La revocatoria fallimentare in caso di debiti erariali

La revocatoria fallimentare in caso di debiti erariali è lo strumento che il legislatore ha previsto per permettere la ricostituzione del patrimonio del fallito. Un'analisi partendo dalla normativa di riferimento.

La revocatoria fallimentare in caso di debiti erariali

In tema di revocatoria fallimentare la norma di riferimento è l’articolo 67 della legge fallimentare, che stabilisce che:

“Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore:

  • 1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso;
  • 2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;
  • 3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti;
  • 4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.
  • Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento”.

La revocatoria fallimentare in caso di debiti erariali, che cos’è e come funziona

L’azione revocatoria fallimentare è uno strumento che il legislatore ha previsto per permettere la ricostituzione del patrimonio del fallito, andando a rendere inefficaci gli atti che il fallito ha posto in essere nel periodo antecedente la dichiarazione del fallimento, in violazione del principio della par condicio creditorum.

A proporre l’azione revocatoria fallimentare è legittimato il curatore fallimentare dinanzi al Tribunale che ha dichiarato il fallimento.

Il termine per proporre l’azione decade entro tre anni dalla dichiarazione, e non oltre i cinque anni dal compimento dell’atto.

Mediante l’azione revocatoria fallimentare, tutti gli atti di disposizione, i pagamenti e le garanzie poste in essere dal fallito nell’anno o nei sei mesi antecedenti il fallimento, sono dichiarati inefficaci, fatta eccezione per la circostanza in cui la controparte non fosse a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore.

L’onere probatorio è a carico del curatore.

Non tutti gli atti posti in essere dal soggetto fallito possono comunque essere sottoposti ad azione revocatoria fallimentare.

Gli atti esclusi dalla revocatoria fallimentare

In particolare, vi sono sette categorie di atti che sono sottratti all’azione revocatoria fallimentare.

Si tratta:

  • dei pagamenti di beni e servizi che sono effettuati nell’esercizio dell’attività caratteristica di impresa nei termini d’uso;
  • delle rimesse che sono effettuate su un conto corrente bancario, a patto che non abbiano ridotto in maniera ritenuta “consistente” e “durevole” l’esposizione debitoria del fallito nei confronti dell’istituto di credito;
  • delle vendite e dei preliminari di vendita “a giusto prezzo”, che abbiano come oggetto gli immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero quelli che sono destinati a costituire la sede principale dell’impresa dell’acquirente;
  • degli atti, dei pagamenti e delle garanzie che risultano essere state concesse su beni del debitore, a patto che siano posti in essere in esecuzione di un piano, la cui fattibilità deve essere attestata da un professionista non legato all’impresa, e in grado di apparire come idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria della stessa e ad assicurarne il riequilibrio finanziario;
  • degli atti, dei pagamenti e delle garanzie che risultano essere state essere concesse in esecuzione del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata, dell’accordo omologato ai sensi dell’art. 182-bis, nonché posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’art. 161;
  • dei pagamenti dei corrispettivi per le prestazioni di lavoro che vengono effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;
  • dei pagamenti di debiti ritenuti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per poter ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali di amministrazione controllata e di concordato preventivo.

Una domanda che può porsi in caso di fallimento ed individuazione di possibili atti ed operazioni di sottrazione di beni e garanzie a favore del Fisco, che vanti appunto crediti nei confronti della società fallita, è se la legittimazione a proporre eventuali azioni revocatorie spetti all’Amministrazione finanziaria o al curatore.

A favore della legittimazione esclusiva del curatore a chiedere la revocatoria vi è però anzitutto il rispetto della par condicio creditorum: una volta dichiarato il fallimento, l’azione revocatoria spetta quindi esclusivamente al curatore, quale organo rappresentante dell’interesse collettivo della massa (compreso il creditore erariale), proprio perché l’alternativa che si profilerebbe sarebbe l’instaurazione o la prosecuzione dell’azione in capo al singolo creditore, con il che verrebbero distorti, e infranti, i connotati di solidarietà e giustizia distributiva che caratterizzano il fallimento.

Se così non avvenisse, infatti, verrebbe consentito al singolo creditore di determinare l’inefficacia relativa dell’atto fraudolento che viene colpito dalla revoca, preludio di una futura esecuzione della quale egli solo si avvantaggerebbe in via prioritaria rispetto agli altri creditori che con lui potrebbero astrattamente concorrere.

Tale scenario, però, anche laddove tale singolo avvantaggiato sia l’Erario, non può verificarsi, atteso che, al momento della dichiarazione di fallimento, i creditori del fallito si trovano posizionati in condizioni di assoluta parità.

La possibilità, data al curatore, di esperire ex novo l’azione o di sostituirsi al singolo creditore per proseguirne l’azione già iniziata individualmente mira del resto proprio a troncare sul nascere ogni perturbamento del principio di pari trattamento dei creditori nella distribuzione dell’attivo.

La valutazione che il curatore in tali casi è chiamato a operare è dunque lasciata alla sua libera strategia.

E solo in caso di chiusura del fallimento, rivive poi la facoltà, data a ciascun creditore rimasto parzialmente o in toto insoddisfatto in ragione del concorso, di promuovere autonomamente, ab initio, l’azione revocatoria ordinaria per sentir dichiarato inefficace nei propri confronti un atto compiuto dal debitore prima dell’apertura del fallimento.

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