha espresso rilevanti considerazioni in tema di contraddittorio preventivo generalizzato; tema, come noto, oggetto anche della legge delega fiscale.

Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale aveva sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, nella parte in cui “non estende il diritto al contraddittorio endoprocedimentale a tutte le modalità di accertamento in rettifica poste in essere dall’Agenzia delle Entrate”, in particolare se effettuate tramite verifiche “a tavolino”.

Contraddittorio preventivo generalizzato al centro della Sentenza n. 47 del 2023 della Corte Costituzionale

Nella specie, la società deduceva la violazione del contraddittorio, essendo l’avviso di accertamento “scaturito da una mera richiesta di documentazione contabile”, senza previa specifica contestazione individuale delle violazioni.

Il motivo di appello aveva, ad avviso del rimettente, efficacia dirimente, portando, laddove accolto, all’annullamento dell’accertamento e all’assorbimento delle censure di merito.

Con riferimento alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osservava che, mentre per i cosiddetti tributi armonizzati, l’obbligo del contraddittorio deriva dal diritto europeo, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia, per i tributi non armonizzati, come l’IRES e l’IRAP, esso sarebbe previsto solamente nell’ipotesi di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, ossia all’esito di una verifica che si sia svolta presso il contribuente.

Nel caso delle cosiddette verifiche “a tavolino” - a cui era riconducibile la fattispecie in esame - invece, non sarebbe previsto alcun contraddittorio endoprocedimentale.

Rileva il giudice rimettente che, in sostanza, l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 12, comma 7, cit., nel senso di ritenere che “l’obbligo del contraddittorio deve precedere in ogni caso l’emissione di un avviso di accertamento all’esito di qualsiasi tipo di controllo”, sarebbe impedita dal diritto vivente, risalente alla sentenza n. 24823/2015 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Tuttavia, rileva il medesimo giudice, il contraddittorio endoprocedimentale servirebbe a garantire, da un lato, il diritto di difesa del contribuente, potendo far emergere elementi idonei a contestare i presupposti dell’accertamento fiscale, e, dall’altro, il diritto ad una buona amministrazione, potendo deflazionare il contenzioso fiscale.

Secondo la Consulta, l’eccezione non era però fondata.

L’Avvocatura generale dello Stato, rileva la Corte, aveva eccepito l’inammissibilità della questione in quanto l’intervento additivo sollecitato dal giudice a quo non sarebbe costituzionalmente vincolato.

In un ambito riservato alla discrezionalità del legislatore, che ha infatti introdotto distinti e variegati modelli di partecipazione del contribuente alla formazione dell’atto impositivo, non competerebbe dunque alla Consulta estendere, in via generale, il contraddittorio endoprocedimentale specificamente delineato dal censurato art. 12, comma 7.

La Corte, ricorda che la giurisprudenza di legittimità ha escluso che possa attribuirsi valenza generale alla previsione dell’art. 12, comma 7, perché questa disposizione, come emerge dal suo tenore testuale, va delimitata ai soli accertamenti conseguenziali ad accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi di riferimento del contribuente, senza che possa estendersi anche alle verifiche “a tavolino” (ex multis, Cassazione, 13 dicembre 2022, n. 36502; Cassazione, 29 luglio 2022, n. 23729; Cassazione 6 aprile 2020, n. 7690; Cassazione 3 luglio 2019, n. 17897).

La Consulta evidenzia comunque che, pur a fronte della mancanza, in ambito tributario, di una previsione generale sulla formazione partecipata dell’atto impositivo, si è assistito, nel tempo, a progressive aperture del legislatore, che hanno reso obbligatorio, in un sempre più consistente numero di ipotesi, il contraddittorio endoprocedimentale.

Contraddittorio preventivo generalizzato: una panoramica sul tema

Si tratta però di disposizioni specifiche, che prescrivono l’interlocuzione preventiva con il contribuente con modalità ed effetti differentemente declinati a seconda della dinamica istruttoria seguita dall’Amministrazione e delle esigenze ad essa sottese.

Ad esempio, l’art. 38, settimo comma, del Dpr. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione alla determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche, prescrive, a pena di nullità, che l’ufficio convochi il contribuente e, poi, avvii il procedimento di accertamento previsto dall’art. 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218.

Analogo iter è previsto per l’accertamento legato agli studi di settore.

Altresì, nelle ipotesi di controllo automatizzato delle dichiarazioni dei redditi di cui all’art. 36-bis del Dpr. n. 600 del 1973 e di controllo formale di cui all’art. 36-ter del medesimo decreto, letti alla luce dell’art. 6, comma 5, Statuto contribuente, l’esito, rispettivamente, della liquidazione o del controllo devono essere, a pena di nullità, comunicati al contribuente, il quale, entro il successivo termine di trenta giorni, può fornire i necessari chiarimenti (sempre che vi sia incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione).

