La mancata tassazione delle vincite da gioco estere

Giovambattista Palumbo - Leggi e prassi

Tassazione di vincite presso case da gioco estero considerate esenti: una discriminazione, se si considera che le case da gioco nazionali pagano l'imposta unica, che contiene a sua volta anche la parte di tassazione sulle vincite

La mancata tassazione delle vincite da gioco estere

La prevalente giurisprudenza di merito e di legittimità ha affermato la non tassazione delle vincite da gioco conseguite all’estero.

Nel caso che analizziamo oggi - tratto dalla datata ma sempre attuale ordinanza n. 13038/2021 della Corte di Cassazione - era stata contestata al contribuente l’omessa dichiarazione di un “reddito diverso”, rappresentato dalla vincita di Euro 735.909,85, conseguita in una casa da gioco estera a Nova Goriza (Slovenia).

In particolare, l’Ufficio contestava la violazione dell’art. 67, comma 1, lett. d) del TUIR, il quale prevede che “le vincite delle lotterie, dei concorsi a premio, dei giochi e delle scommesse organizzate per il pubblico e i premi derivanti da prove di abilità o della sorte...” costituiscono redditi diversi da sottoporre a tassazione.

Il contribuente impugnava gli atti impositivi, lamentando, per quanto di interesse, l’illegittimità degli artt. 67, comma 1, lett. d) del TUIR, come interpretato e applicato dall’Agenzia delle Entrate, per contrasto con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e del Trattato Istitutivo dell’Unione Europea.

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L’Ufficio si costituiva nei vari giudizi, evidenziando come non esistesse, nel caso in oggetto, un problema di doppia imposizione e di conseguente contrasto con la normativa comunitaria.

L’Amministrazione finanziaria deduceva, inoltre, che la vincita oggetto del contendere costituiva un reddito diverso, non autonomamente disciplinato dalla convenzione tra Italia e Slovenia, per cui doveva trovare applicazione il criterio residuale, previsto dall’art. 21 della predetta convenzione, concernente i redditi non espressamente menzionati, ovvero la tassazione esclusiva delle vincite nel Paese di residenza del beneficiario (Italia).

L’Agenzia sottolineava, inoltre, l’infondato richiamo alla giurisprudenza comunitaria citata da controparte (controversia Lindman vs Finlandia), che riguardava l’ipotesi in cui uno Stato membro (Finlandia) considerava le vincite come soggette a tassazione se provenienti da giochi d’azzardo organizzati in altri Stati membri, mentre le considerava non imponibili se organizzati nel proprio Stato, da cui la conseguente discriminazione dei cittadini comunitari.

Mentre, al contrario, in Italia le vincite al gioco conseguite nel territorio dello Stato sono soggette ad imposizione fiscale.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva i ricorsi proposti dal contribuente, affermando che “appariva illuminante e perfettamente pertinente... il richiamo al caso Lindman di cui alla sentenza C- 42102” e che l ’applicazione data dall’Ufficio all’art.67 TUIR concretizzava una violazione dei principi di eguaglianza e non discriminazione dei cittadini comunitari, in quanto le somme vinte nei Casinò italiani (anche da parte di soggetti esteri) non formavano oggetto di imposizione diretta a carico dei vincitori stessi.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’Ufficio, contestando il ritenuto contrasto tra la norma nazionale e la normativa e giurisprudenza comunitaria.

La Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello, statuendo che “la conclusione cui il Collegio giunge è nel senso che l’art. 67, comma 1, lettera d) TUIR, così come applicato nel caso di specie in riferimento a vincita conseguita da cittadino italiano in casa da gioco autorizzata slovena, non sia compatibile con la normativa comunitaria”.

L’Agenzia delle Entrate ricorreva infine in Cassazione, denunciando la violazione degli artt. 67, primo comma, lett. d) e 69 del Dpr. 22 dicembre 1986 n.917, dell’art. 30 del Dpr. 29 settembre 1973 n.600, dell’art. 21 della Convenzione Italia-Slovenia e degli artt. 52 e 56 TFUE (già artt. 46 e 49 del Trattato CE).

