Trattamento IVA per prestazioni di chirurgia estetica

Quando si applica l'esenzione IVA alle prestazioni di chirurgia estetica? A definire il perimetro dell'agevolazione la Corte di Giustizia UE: l'analisi di un caso concreto al centro dell'Ordinanza della Corte di Cassazione numero 26906 del 2022

Trattamento IVA per prestazioni di chirurgia estetica

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 26906 del 13 settembre 2022, ha chiarito quale è il corretto trattamento IVA in caso di prestazioni di chirurgia estetica.

Nella specie, il contribuente, quale medico e chirurgo plastico e ricostruttivo, proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale, avverso due avvisi di accertamento emessi dall’Ufficio per gli anni d’imposta 2013 e 2014.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, ritenendo che anche le prestazioni di chirurgia plastica rientrassero tra le prestazioni mediche e fossero, per l’effetto, esenti dall’applicazione dell’IVA.

Sull’appello dell’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale rigettava il gravame, evidenziando che anche gli interventi di chirurgia plastica ricostruttiva rientravano a pieno titolo nel concetto di attività sanitaria, potendo solo il medico valutare la necessità dell’intervento per la salute fisica e psichica del paziente.

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale l’Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 Dpr. n. 633/1972 e 2697 c.c., per avere i giudici di merito posto a suo carico l’onere di dimostrare che le prestazioni eseguite dal contribuente rientrassero nella nozione di “prestazioni mediche”.

Secondo la Suprema Corte la censura era fondata.

Corte di Cassazione - Ordinanza numero 26906 del 2022
Il testo dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 26906 del 2022

IVA per prestazioni di chirurgia estetica: quando la normativa prevede l’esenzione?

Evidenziano i giudici di legittimità che, sul piano normativo, l’art. 10 del Dpr. n. 633/1972 stabilisce che:

“Sono esenti dall’imposta: (...) 18) le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell’articolo 99 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, ovvero individuate con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro delle finanze”.

Tenendo conto della nozione di “prestazione medica” elaborata nelle pronunce giurisdizionali della Corte comunitaria, l’ambito di applicazione dell’esenzione prevista dal citato art. 10, n. 18), va pertanto limitato alle (sole) prestazioni mediche di diagnosi, cura e riabilitazione, il cui scopo principale sia quello di tutelare, mantenere o ristabilire la salute delle persone, pur comprendendo in tale finalità anche quei trattamenti o esami medici eseguiti nei confronti di persone che non soffrono di alcuna malattia.

In tal modo si evita di comprendere indistintamente nell’esenzione IVA tutte le estrinsecazioni delle professioni mediche e paramediche, essendo necessario individuare, nell’ambito di tali professioni, le prestazioni non riconducibili alla nozione di prestazioni mediche enucleata dalla Corte di Giustizia.

La Corte di giustizia dell’Unione europea, dal canto suo, con sentenza n. 91 del 21 marzo 2013, ha del resto a tal proposito stabilito che l’articolo 132, paragrafo 1, lettere b) e c), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, deve essere interpretato nel senso che:

  • prestazioni di servizi consistenti in operazioni di chirurgia estetica e in trattamenti di carattere estetico, rientrano nelle nozioni di “cure mediche” o di “prestazioni mediche alla persona, qualora abbiano lo scopo di diagnosticare, curare o guarire malattie o problemi di salute, o di tutelare, mantenere o ristabilire la salute delle persone”;
  • le semplici “convinzioni soggettive”, che sorgono nella mente della persona che si sottopone a un intervento di carattere estetico, non sono, di per sé, determinanti ai fini della valutazione della questione se tale intervento abbia o meno scopo terapeutico;
  • le circostanze che prestazioni come quelle di cui trattasi siano fornite o effettuate da un medico abilitato, oppure che lo scopo di tali prestazioni sia determinato da un medico, sono idonee a influire sulla valutazione della questione solo se gli stessi interventi rientrino nelle dette nozioni di “cure mediche” o di “prestazioni mediche alla persona”, ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/112 e dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera c), di tale direttiva, occorrendo a tal fine tenere conto di tutti i requisiti indicati.

In definitiva (cfr., anche CGUE, sentenza del 20 novembre 2003), non è esente Iva l’intero insieme delle prestazioni che possono essere effettuate nell’ambito dell’esercizio delle professioni mediche e paramediche, ma solo quelle prestazioni che possono essere considerate a tutti gli effetti vere e proprie “prestazioni mediche”.

E per individuare cosa si intenda per “prestazione medica” ciò che rileva è lo scopo della prestazione.

Pertanto, ad esempio, se una tale prestazione viene effettuata in un contesto che permette di stabilire che il suo scopo principale non è quello di tutelare, mantenendola o ristabilendola, la salute, ma piuttosto quello di fornire un parere richiesto preventivamente all’adozione di una decisione, l’esenzione non si applica.

Trattamento IVA per prestazioni di chirurgia estetica: la posizione della Corte di Cassazione

La stessa Cassazione ha inoltre già avuto modo di chiarire che “In tema di IVA e con riguardo a prestazioni (trattamenti di diatermocoagulazione) di natura puramente estetica, anche se rese da personale infermieristico soggetto a vigilanza ai sensi dell’art. 99 del testo unico delle leggi sanitarie, va escluso il diritto all’esenzione, di cui all’art. 10, n. 18, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, una volta ritenuto che i trattamenti praticati non abbiano contenuto intrinseco di prestazione sanitaria medica o paramedica, destinataria della prevista esenzione” (Cass., n. 21272 del 02/11/2005).

