Stipendi colpiti dall’inflazione: aumento nella busta paga di luglio, ma serve una soluzione duratura

Rosy D’Elia - Leggi e prassi

Grazie all'applicazione dell'ulteriore taglio del cuneo fiscale è previsto un aumento per gli stipendi che arrivano con le buste paga di luglio. I salari reali italiani, però, sono quelli più colpiti dall'inflazione tra le principali economie OCSE. Qual è la priorità per una soluzione di lungo periodo? La parola passa a lettrici e lettori. Risposta al sondaggio direttamente online e commenti via mail alla redazione

Stipendi colpiti dall'inflazione: aumento nella busta paga di luglio, ma serve una soluzione duratura

Per gli stipendi in arrivo con le buste paga di luglio, tra fine mese e inizio agosto, è previsto un lieve aumento dovuto all’ulteriore taglio del cuneo fiscale destinato a chi ha una retribuzione entro i 35.000 euro fino a dicembre.

Nel frattempo le ultime notizie che arrivano dall’OCSE sono tutt’altro che confortanti per le lavoratrici e i lavoratori dipendenti: nei dati diffusi l’11 luglio l’Italia risulta il Paese che ha registrato il calo dei salari reali più forte tra le principali economie.

All’impennata dell’inflazione non si è accompagnata una crescita delle somme percepite e al termine del 2022, rispetto al periodo precedente la pandemia, si è registrato un 7,5 per cento con segno meno.

I dati e i tempi impongono una risposta forte e di lungo periodo, ben oltre il taglio del cuneo fiscale previsto attualmente: qual è la strada migliore da intraprendere? La parola a lettrici e lettori: la risposta cliccando sul box di seguito.

Stipendi colpiti dall'inflazione

Su quale intervento puntare?

Stipendi colpiti dall’inflazione, arriva l’aumento con le buste paga di luglio ma non basta

Non si può dire che in Italia, oggi come negli anni scorsi, gli stipendi non siano osservati speciali.

Il tema del taglio del costo del lavoro, a cui si è aggiunto quello dell’inflazione, è sempre caldo e al centro del dibattito. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo un forte calo del potere d’acquisto per lavoratrici e lavoratori dipendenti e risposte ancora troppo deboli, come dimostrano i dati.

Qualche risposta dall’attuale Governo, come dal precedente, è arrivata ma di certo non basta.

Sulla scia di quanto previsto un anno fa dall’Esecutivo guidato da Mario Draghi, con l’ultima Legge di Bilancio è stato approvato un primo taglio del cuneo fiscale e contributivo per il 2023:

  • pari al due per cento in caso di retribuzione imponibile non superiore ai 2.692 euro al mese, e quindi 35.000 euro annui;
  • pari al tre per cento per chi resta, invece, sotto la soglia dei 1.923 euro mensili, cioè 25.000 euro annui.

Il Decreto Lavoro ha potenziato la misura per la seconda parte dell’anno portando il taglio al 6 e al 7 per cento. Il lieve aumento, pari a circa 50 euro, si concretizzerà nella busta paga di luglio, quindi con gli stipendi pagati tra la fine di questo mese e l’inizio di agosto.

Questa integrazione, dovuta a una riduzione della quota dei contributi dovuti dal lavoratore o dalla lavoratrice che insieme a quella dovuta dai datori di lavoro e alla totalità delle imposte costituisce il cuneo fiscale e contributivo, spetta fino alla fine dell’anno ma non si applica alla tredicesima.

Stipendi colpiti dall’inflazione, puntare sulla contrattazione collettiva?

Cosa succederà dopo? Serviranno nuovi interventi di lungo periodo e non solo sul cuneo fiscale. Strettamente collegato al tema degli stipendi e al loro valore, su cui ha acceso i riflettori anche l’OCSE, è anche quello della contrattazione collettiva che in Italia ha un’ampia copertura.

La possibilità di agire regolando i singoli contratti nazionali, infatti, viene messa spesso in contrapposizione con l’ipotesi di introdurre un salario minimo.

In Italia è tramite la contrattazione collettiva che si stabilisce quella soglia oraria di retribuzione sotto la quale il datore di lavoro non può scendere che, con il salario minimo, si stabilirebbe per legge.

Anche la direttiva europea approvato sul tema lo scorso ottobre solleva i Paesi che hanno un tasso di copertura dei CCNL superiore all’80 per cento, come l’Italia, dal rispetto dei nuovi obblighi previsti per tutelare i lavoratori e le lavoratrici e i loro stipendi.

Ed è la stessa OCSE nell’analisi pubblicata l’11 luglio a sottolineare: “la contrattazione collettiva può aiutare i lavoratori pagati meno”.

Nel frattempo, però, anche i dati che riguardano i CCNL non sono del tutto rassicuranti e anche l’alternativa forte al salario minimo sembra essere debole: a fronte di una copertura ampia, sono più di 900, c’è una lentezza nelle procedure di rinnovo che permettono di tenere il passo con i tempi: circa 590 a fine 2022 risultavano scaduti.

Serve, senza dubbio, un’azione incisiva sul fronte degli stipendi. Qual è la via prioritaria da intraprendere?

L’invito per le lettrici e i lettori è quello di partecipare al sondaggio sul tema cliccando su “partecipa al sondaggio” nel box disponibile in testa all’articolo e di approfondire la risposta con commenti, motivazioni e considerazioni inviando una mail con oggetto “Calo stipendi” all’indirizzo [email protected].

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