Secondo la ricorrente, per effetto delle citate disposizioni, i proventi del gioco d’azzardo realizzati in Italia ed erogati da case da gioco autorizzate, non sono soggetti a ritenuta a titolo d’imposta, essendo tale ritenuta compresa nella imposta sugli intrattenimenti gravante sui gestori delle case da gioco.

Viceversa, nel caso di vincite realizzate all’estero, non operando l’articolo 30 del Dpr. n. 600/1973 (non avendo lo Stato italiano potestà impositiva nei confronti dei gestori le sale da gioco estere), torna applicabile la disciplina generale di cui agli articoli 67 e 69 del Tuir, per cui tali vincite “costituiscono reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione.

Tale quadro normativo, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici regionali, secondo l’Agenzia, non risultava contrario alle disposizioni del TFUE, né alla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Corte di Cassazione - Ordinanza numero 13038 del 14 maggio 2021
Il testo integrale dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 13038 del 14 maggio 2021.

La mancata tassazione delle vincite da gioco estere: la decisione della Corte di Cassazione

Secondo la Suprema Corte, la censura era infondata.

Evidenziano i giudici di legittimità che, visto il combinato disposto delle varie norme, in sostanza, il sistema interno di tassazione per le vincite al gioco prevede che le vincite realizzate “costituiscono reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione” (art. 69, comma 1, Tuir); tuttavia se il soggetto erogatore è uno dei soggetti di cui all’art. 23 del Dpr. n. 600/1973 (società enti, lavoratori autonomi ecc.), in base all’art. 30 del medesimo Dpr., le vincite e gli altri proventi del gioco “sono soggetti a una ritenuta alla fonte a titolo di imposta, con facoltà di rivalsa”, ma tale ritenuta non è operata “sulle vincite corrisposte dalle case da gioco autorizzate”, in quanto, in tali ipotesi, la tassazione “è compresa nell’imposta sugli spettacoli di cui all’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640.

Secondo l’Amministrazione finanziaria, ricorda la Corte, per effetto delle citate disposizioni, i proventi del gioco d’azzardo realizzati in Italia ed erogati da case da gioco autorizzate, non sono soggetti a ritenuta a titolo d’imposta, essendo appunto tale ritenuta già “compresa” nella imposta sugli spettacoli (ora sugli intrattenimenti) gravante sui gestori delle case da gioco.

Viceversa, nel caso di vincite realizzate all’estero, non operando l’articolo 30 cit., torna applicabile la disciplina generale di cui agli articoli 67 e 69 del Tuir (con tassazione ordinaria).

La questione, affermano i giudici, è stata però già oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea (Causa C-367/13), alla quale è stato sottoposto il seguente quesito: “Se l’assoggettamento ad obblighi dichiarativi ed impositivi a fini fiscali delle vincite conseguite presso case da gioco di Paesi membri dell’Unione Europea da persone residenti in Italia, come previsto dall’articolo 67, lettera d) DPR n. 917 del 22 dicembre 1986 (TUIR), si ponga in contrasto con l’articolo 49 del Trattato CE (ora 56 TFUE), oppure se sia da ritenersi giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, ai sensi dell’articolo 46 del Trattato CE (ora 52 TFUE)”.

E la Corte di Giustizia, con sentenza del 22 ottobre 2014, nelle cause riunite C-344/13 e C-367/13, ha dichiarato che “gli articoli 52 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro, la quale assoggetti all’imposta sul reddito le vincite da giochi d’azzardo realizzate in case da gioco situate in altri Stati membri, ed esoneri invece dall’imposta suddetta redditi simili allorché provengono da case da gioco situate nel territorio nazionale di tale Stato.

