Il recupero dell’ICI ancora dovuta dal Vaticano

Dalle origini all'ultimo richiamo dalla Commissione UE sul recupero dell'ICI dovuta dal Vaticano: la panoramica su una vicenda ancora aperta

Il recupero dell'ICI ancora dovuta dal Vaticano

Sulla richiesta della Ue all’Italia di recuperare dalla Chiesa l’ICI per le annualità 2006-2011, recentemente, il Vice Ministro Leo ha affermato che quando ci sono delle regole comunitarie bisogna uniformarsi.

La Commissione europea, come noto, ha emesso una decisione che richiede all’Italia di recuperare gli aiuti di Stato illegalmente concessi, tra il 2006 e il 2011, a determinati enti non commerciali, tra cui anche la Chiesa e le altre congregazioni religiose, sotto forma di esenzione dall’imposta comunale sugli immobili (ICI).

La vicenda ormai si trascina da anni.

Il recupero dell’ICI ancora dovuto dal Vaticano: le origini della questione

La norma di cui all’art.7, comma 2-bis, del Dl 30 settembre 2005, n. 203 era stata fin da subito sospettata di essere in conflitto con la normativa comunitaria sugli aiuti di Stato e con le regole sulla concorrenza, ragione per la quale essa avrebbe dovuto essere disapplicata.

La stessa venne però sostituita dall’art. 39, DL n. 223/2006, con il quale venne stabilito che:

“l’esenzione disposta dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera che non abbiano esclusivamente natura commerciale”.

Una modifica, quest’ultima, tuttavia, ancora giudicata non in linea con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato.

La Commissione europea aprì quindi una nuova indagine, per chiudere la quale venne approvato l’art. 91-bis del Dl. n. 1 del 2012, con il quale la lettera i) dell’art. 7 del Dlgs n. 504 del 1992 venne sostituita con il seguente testo:

“Gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera e), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, fatta eccezione per gli immobili posseduti da partiti politici, che restano comunque assoggettati all’imposta indipendentemente dalla destinazione d’uso dell’immobile, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”.

Gli altri due commi della novella del 2012, si preoccupavano poi di regolare le ipotesi di utilizzazione “mista” degli immobili in questione, introducendo il difficile concetto dell’attribuzione «proporzionale» del beneficio fiscale.

L’esenzione prevista dall’art. 7, comma primo, lett. i), del Dlgs. 30 dicembre 1992, n. 504, era comunque subordinata alla compresenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, e di un requisito soggettivo, costituito dal diretto svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (art. 87, comma primo, lett. c), del Dpr 22 dicembre 1986, n. 917, cui il citato art. 7 rinvia).

Il 19 dicembre 2012, la Commissione europea giudicò incompatibili con le norme dell’UE in materia di aiuti di Stato le esenzioni concesse agli enti non commerciali per fini specifici, (già) previste dal 2006 al 2011 dal regime italiano di imposte comunali sugli immobili.

La Commissione, con riferimento, in particolare, all’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), del Dlgs, n. 504 del 1992, nella versione vigente ratione temporis, riconosceva che solo “l’esenzione dall’IMU, concessa ad enti non commerciali che svolgono negli immobili esclusivamente le attività elencate all’articolo 7, primo comma, lettera i), del decreto legislativo n. 504/92, non costituisce un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del trattato”.

L’organo di governo dell’UE non ingiungeva però poi all’Italia di recuperare l’aiuto presso i beneficiari, avendo le autorità italiane dimostrato che, nel caso di specie, il recupero sarebbe stato praticamente “impossibile”, in particolare laddove si trattava di determinare quale porzione dell’immobile di proprietà dell’ente non commerciale fosse stata utilizzata esclusivamente per attività non commerciali, risultando quindi legittimamente esentata dal versamento dell’imposta, e quale fosse stata invece la porzione utilizzata per attività ritenute “di natura non esclusivamente commerciale”, la cui esenzione dal versamento dell’ICI avrebbe comportato la presenza di un aiuto di Stato.

ICI e Vaticano: la posizione dell’UE

In sostanza, si affermava, la struttura del catasto non consentiva di estrapolare, con effetto retroattivo, i dati relativi agli immobili appartenenti ad enti non commerciali destinati ad attività non aventi esclusivamente natura commerciale.

Le informazioni nel catasto non permettevano infatti di risalire alle attività in concreto svolte nell’immobile.

Né potevano essere di aiuto le banche dati fiscali, che consentivano solo di individuare gli immobili utilizzati con modalità non commerciali (quelli indicati al quadro RB del modello unico, senza compilazione del quadro RS relativo ai costi e ricavi promiscui).

