Cessioni intracomunitarie e onere probatorio

Cessioni intracomunitarie e onere probatorio: dalle posizioni della Corte di Cassazione alle indicazioni fornite dall'Agenzia delle Entrate, una panoramica sul tema

Cessioni intracomunitarie e onere probatorio

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 33451 del 2022, ha chiarito alcuni aspetti relativi all’onere probatorio in caso di cessione intracomunitaria.

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate ricorreva avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che ne aveva rigettato l’appello confermando la pronuncia di primo grado, e che aveva apprezzato le ragioni dei contribuenti, in materia di maggiore imposta IVA, sul presupposto che le cessioni effettuate nei confronti di società maltesi non potessero essere qualificate come intracomunitarie, e che quindi non fossero suscettibili di non imponibilità ex artt. 41 e 50 del Dl. 331/1993.

Con l’unico motivo di impugnazione si deduceva, in particolare, la violazione e falsa applicazione dell’art. 41 del Dl. 30.08.1992, n. 331 e dell’art. 2697 c.c., lamentandosi la violazione dell’art. 2697 c.c. da parte della CTR, per avere questa ritenuto idonee le allegazioni offerte dal contribuente, in difformità all’interpretazione della giurisprudenza sull’onere della prova con riguardo alle cessioni intracomunitarie.

Secondo la Suprema Corte, però, la ricorrente, con tale censura, finiva per proporre un’inammissibile richiesta di rivalutazione del merito della valutazione operata dai giudici di prime cure in ordine alla sufficienza della prova della spedizione della merce (documento di accompagnamento e trasporto merce CMR) a prova della effettività delle operazioni.

Cessioni intracomunitarie e onere probatorio al centro dell’Ordinanza n. 33451 del 2022

La Cassazione, entrando comunque nel merito, chiarisce che il DL. n. 331 del 1993, art. 41, comma 1, lett. a), dispone che costituiscono cessioni intracomunitarienon imponibili “le cessioni a titolo oneroso di beni, trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro, dal cedente o dall’acquirente, o da terzi per loro conto, nei confronti di cessionari soggetti di imposta”.

Il beneficio dell’esenzione dall’imposta per le cessioni intracomunitarie trova inoltre espressione nella Dir. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, la quale, all’art. 138, dispone che “Gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati fuori dal loro territorio ma nella Comunità, dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo, o di un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni”.

Come già precisato dalla giurisprudenza di legittimità (vedi Cass., n. 28831/2019), la Corte ricorda del resto come sia ormai consolidato il principio secondo il quale l’onere della prova circa l’esistenza dei requisiti costitutivi del detto beneficio fiscale — onerosità della cessione, soggettività passiva del cedente e del cessionario, nonché movimentazione del bene con partenza dall’Italia ed arrivo in altro Stato membro — grava sul cedente, il quale è tenuto a fornire elementi oggettivi che permettano di qualificare come “intracomunitaria” una cessione onerosa di beni tra due soggettivi passivi IVA, dimostrando specificamente “l’effettività dell’esportazione della merce nel territorio dello Stato nel quale risiede il cessionario”, o, in mancanza, fornendo “adeguata prova della propria buona fede, ossia di aver adottato tutte le misure che si possono ragionevolmente richiedere, per non essere coinvolto in un’evasione fiscale avendo riguardo alle circostanze del caso concreto” (Cass., n. 4045/2019).

L’onere di provare l’esistenza dello scambio intracomunitario (cioè l’effettivo trasferimento del bene nel territorio di altro Stato membro), conclude la Cassazione, grava dunque sul contribuente cedente, che emette la fattura e non applica l’imposta nei confronti del cessionario, dichiarando che l’operazione non è imponibile (Dl. n. 331 del 1993, art. 46, comma 2).

E ciò proprio in ragione del principio generale di cui all’art. 2697 c.c., secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi invoca la deroga (cfr., Cass. n. 13457/2012; Cass. n. 20575/11 e Cass. n. 21956/10).