Ciò in quanto una tale normativa genererebbe una restrizione discriminatoria della libera prestazione dei servizi, quale garantita dall’articolo 56 TFUE, nei confronti non soltanto dei prestatori, ma anche dei destinatari di tali servizi, che, secondo quanto ritenuto dalla Corte di Giustizia, occorre verificare se possa essere giustificata.

E tale normativa può essere giustificata soltanto nella misura in cui persegua obiettivi corrispondenti ai motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica di cui all’articolo 52 TFUE, nel rispetto del requisito di proporzionalità, laddove però la stessa Corte comunitaria, con la sentenza citata, ha rilevato che, per quanto riguarda gli obiettivi di ordine pubblico relativi alla prevenzione del riciclaggio di capitali e alla necessità di limitare le fughe all’estero o le introduzioni in Italia di capitali di origine incerta, è sufficiente constatare, anzitutto, che le autorità di uno Stato membro non possono validamente presumere, in maniera generale e senza distinzioni, che gli organismi e gli enti stabiliti in un altro Stato membro si dedichino ad attività criminali (v., in tal senso, sentenza Commissione/Spagna, EU:C:2009:618, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata); né, sotto il profilo della tutela della sanità pubblica, l’assoggettamento ad imposta, da parte di uno Stato membro, delle vincite provenienti da case da gioco situate in altri Stati membri e l’esenzione delle vincite provenienti dalle case da gioco situate nel territorio di detto Stato sono idonei a garantire, in maniera coerente, la realizzazione dell’obiettivo della lotta contro la ludopatia, dato che una simile esenzione può incoraggiare i consumatori a partecipare ai giochi d’azzardo (v., in tal senso, sentenza Commissione/Spagna, EU:C:2009:618, punto 41).

Tanto premesso, secondo la Cassazione, ne conseguiva che, anche nel caso di specie, del tutto analogo a quello sottoposto all’esame della Corte di Giustizia, la discriminazione in esame non era giustificata.

La mancata tassazione delle vincite da gioco estere: alcune osservazioni

La pronuncia della Cassazione nasce da una, almeno in parte, errata considerazione del presupposto alla base della sentenza della Corte Comunitaria su cui la stessa pronuncia si basa.

La Corte di Giustizia ha infatti detto che il trattamento impositivo su vincite da gioco nazionali e comunitarie deve essere lo stesso, in quanto altrimenti discriminatorio.

Se è vero che una tassazione ordinaria (quale quella pretesa dall’Amministrazione per le vincite estere) rispetto a quella “sostitutiva”, applicata mediante il meccanismo della imposta sugli intrattenimenti (quale quella applicata sulle vincite nazionali), sarebbe discriminatoria, la discriminazione derivante dal fatto che le vincite da gioco estere siano considerate esenti rischia però così, per assurdo, a carico delle case da gioco nazionali e dei giocatori che con tali case ottengono vincite, che, a differenza di quelle, scontano una ritenuta, che contiene a sua volta anche la parte di tassazione sulle vincite.

Bisogna tenere presente che una delle principali motivazioni per cui si gioca è la volontà di vincere.

È chiaro allora che la quota della vincita è un elemento determinante per il giocatore.

Tuttavia, l’ammontare della vincita dipende anche dall’imposizione fiscale su quella vincita.

È dunque fondamentale impedire ogni fattore di illecita concorrenza e in tale direzione andrebbe dunque assicurata una (quanto meno uguale) tassazione delle vincite dei giocatori, a prescindere dal se tali vincite avvengano presso casinò esteri non soggetti ad imposizione in Italia, o casino nazionali soggetti ad imposizione in Italia (in quanto concessionari autorizzati).

Insomma, l’errore da cui rifuggire è quello di ritenere che le vincite nazionali siano esenti tout court da imposizione, laddove, invece, le vincite realizzate presso i concessionari autorizzati italiani non sono oggi soggette ad imposizione in capo al percettore della vincita in quanto l’imposizione reddituale sui vincitori è sostituita dall’imposta sugli intrattenimenti, dovuta dallo stesso concessionario. Ma un’imposta viene versata.