Se infatti nel quadro RB venivano poi dichiarati più fabbricati non era possibile individuare quale degli immobili avesse svolto l’attività che aveva generato il reddito indicato nella dichiarazione, né sarebbe stato possibile individuare in quale porzione dell’immobile erano state eventualmente realizzate le attività economiche.

L’allora Avvocato generale della Corte UE, Melchior Wathelet, chiedeva tuttavia in seguito di tornare su quella decisione, affermando che la Chiesa, al di là delle difficoltà materiali di recupero, doveva comunque restituire le imposte comunali illegittimamente non pagate.

Per l’Avvocato generale il mancato recupero di quello che era già stato ritenuto un aiuto illegale di Stato non poteva essere infatti giustificato dall’assenza di database adeguati, dovendo gli Stati membri sempre recuperare l’aiuto di Stato illegittimo, e dovendo la Commissione Europea esigere (nel caso di specie) dall’Italia la restituzione delle agevolazioni concesse alla Chiesa, nella forma di esenzioni ICI/IMU dal 2006 al 2011.

Tale “revisione” veniva peraltro espressamente richiesta da una scuola privata e dal titolare di un piccolo bed and breakfast, che si erano rivolti alla Commissione Europea per protestare contro l’esenzione di fatto concessa agli enti ecclesiastici, che finiva per concedere “un vantaggio selettivo” alle attività commerciali svolte negli immobili di proprietà della Chiesa rispetto a quelle degli altri operatori.

Il 15 settembre 2016, il Tribunale dell’UE, adito da tali ricorrenti (causa T-220/13 e causa T-219/13), aveva tuttavia respinto nel merito i loro ricorsi, volti all’annullamento della decisione della Commissione del 2012, dichiarando, però, detti ricorsi ammissibili (“ricevibili”).

Tale decisione era già storica.

Per la prima volta, infatti, un ricorso contro una decisione della Commissione sugli aiuti di Stato veniva dichiarato ammissibile, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, il quale stabilisce che “Qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre … un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione”.

L’ammissibilità del ricorso consentiva del resto di rimettere in gioco poi anche il merito.

La Corte di giustizia europea, nel 2018, stabiliva quindi che la Commissione europea avrebbe dovuto valutare se esistessero modalità alternative per il recupero, anche solo parziale, dell’aiuto.

E, infine, con un comunicato stampa del 3 marzo scorso la Commissione UE ha emesso una decisione con cui impone all’Italia il recupero dell’ICI non versata da Enti no profit ed enti ecclesiastici nel periodo 2006-2011, prima dell’entrata in vigore dell’IMU, magari, suggerisce la Commissione, partendo dai dati delle dichiarazioni presentate nell’ambito IMU ed integrandoli con altri metodi, comprese le autodichiarazioni degli enti.

Il recupero, rileva la Commissione, non sarà comunque richiesto quando gli aiuti sono concessi per attività non economiche, o quando costituiscono aiuti de minimis.

Gli importi in “discussione”, secondo le stime dell’Anci, valgono tra i quattro e i cinque miliardi di euro.

Tanto premesso sul come siamo giunti all’oggi, al di là delle questioni interpretative interne, che, anche sulla successiva disciplina IMU, ancora generano un rilevante contenzioso nazionale, non c’è dubbio che, a decorrere dal 1° gennaio 2012, l’ICI è stata sostituita dall’imposta municipale unica, che, come riscontrato dalla Commissione Europea, è conforme alle norme dell’UE in materia di aiuti di Stato, in quanto limita chiaramente l’esenzione agli immobili in cui enti non commerciali svolgono attività non economiche.

La nuova normativa prevede infatti una serie di requisiti che gli enti non commerciali devono soddisfare per escludere che le attività svolte siano di natura economica. E queste salvaguardie garantiscono che le esenzioni dal versamento dell’IMU concesse agli enti non commerciali non comportino aiuti di Stato.

Ora bisognerà vedere come il Governo deciderà di conformarsi alle prescrizioni comunitarie, laddove, magari, la soluzione potrebbe consistere nell’elaborare una norma di interpretazione autentica, che definisca esattamente cosa si intende per svolgimento di un’attività con modalità commerciali.

Tali definizioni, oggi affidate al DM 200/2012 del Mef, dovrebbero essere infatti stabilite con legge ordinaria, specificando, per esempio, che le attività si intendono comunque svolte con modalità non commerciali quando siano svolte secondo modalità non economiche, tali per cui eventuali contributi finanziari coprano solo una frazione del costo effettivo del servizio e non tali da potersi considerare una retribuzione del servizio prestato.

In ogni caso, ci si augura che la vicenda volga finalmente al suo termine.

Questo sito contribuisce all'audience di Logo Evolution adv Network