Quanto poi al tema delle modalità con le quali il cedente possa offrire la prova che i beni ceduti siano entrati nel territorio delle Stato membro a cui appartiene il cessionario, i giudici di legittimità ricordano che, anche secondo la giurisprudenza resa dalla Corte di Giustizia, spetta al fornitore dei beni provare che sono soddisfatte le condizioni di applicazione della sesta Dir., art. 28 quater, comma 1, lett. a), punto A (v., segnatamente, Corte giust. 7 dicembre 2010, R, punto 46), chiarendo anche che la stessa Direttiva riconosce agli Stati membri la facoltà di adottare provvedimenti diretti ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi, purchè non eccedano quanto è necessario per conseguire tali obiettivi (v., in tal senso, Corte Giust. 27 settembre 2007, Collèe, punto 26, e punto 45).

Tali principi, ricorda ancora la Corte, sono stati ribaditi anche da Corte Giust. 27 settembre 2012, causa C — 587/10, Vogtkindische Straigen -, Tief- und Rohrleitungsbau GmbH Rodewisch, laddove si è nuovamente riconosciuto che gli Stati membri hanno la facoltà di esigere dai fornitori di beni di produrre la prova che l’acquirente è un soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto dei beni di cui trattasi, sempre purchè i principi generali del diritto e, in particolare, il requisito di proporzionalità, siano rispettati.

Quanto al contenuto di tale onere probatorio la Cassazione, evocando Risoluzioni emanate dall’Agenzia delle Entrate (Risoluzione 28 novembre 2007, n. 345/E e Risoluzione 15 dicembre 2008, n. 477/E), ha del resto anche chiarito che, mentre può certamente escludersi che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni ceduti dopo che gli stessi siano stati consegnati al vettore incaricato dal cessionario, deve invece affermarsi il dovere del predetto cedente di impiegare la normale diligenza richiesta ad un soggetto che pone in essere una transazione commerciale e, quindi, di verificare, con la diligenza dell’operatore commerciale professionale, le caratteristiche di affidabilità della controparte (cfr., Cass. n. 13457/2012), dovendo questi procurarsi mezzi di prova adeguati alle necessità, capaci, se non di dimostrare, quanto meno di non lasciare dubbi circa l’effettività dell’esportazione e circa la sua buona fede (cfr., Cass. n. 1670/2013).

La stessa Agenzia delle Entrate, su impulso di un cedente che aveva consegnato la merce ad un traportatore, con Ris. 25 marzo 2013 n. 19/E, ha precisato inoltre che i documenti utili al fine di ritenere provato il trasferimento fuori dal paese in cui si trova il cedente devono comprovare “... che vi è stata la c.d. movimentazione fisica della merce, che deve aver raggiunto un altro Stato membro...”, aggiungendo che gli stessi “... sono idonei a fornire prova della cessione intracomunitaria se conservati congiuntamente alle fatture di vendita, alla documentazione bancaria attestante le somme riscosse in relazione alle predette cessioni, alla documentazione relativa agli impegni contrattuali assunti e agli elenchi Intrastat”.

Indirizzo che si pone in linea di continuità con la Risoluzione n. 345/E del 28 novembre 2007, ove si era già chiarito che il documento di trasporto CMR può costituire prova idonea, semprechè dallo stesso risulti “(...) l’uscita delle merci dal territorio dello Stato per l’inoltro ad un soggetto passivo d’imposta identificato in altro Paese comunitario”.

E ciò, peraltro, nella consapevolezza che la concreta individuazione delle condotte che il cedente deve tenere (o astenersi dal tenere), perché lo si possa giudicare in buona fede nell’esecuzione di una cessione intracomunitaria non conclusasi con l’effettivo trasferimento dei beni ceduti nello Stato membro di destinazione, attiene a valutazioni riservate al giudice di merito, in quanto inevitabilmente legate alle specifiche caratteristiche di ciascuna vicenda (cfr., Cass. 8132/11), anche se comunque soggette al controllo di logicità e di adeguatezza che la Corte è deputata a svolgere sulla motivazione dell’accertamento di fatto.

Tanto premesso, nel caso di specie la CTR aveva ritenuto idonea la documentazione prodotta dal contribuente (inclusi i CMR) e valutato, secondo il suo argomentato giudizio, non sindacabile in sede di legittimità, il comportamento apprezzabile in termini di buona fede.

Pertanto, il ricorso era infondato.

