Studio professionale associato: è legittimo l’accertamento in capo al singolo professionista

È legittimo l'accertamento sui singoli associati dello studio professionale. Il giudice dovrà esaminare tutti gli indizi di cui dispone per stabilire se la pretesa dell'Agenzia delle Entrate sia legittima. A stabilirlo è l'Ordinanza della Cassazione n. 7109.

Studio professionale associato: è legittimo l'accertamento in capo al singolo professionista

Con l’Ordinanza n. 7109 depositata il 13 marzo 2019 la Corte di Cassazione ha stabilito che, dopo l’accertamento analitico-induttivo in capo allo studio professionale associato, è legittimo l’accertamento di maggiori redditi da lavoro autonomo nei confronti dei singoli associati sulla base della loro quota di partecipazione allo studio.

A riguardo, se l’Amministrazione finanziaria adduce validi elementi indiziari, il giudice ha l’obbligo di esaminare nel loro complesso tutti gli indizi di cui dispone per stabilire se, nel complesso, sia possibile ritenere probabile la maggior pretesa fiscale dell’Ufficio.

Corte di Cassazione - ordinanza n. 7109 del 13 marzo 2019
Studio professionale associato: è legittimo l’accertamento in capo al singolo professionista

Il fatto – A seguito di un accertamento analitico induttivo effettuato nei confronti di uno studio professionale associato, composto da tre professionisti, l’Agenzia delle entrate procedeva a notificare l’avviso di accertamento ad uno di essi per la ripresa a tassazione di maggiori redditi da lavoro autonomo presuntivamente determinati in ragione della propria quota di partecipazione allo studio professionale.

Il professionista impugnava l’atto impositivo, con esito positivo sia in primo che in secondo grado.

L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione d’appello lamentando violazione o falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d) del DPR 600/1973.

A parere dell’Ufficio il giudice di merito aveva trascurato di considerare in maniera adeguata gli elementi addotti a fondamento dell’accertamento in ordine alla sussistenza di maggior reddito rispetto a quello dichiarato. Così facendo il giudice non ha fatto una valutazione complessiva di tali elementi al fine di accertarne la gravità, precisione e concordanza.

A parere dei giudici di legittimità le doglianze dell’Amministrazione finanziaria sono fondate sulla base del consolidato principio per cui, in tema di accertamento presuntivo, il giudice di merito ha l’obbligo di esaminare nel loro complesso tutti gli indizi di cui dispone, “senza negare valore ad uno o più di essi sol perché equivoci, così da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare.”

Nel caso di specie l’Amministrazione finanziaria aveva addotto ben cinque elementi indiziari mentre il giudice ne aveva presi in considerazione soltanto due, limitandosi a escludere la pretesa tributaria in ragione dell’esistenza di accordi, non meglio specificati, che determinavano compensi forfettari in misura inferiore ai minimi tariffari secondo quanto consentito dalla tariffa professionale.

In questo modo il giudice ha omesso sia l’analisi dei singoli elementi indiziari prodotti dall’Ufficio, per verificare se ciascuno di essi potesse effettivamente acquisire in sé rilievo indiziario, sia la loro valutazione complessiva, “onde accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ciascuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento.”

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