Sequestrabili pen drive e cellulare del professionista

Gianfranco Antico - Leggi e prassi

Ammesso il sequestro della pen drive e del cellulare del professionista: questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione, in relazione ad indagini relative al superbonus e alla cessione del credito

Sequestrabili pen drive e cellulare del professionista

È sequestrabile la pen drive, contenente documentazione relativa ad una pratica di super bonus, così come il cellulare e un carica batteria, tutti beni appartenenti ad un professionista.

È questo il principio oggetto dalla sentenza della Corte di Cassazione, Penale, sez. 6, n. 34318/2023 (pronuncia conforme alla n . 34319 e 34320 di pari date).

Sequestro di pen drive e cellulare del professionista: analisi di una situazione recente ed oggetto di contestazione

Il Tribunale del riesame di una città campana ha rigettato l’istanza di dissequestro e restituzione di una pen drive con documentazione relativa ad una pratica di bonus, di un cellulare con relativa sim e di un caricabatteria (debitamente identificati).

Tale sequestro è stato disposto nell’ambito delle indagini a carico di cinque soggetti, tra cui un professionista (commercialista/ragioniere, si legge in sentenza), al quale è contestata la violazione, in concorso, dell’art. 316 ter cod. pen. in relazione a comunicazioni di cessione del credito in merito a fittizi lavori di ristrutturazione edilizia Super bonus, per la somma di 225.234 euro.

In particolare, il professionista risulta aver presentato le comunicazioni di cessione del credito all’Agenzia delle entrate e all’ENEA, ponendo il visto di conformità.

Avverso l’indicata ordinanza l’indagato ricorre, a mezzo del proprio difensore, deducendo quattro motivi, relativi:

a) alla contraddittorietà e omessa motivazione dell’ordinanza che non ha tenuto conto del fatto che l’eventuale esistenza di lavori abusivi - peraltro evidenziati nella pratica relativa al super bonus - non ha in alcun modo inciso sulla regolarità della pratica medesima (in riferimento alla effettiva realizzazione di lavori sulle parti munite di regolare titolo edilizio e alla relativa cessione del credito);
b) alla omessa valutazione della legittimità del progetto, in riferimento alla disciplina urbanistica di riferimento;
c) alla violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta configurabilità dell’art. 316 ter cod. pen., da escludersi in quanto «difetta il nesso di causalità tra il falso contestato e la corresponsione dell’erogazione, che sarebbe stata corrisposta pur tenendo conto del grafico del condono edilizio e che anzi avrebbe generato maggiori utili e che dalla documentazione e dagli allegati la contabilità ed i SAL corrispondono alle spese effettive ed allo stato di avanzamento dei lavori»;
d) all’incompetenza per territorio.

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Il pensiero degli Ermellini

Il ricorso è manifestamente infondato e dunque inammissibile. L’ordinanza del riesame, connotata da motivazione certamente non illogica, ha ritenuto sussistenti il fumus del delitto (la cui contestazione è adeguatamente articolata nei suoi estremi fattuali) la riconducibilità dello stesso - nella fase attuale del procedimento - all’indagato, nonché la pertinenza di ciò che è stato oggetto di sequestro probatorio rispetto all’ipotesi accusatoria.

Il provvedimento del riesame si è dunque conformato al principio secondo cui:

in sede di riesame del sequestro probatorio, il tribunale è chiamato a verificare la sussistenza dell’astratta configurabilità del reato ipotizzato, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, bensì con riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti acquisibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell’autorità giudiziaria” (Sez. 3, n. 3465 del 03/10/2019 - dep. 2020, ove si è anche precisato che il Tribunale non è tenuto a verificare l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato).

Sotto altro profilo, il provvedimento di sequestro non risulta sproporzionato rispetto alle esigenze probatorie relative al reato per cui si procede, atteso che va qui ribadito il principio in base al quale:

“è legittimo il sequestro, ex art. 253 cod. proc. pen., di un sistema informatico, motivato in relazione alla sua rilevanza probatoria per il possibile contenuto di documentazione direttamente inerente alla condotta criminosa per cui si procede” (Sez. 3, n. 19886 del 16/04/2014, che si è pronunciata relativamente a fattispecie di sequestro probatorio di Ipad, nell’ambito di indagini per reati fiscali).

Manifestamente infondata è anche l’eccezione relativa alla dedotta incompetenza per territorio, atteso che:

“in tema di sequestro probatorio, non rileva l’incompetenza del pubblico ministero in quanto la competenza dell’organo requirente in fase di indagini preliminari costituisce un mero criterio di organizzazione del lavoro investigativo, che assume rilievo giuridico soltanto nei rapporti tra uffici del pubblico ministero e non inficia la validità degli atti compiuti dal P.M. dichiarato incompetente” (Sez. 6, n. 9989, 9/01/2018).