Alcune considerazioni su cessioni intracomunitarie e onere probatorio

A parte lo specifico caso processuale appena esaminato, in termini più generali, giova anche evidenziare quanto segue.

L’esenzione dall’IVA della cessione intracomunitaria di un bene diviene applicabile solo quando sono soddisfatte tre condizioni, vale a dire:

  • quando, in primo luogo, il potere di disporre di tale bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente;
  • quando, in secondo luogo, il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in un altro Stato membro;
  • e quando, in terzo luogo, in seguito a tale spedizione o trasporto il medesimo bene ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione (per la giurisprudenza comunitaria: Corte Giust., 27 settembre 2007, Teleos, causa C-409/04; Corte Giust., 6 settembre 2012, Mecsek-Gabona, causa C-273/11; Corte Giust., 9 ottobre 2014, Traum, causa C-492/13; per la giurisprudenza italiana: Cass., 8 novembre 2019, n. 28832; Cass., 24 dicembre 2020, n. 29498).

Assodato dunque che, in tema di non imponibilità IVA in materia di cessioni intracomunitarie, l’onere probatorio dei fatti costitutivi dell’esenzione è a carico del contribuente che invoca la deroga, quanto alle modalità con le quali il cedente può offrire la prova che i beni ceduti siano entrati nel territorio delle Stato membro a cui appartiene il cessionario, in assenza di una precisa disposizione normativa nazionale che specifichi le forme di prova idonee a dimostrare il trasporto o spedizione dei beni oggetto della cessione nel territorio di un altro Stato membro, l’Amministrazione finanziaria è intervenuta con le Risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate n. 345 del 28 novembre 2007, n. 477 del 15 dicembre 2008 e n. 19/E del 25 marzo 2013.

La Risoluzione n. 345 del 28 novembre 2007, dopo aver ricordato l’obbligo del contribuente di conservare le fatture e gli elenchi “Intrastat”, ha chiarito, in particolare, che, ai fini della dimostrazione dell’invio dei beni in altro Stato dell’Unione Europea, può costituire prova idonea l’esibizione del documento di trasporto, da cui si evinca l’uscita delle merci dal territorio dello Stato per l’inoltro ad un soggetto passivo d’imposta identificato in altro Paese comunitario.

In tale Risoluzione si precisa inoltre che il contribuente deve conservare sia la documentazione bancaria, dalla quale risulti traccia delle somme riscosse in relazione alle cessioni intracomunitarie effettuate, sia la copia degli altri documenti attestanti gli impegni contrattuali che hanno dato origine alla cessione intracomunitaria e al trasporto dei beni in altro Stato membro.

La Risoluzione n. 477 del 15 dicembre 2008, a propria volta, ha poi precisato che il riferimento contenuto nella Risoluzione n. 345 del 28 novembre 2007 all’esibizione del documento di trasporto deve intendersi effettuato a titolo meramente esemplificativo ed ha chiarito che, nei casi in cui il cedente nazionale non abbia provveduto direttamente al trasporto delle merci e non sia in grado di esibire il predetto documento di trasporto, la prova in questione potrà essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato membro.

In ragione dell’obiettivo proprio dell’Unione europea di evitare una doppia imposizione per la stessa operazione, la prova dell’effettivo trasferimento della merce non deve essere pertanto raggiunta mediante modalità formalistiche, ma secondo una ragionevole valutazione delle prove.

E difettando la dimostrazione dell’elemento costitutivo della territorialità, previsto dall’art. 41 citato, non si è comunque neppure in presenza di cessione intracomunitaria, perché la mancanza di detta prova si traduce nell’omesso assolvimento di un onere essenziale ai fini della configurazione della fattispecie, con conseguente obbligo del versamento dell’IVA dovuta per le cessioni nel territorio nazionale.

Tale prova, peraltro, non è in realtà neppure troppo complessa, visto che, nella pratica commerciale, la prova del trasferimento dei beni può essere agevolmente fornita con una serie di mezzi.

Così accade, per esempio, con il documento di trasporto internazionale “CMR”, firmato sia dal trasportatore, per presa in carico della merce, sia dal destinatario, per ricevuta (la cui copia può essere richiesta al cliente comunitario con attestazione della ricevuta della merce).

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