Cosa che invece non accade, naturalmente, nel caso di soggetti non concessionari, o almeno privi di concessione in Italia; e per questo motivo “scattava” l’imposizione ordinaria in qualità di redditi diversi, effettivamente superiore a quella sulle vincite nazionali, ma per quanto detto giustificata dall’impedire appunto che non si applicasse alcuna tassazione.

Differentemente da quelle italiane, le “case da gioco” estere non possono infatti fungere da “sostituti d’imposta”, ai sensi dell’art. 30 del Dpr. 29 settembre 1973, n. 600.

Realizzato tale presupposto cade allora gran parte del ragionamento (solo in teoria corretto) su cui si basa la decisione di legittimità.

La discriminazione, se le vincite presso “case da gioco” estere dovessero essere semplicemente esenti, sarebbe (rectius: è, per quanto poi successo post 2016) dunque a carico delle “case da gioco” italiane (e dei giocatori che con tali case ottengono vincite), che, a differenza di quelle, pagano l’ISI (imposta sugli intrattenimenti - art. 3 del Dpr. n. 640/1972), che, come detto, contiene a sua volta anche la parte di tassazione sulle vincite.

La Commissione europea aveva del resto richiamato il nostro Paese in quanto le vincite conseguite all’estero erano soggette alle aliquote progressive IRPEF, mentre, per quelle conseguite in Italia, l’imposta era considerata assolta attraverso un prelievo alla fonte del 10 per cento, solo indirettamente applicato, in via sostitutiva, nei confronti dei vincitori.

Vi erano quindi due possibilità per risolvere il contenzioso: o includere tout court nell’IRPEF anche (tutte) le vincite avvenute nel territorio italiano, oppure esentare sia le vincite italiane, sia quelle estere.

Con legge 7 luglio 2016, n. 122, il legislatore, per rispondere alla citata procedura di infrazione, è intervenuto per adeguare la normativa interna in materia di tassazione delle vincite corrisposte dalle case da gioco, scegliendo però una terza via non del tutto coerente.

In particolare, l’art. 6 della citata legge ha abrogato l’ultimo comma dell’art. 30, Dpr. n. 600 del 1973 ed ha contestualmente modificato l’art. 69 Tuir, inserendovi il comma 1-bis, che stabilisce che “le vincite corrisposte da case da gioco autorizzate nello Stato o negli altri Stati membri dell’Unione europea o in uno Stato aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo non concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta”.

Attualmente, dunque, le vincite corrisposte dalle case da gioco autorizzate nello Stato o negli altri Stati membri dell’Unione europea o in uno Stato aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo non concorrono a formare il reddito e non sono soggetti ad alcun prelievo alla fonte.

Quindi, almeno a partire dal 2016, tale esenzione, affermata per il passato in via giurisprudenziale, viene affermata anche in via normativa.

Ma così, come detto, se da una parte si è eliminata la discriminazione a carico delle vincite estere (che scontavano l’imposizione ordinaria rispetto a quelle nazionali che scontano l’imposta sugli intrattenimenti), si è introdotta una discriminazione nei confronti delle vincite nazionali (che scontano l’imposta sugli intrattenimenti rispetto a quelle estere che sono esenti).

A ben vedere, dunque, proprio per impedire ogni discriminazione, sarebbe opportuno intervenire ancora, normativamente, sulla fattispecie.

Per lo stesso principio invocato dalla Corte, non sembra infatti possibile lasciare il meccanismo impositivo sostitutivo sulle vincite sulle giocate italiane, esentando invece completamente le vincite con gli operatori esteri.

La prima e più immediata soluzione (normativa, innovativa) potrebbe dunque consistere nell’imporre un monitoraggio obbligatorio sulle vincite conseguite all’estero, con versamento di una imposta corrispondente a quella subita, con meccanismo sostitutivo, sulle vincite nazionali.

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