Tra le principali ipotesi tipizzate di contraddittorio endoprocedimentale vi è, poi, l’art. 10-bis Statuto contribuente, che, impone, a pena di nullità, una preventiva richiesta di chiarimenti, caratterizzata dalla precisa indicazione degli elementi che portano a ritenere configurabile l’abuso del diritto, a cui segue la concessione di un termine dilatorio di sessanta giorni, durante il quale al contribuente è data la possibilità di comunicare i chiarimenti sollecitati dall’ufficio, dei quali l’Amministrazione è obbligata a tenere conto in sede di motivazione dell’atto impositivo (commi 6, 7, 8).

Alla frammentazione delle norme sul contraddittorio si contrappone, infine, la previsione, in capo all’Amministrazione tributaria, di un obbligo generale di attivarlo ogniqualvolta adotti decisioni che rientrano nella sfera di applicazione del diritto europeo, nell’accertamento dei cosiddetti “tributi armonizzati”, la cui inosservanza può portare all’invalidità dell’atto impositivo, ma solo nel caso in cui il contribuente assolva alla “prova di resistenza”, allegando cioè le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede procedimentale e il conseguente pregiudizio subito.

Infine, ricorda la Consulta, l’art. 4-octies del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, in legge 28 giugno 2019, n. 58, ha introdotto, nel Dlgs. n. 218 del 1997, l’art. 5-ter, in forza del quale, prima di emettere un avviso di accertamento, l’ufficio deve notificare al contribuente l’invito a comparire per avviare il procedimento di accertamento con adesione (co., 1); e, in caso di mancato accoglimento dei chiarimenti forniti nel corso del contraddittorio, è imposto all’Amministrazione un obbligo di motivazione rinforzata (co., 3).

L’invito a comparire può essere peraltro omesso soltanto nei “casi di particolare urgenza, specificamente motivata, o nelle ipotesi di fondato pericolo per la riscossione”(co., 4).

Il comma 5 del citato art. 5-ter tipizza inoltre la cosiddetta prova di resistenza, prevedendo che “il mancato avvio del contraddittorio [...] comporta l’invalidità dell’avviso di accertamento, qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato”.

La stessa Consulta ha del resto già riconosciuto che il contraddittorio endoprocedimentale, quale espressione del principio del “giusto procedimento”, ha assunto un ruolo centrale nel nostro ordinamento (sentenza n. 71 del 2015), anche come criterio di orientamento non solo per l’interprete, ma prima ancora per il legislatore (sentenza n. 210 del 1995).

E ciò vale anche in ambito tributario, dove il contraddittorio endoprocedimentale, da un lato, persegue lo scopo di “ottimizzare” l’azione di controllo fiscale, risultando così strumentale al buon andamento dell’Amministrazione finanziaria; e, dall’altro, garantisce i diritti del contribuente, sin dalla fase amministrativa.

La mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, conclude la Corte Costituzionale, oggi limitato a specifiche e tipizzate fattispecie, risulta dunque ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, sia a livello normativo che giurisprudenziale.

Tuttavia, dalla pluralità dei moduli procedimentali legislativamente previsti e dal loro ambito applicativo, emerge la difficoltà di assumere una di esse a modello generale (come suggeriva il giudice a quo).

Il principio generalizzato di contraddittorio non può dunque essere esteso in via generale tramite una sentenza costituzionale, che potrebbe creare disfunzioni nel sistema tributario, spettando al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali evidenziati, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni, che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco.

La Corte dichiara quindi inammissibile la questione, ma invita il Legislatore ad intervenire (invito peraltro già accolto nella legge delega), in quanto il superamento dei prospettati dubbi di legittimità costituzionale esige comunque un intervento di sistema del legislatore.

Come detto, il Legislatore sembra avere già accolto questo invito con la recente Legge delega, dove emerge chiaramente la volontà di affermare l’obbligo del principio del contraddittorio preventivo tra fisco e contribuente.

La Legge delega - art. 17, lettera b), comma 1 - interviene in particolare prefigurando il riconoscimento, “in via generalizzata” e a pena di nullità, del contraddittorio preventivo (all’infuori dei controlli automatizzati), prescrivendo l’introduzione di una disposizione generale unica che disciplini in modo omogeneo l’istituto, “indipendentemente dalle modalità con cui si svolge il controllo”, a prescindere, quindi, da se il controllo si svolga mediante accesso o a tavolino.

In ogni caso, poi, viene previsto anche l’obbligo della cosiddetta motivazione rafforzata, dovendo l’ente impositore motivare espressamente sulle osservazioni formulate dal contribuente.

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