Patent box al restyling

Salvatore Cuomo - Imposte

Il rinnovamento del regime di tassazione agevolata riservato al Patent Box contenuto nel Decreto Fiscale entrato in vigore venerdì 22 Ottobre scorso. Analisi e criticità di un provvedimento non necessario.

Patent box al restyling

Patent box, il restyling nel Decreto Fiscale 2022. L’articolo 6 del DL n. 146/2021 pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso giovedì 21 ottobre rivoluziona la disciplina tributaria fino ad ora riservata alla redditività diretta ed indiretta derivante dallo sfruttamento della proprietà intellettuale di beni intangibili quali principalmente marchi, brevetti industriali, software coperto da copyright e know how.

Il regime opzionale di tassazione, ora sostituito, fu introdotto nel nostro ordinamento dalla cosiddetta Legge di stabilità per l’anno 2015, la Legge 190 del 23 dicembre 2014, ed aveva l’obiettivo di adeguare la fiscalità riservata a questa componente reddituale a quanto già in uso in diversi altri paesi europei.

Nei primi due anni di validità fu applicabile anche alla redditività derivante dallo sfruttamento dei marchi, opportunità poi cancellata perché in contrasto con i dettami della normativa comunitaria.

Patent box al restyling: i regimi agevolati a confronto

Con una opzione rinnovabile della durata di cinque anni esercitabile fino alla pubblicazione del Decreto Fiscale 2022 in commento, si è potuto fruire di una detassazione del 50 per cento dei redditi derivanti dall’utilizzo dei beni intangibili sia per lo sfruttamento diretto nella propria attività, che indiretto applicato alle royalties percepite per la concessione in uso a terzi.

Per una maggior semplicità di applicazione della norma ed anche per una razionalizzazione interna ai gruppi si è vista la nascita di diverse IP companies nel quale sono confluite le titolarità dei brevetti già in pancia alle società dei gruppo.

Questo vantaggio fiscale, sommato alla compatibilità con la fruizione del credito di imposta sulle spese sostenute in ricerca e sviluppo nel frattempo introdotto, aveva reso gli investimenti in IP nel nostro paese particolarmente concorrenziale rispetto ad altri paesi attraendo così un volume importante di capitali dall’estero.

Questo compendio di vantaggi di carattere tributario, ora, è stato sostituito da una maggiorazione ai fini fiscali del 90 per cento del solo costo sostenuto in ricerca e sviluppo relativo alla proprietà intellettuale.

Patent box al restyling: aspetti critici delle novità

Un primo rilievo è sul perimetro degli oneri di R&S riconducibili alla attuale formulazione della norma che, ad ora, non è dato sapere, si potrebbe fare riferimento all’elenco di cui all’articolo 8 del decreto interministeriale di Mef e Mise del 28 novembre 2017 che però era inerente alla precedente norma, ora sostituita.

Altro aspetto critico è obiettivamente quello di una disposizione, che il Governo ha titolato “Semplificazione della disciplina del Patent Box, che se confrontata con la defiscalizzazione del 50 per cento dei redditi di derivazione IP e con il credito di imposta ricerca e sviluppo ora non più non compatibile, risulta nella grande maggioranza dei casi meno vantaggiosa della precedente, anche se ora comprende i marchi.

Ulteriore punto a sfavore è la carente regolamentazione del regime transitorio.

Pur conservando la validità delle opzioni espresse antecedentemente, questo decreto non ha considerato che il precedente regime, ora abolito, prevedeva che l’opzione quinquennale o il rinnovo della stessa dovevano essere formulati nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno di decorrenza.

Abbiamo pertanto aziende che hanno applicato la precedente formulazione nella liquidazione delle imposte a saldo del 2020 ed acconto 2021 ma non hanno ancora inviato la dichiarazione in scadenza a fine novembre e nel mentre questo decreto ha abolito tout court la norma applicata.

Quanto sopra, tra l’altro, in barba ai dettami dello Statuto del Contribuente ma questo purtroppo ormai non meraviglia.

Sembra che i tecnici del MEF siano già in moto per trovare una soluzione a ciò nel mentre dell’iter di conversione del decreto.

In chiusura una considerazione finale: era proprio necessario “smontare” uno strumento fiscale che obiettivamente funzionava molto bene, magari solo per creare un salvadanaio utile a possibili future coperture finanziarie per altri provvedimenti?

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