In quest’ottica, conclude la Corte, una volta ritenuto che i trattamenti praticati, di natura puramente estetica, non abbiano contenuto intrinseco di prestazione sanitaria, medica o paramedica, va quindi escluso il diritto all’esenzione dall’IVA (cfr., Cass. 7422 e 5984/2001; Cass. 4987/2003).

Sulla questione, ricorda la stessa Cassazione, si è peraltro espressa anche la Circolare n. 4/E del 28 gennaio 2005, che contiene i seguenti passaggi rilevanti ai fini della questione in esame:

“1) La Corte di Giustizia con le sentenze in rassegna (cause 307/01 e 212/01), pronunciate a seguito di controversie insorte in Austria e Gran Bretagna, ha affermato che il richiamato art. 13, parte A, n. 1, lett. c), non esenta l’insieme delle prestazioni che possono essere effettuate nell’esercizio delle professioni mediche e paramediche ma solo quelle corrispondenti alla nozione “di prestazioni mediche” che deve assumere, ai fini dell’esenzione, un significato autonomo rispetto al complesso delle attività rese nell’ambito di tali professioni. Secondo la Corte, l’esenzione va riconosciuta esclusivamente a quelle prestazioni mediche che sono dirette alla diagnosi, alla cura e, nella misura possibile, alla guarigione di malattie e di problemi di salute. Infatti, per costante giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenze 10 settembre 2002-causa 141/00, 11 gennaio 2001-causa 76/99, 14 settembre 2000- causa n. 384), le esenzioni di cui all’art. 13 della sesta direttiva devono essere interpretate restrittivamente, dato che costituiscono una deroga al principio generale secondo cui l’IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo.

2) Come già detto, in ambito nazionale l’individuazione delle prestazioni mediche e paramediche esenti è operata dall’art. 10, n. 18), del DPR n. 633/1972, che fa riferimento alle prestazioni sanitarie di diagnosi cura e riabilitazione rese alla persona”.

Subito dopo, però, la stessa Circolare afferma che, sulla base di tali premesse, le prestazioni mediche di chirurgia estetica ben possono essere esenti da IVA, “in quanto ontologicamente connesse al benessere psico-fisico del soggetto che riceve la prestazione e quindi alla tutela della salute della persona e in quanto comunque tese a riparare inestetismi, sia congeniti sia talvolta dovuti ad eventi di vario genere (es: malattie tumorali, incidenti stradali, incendi, ecc.), comunque suscettibili di creare disagi psico-fisici alle persone”.

La Circolare, quanto meno nelle sue conclusioni, sembra dunque contemplare una sorta di presunzione iuris tantum in favore del contribuente (con conseguente inversione dell’onere probatorio a carico dell’Ufficio).

Tuttavia, rileva la Cassazione, a prescindere dalla genericità e dall’atecnicismo della previsione, è noto che le Circolari dell’Agenzia delle Entrate, interpretative di una norma tributaria, anche ove contengano una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati, esprimono esclusivamente un parere, non vincolante per il contribuente e per il giudice (cfr., Cass., n. 6699 del 21/03/2014).

Del resto, aggiunge la Corte, in tema di agevolazioni tributarie, chi vuole fare valere una forma di esenzione deve provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che legittimano la stessa richiesta (cfr., Cass., n. 23228 del 04/10/2017).

Tanto premesso, nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale, dopo aver fatto un excursus sull’interpretazione del concetto di “salute” e sul diritto all’esenzione anche per i trattamenti di natura estetica, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia C 91/12 del 21.3.2013, aveva poi fondato la sua decisione sui seguenti argomenti:

  • 1) il professionista, collaborando con l’Ufficio, aveva fornito, per ciascun trattamento cui aveva sottoposto i pazienti, il dettaglio dell’intervento effettuato;
  • 2) grazie a questa collaborazione, l’Agenzia delle Entrate era stata posta nelle condizioni di indagare e chiedere informazioni sulla natura degli interventi direttamente ai clienti-pazienti, non escludendo altresì la possibilità di ricorrere ad una consulenza tecnica;
  • 3) la Circolare 4/2005 dell’Agenzia delle Entrate, all’art. 8, aveva introdotto un’inversione dell’onere della prova a carico dell’Ufficio, prova che il Collegio riteneva non raggiunta o per lo meno non raggiunta in modo convincente, avendo lo stesso Ufficio affermato semplicemente che i suddetti trattamenti, per la grande maggioranza dei casi, non apparivano avere carattere sanitario ma estetico.

La Suprema Corte conclude dunque rilevando che l’impostazione data dalla CTR era errata, dovendo ribadirsi il principio secondo cui, in tema di IVA, le prestazioni mediche e paramediche di chirurgia estetica si distinguono dalle prestazioni a contenuto meramente cosmetico e sono esenti di imposta, ex art. 10, n. 18, del d.P.R. n. 633 del 1972, solo laddove siano finalizzate a trattare o curare persone, che, a seguito di una malattia, di un trauma o di un handicap fisico congenito, subiscono disagi psico-fisici, e gravando comunque sul contribuente l’onere di provare la sussistenza degli indicati requisiti soggettivi e oggettivi (cfr., Cass., n. 27947 del 13/10/2021).

L’errore in cui era incorsa la Commissione Tributaria Regionale consisteva dunque nell’aver posto a carico dell’Amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare che gli interventi posti in essere dal contribuente non rientravano tra quelli per i quali è prevista l’esenzione dall’IVA.

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