Irrilevante, infine, si appalesa per gli Ermellini la pronuncia del TAR, che si è occupata della regolarità edilizia del manufatto; profilo, questo, che, di per sé, non vale ad escludere la astratta configurabilità degli addebiti penali.

Brevi note sul sequestro informatico

Dal punto di vista penale, l’art.247, comma 1-bis, del Codice di procedura penale prevede che quando vi è fondato motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telematico, ancorché protetto da misure di sicurezza, ne è disposta la perquisizione, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l’alterazione.

Casi tratti dalla giurisprudenza di Cassazione

Segnaliamo alcuni casi tratti dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.

L’intero sistema informatico

Con la sentenza n. 16622 del 4 aprile 2017, la Corte di Cassazione, III Sez. Penale, ha affermato che in tema di sequestro probatorio, pur se è necessaria la specifica indicazione delle cose che ne costituiscono l’oggetto, quando si procede per particolari reati, quali, per esempio, quelli tributari, non è sempre possibile individuare preventivamente il documento ritenuto utile, sicché, in tali casi, non si può prescindere dal sequestro dell’intera contabilità relativa all’impresa per individuare in un secondo momento quelli effettivamente necessari all’accertamento del fatto.

Ancora la Corte di Cassazione – II Sez.pen. -, con la sentenza n. 31918 depositata il 3 luglio 2017, ha confermato che il sequestro dell’intero sistema informatico è possibile se è proporzionato rispetto alle esigenze probatorie.

Ne consegue che gli artt. 247, comma 1 bis, e 260, comma 2, del codice di procedura penale, in tema di perquisizione e sequestro di sistema informatico o telematico, si limitano a richiedere l’adozione di misure tecniche e di procedure idonee a garantire la conservazione dei dati informatici originali e la conformità ed immodificabilità delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni, senza imporre misure e procedure tipizzate, né sui modi e neanche sul dove e quando effettuare il provvedimento amministrativo.

Il sequestro del Pc

Con la sentenza n. 50126 del 2 novembre 2017 la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il sequestro del computer personale di un socio di una SRL coinvolto in un procedimento penale, in quanto i dati contenuti nel pc vanno assimilati e considerati come documenti cartacei, respingendo la richiesta di dissequestro avanzata dal manager inquisito.

Il sequestro dell’intero archivio informatico dello studio professionale

Il sequestro dell’intero archivio informatico dello studio professionale è stato attenzionato dalla Cassazione, sez. pen. 53810/2017.

La Corte richiama la pronuncia a SS.UU. n. 40963 del 20 luglio 2017, che ribadisce quanto già incidentalmente affermato in altra decisione, relativa al sequestro preventivo di siti web o di singole “pagine informatiche” (Sez. U, n. 31022 del 29/01/2015), che ha chiarito che è possibile sottoporre a sequestro non solo un intero sistema informatico o un “contenitore” (personal computer, pen drive, ecc.), ma anche un singolo dato informatico che sia in essi contenuto.

Le Sezioni unite hanno, tuttavia, affermato che:

“la mera reintegrazione nella disponibilità della cosa non elimina il pregiudizio, conseguente al mantenimento del vincolo sugli specifici contenuti rispetto al contenitore, incidente su diritti certamente meritevoli di tutela, quali quello alla riservatezza o al segreto.”

Pertanto:

“qualora venga dedotto un interesse concreto e attuale alla esclusiva disponibilità dei dati, il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile anche quando risulti che il computer o il supporto informatico siano già stati restituiti all’avente diritto, previa estrazione dei dati in esso contenuti.”

E nel caso in questione, tra le doglianze dedotte in ricorso, infatti, vi è quella concernente l’acquisizione indistinta di tutta la documentazione in possesso del professionista, relativa agli ultimi 30 anni della sua professione di avvocato,

“senza che ne fosse stata indicata, neanche in seguito, la parte riconducibile alle ipotesi di reato oggetto di indagine: modalità operativa che, ad avviso del difensore, aveva non solo violato il principio del necessario collegamento che deve sussistere tra quanto appreso in sede di sequestro probatorio ed i reati ipotizzati, ma «era risultata anche invasiva di posizioni soggettive, sia del destinatario dell’atto di indagine che di terzi, costituzionalmente tutelate ex art. 21 Cost., cui è connessa la garanzia del segreto professionale» (cfr. pagg. 10-11 del ricorso)”.

E per la Corte, appare indubbia la possibilità di ravvisare, in tale prospettazione, la sussistenza di uno specifico interesse nel senso precisato dalle Sezioni unite.

L’accesso al server di una società estera

E legittimo da parte della GDF l’esame della documentazione conservata nel server di una società estera ( Cass. sez. pen. n.11207 del 24 marzo 2021).

Infatti, non è configurabile nel caso di accesso al server di una azienda con sede all’estero che intrattiene rapporti con una società italiana il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di cui all’art. 615-ter cod. pen., poiché rientra nei compiti dei militari della GDF acquisire tutti gli elementi di prova utili e pertinenti all’accertamento delle violazioni tributarie.

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