Imposta di registro: riqualificazione dell’atto solo sulla base di elementi intrinsechi

Emiliano Marvulli - Imposte di registro, ipotecarie e catastali

Riflettori accesi sull'imposta di registro: l'agenzia delle entrate non può riqualificare in cessione di azienda l'atto di due soci che cedono le quote sociali a più cessionari, tenendo conto di elementi estranei. Lo chiarisce la Corte di Cassazione

Imposta di registro: riqualificazione dell'atto solo sulla base di elementi intrinsechi

Ai sensi dell’attuale art. 20 del TUR, l’agenzia delle entrate non può riqualificare in cessione di azienda l’atto con cui due soci cedevano tutte le proprie quote sociali a più cessionari, sulla base di elementi estranei all’atto medesimo.

Il paradigma dell’imposta di registro quale imposta d’atto esclude che si possa dare ingresso ad elementi esterni comprovanti la circostanza che l’atto presentato alla registrazione costituisca, nella sua sostanza, l’elemento terminale di un più vasto programma negoziale, ovvero di una più o meno complessa operazione preparatoria di tipo giuridico-economico o anche soltanto organizzativo.

Questo l’interessante principio contenuto nell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 34917 del 2023.

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Imposta di registro ed elementi per la qualificazione dell’atto: il caso analizzato dalla Cassazione

La vicenda prende le mosse dalla notifica da parte dell’agenzia delle entrate di un avviso di liquidazione in recupero dell’imposta proporzionale di registro, determinata dopo aver riqualificato l’atto di cessione delle quote, ex art. 20 DPR 131/86, come cessione di ramo aziendale.

Avverso l’atto impositivo la società e i soci hanno proposto ricorso, respinto dalla CTP.

La CTR, in riforma della sentenza di prime cure, ha ritenuto illegittimo l’atto, osservando che, contrariamente a quanto affermato dall’amministrazione finanziaria, la cessione totalitaria delle quote sociali e la cessione di azienda non avevano la medesima funzione economica né gli stessi effetti giuridici. Inoltre, la modificazione apportata all’articolo 20 cit. dall’articolo 1 comma 87 legge 205 del 2017 (esclusione degli elementi extratestuali dal procedimento di qualificazione dell’atto) non era qui rilevante, poiché l’accertamento muoveva esclusivamente dalla valutazione dell’atto presentato alla registrazione, non anche di elementi a questo esterni ovvero di atti collegati.

L’agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza dei giudici di merito, lamentando violazione dell’art. 20 del DPR 131/86, per avere la Commissione Tributaria Regionale erroneamente escluso la qualificazione dell’atto in termini di cessione aziendale, nonostante che questa qualificazione si imponesse nella considerazione della causa concreta dell’atto in questione e del suo risultato giuridico finale.

Nel dichiarare infondato il motivo di ricorso la Corte di cassazione ha richiamato per grandi linee l’evoluzione normativa che ha interessato l’art. 20 del TUR fin dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 87, lett. a), della L. 27 dicembre 2017, n. 205 (cd. legge di bilancio 2018) in tema di “interpretazione degli atti”.

Imposta di registro, riqualificazione dell’atto sulla base di elementi intrinsechi all’atto stesso: la posizione della Cassazione

Riaffermato il principio basilare di prevalenza della sostanza sulla forma, l’intervento legislativo ha ristretto l’oggetto dell’interpretazione al solo atto presentato alla registrazione, ed agli elementi soltanto da quest’ultimo desumibili. Non rilevano quindi più, come espressamente indicato dal legislatore, gli elementi evincibili da atti eventualmente ad esso collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali:

“L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi.”

Il 1° gennaio 2019 è entrato poi in vigore l’art. 1, comma 1084, della L. 30 dicembre 2018, n. 145 (bilancio di previsione per l’anno 2019), secondo cui:

“L’art. 1, comma 87, lett. a), della L. 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’art. 20, comma 1, del testo unico di cui al DPR 26 aprile 1986, n. 131.”

In tal modo il legislatore del 2018 ha ritenuto di espressamente attribuire alla previsione dell’art. 1, comma 87, della L. n. 205 cit., portata di interpretazione autentica della disposizione-base di cui all’art. 20 TUR, al fine di assegnare efficacia retroattiva alla riformulazione di quest’ultima disposizione, così da renderla applicabile - fermi i rapporti di registrazione ormai esauriti - anche agli atti negoziali posti in essere prima del 1° gennaio 2018.

All’esito di tale evoluzione normativa, la giurisprudenza della Corte di legittimità ha innanzitutto osservato come le riforme del 2017 e 2018 non abbiano intaccato il principio legislativo-cardine dell’imposizione di registro, costituito dalla prevalenza della sostanza sulla forma.

Ciò perché, a parte ogni considerazione sul rilievo anche ex art. 53 Cost. del principio, ne esce comunque riaffermata la testuale prescrizione per cui “L’imposta deve essere applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”, sicché la prevalenza sostanziale dei presupposti dell’imposizione, rispetto al titolo o alla forma apparente dell’atto, può (deve) a tutt’oggi essere fatta valere dall’Amministrazione finanziaria.

La controversia in commento rappresenta un caso emblematico di qualificazione negoziale per estrinseco, là dove l’assunto di partenza - quello secondo cui le parti avrebbero nella sostanza ceduto un ramo aziendale attraverso la trasmissione della intera partecipazione societaria - viene dimostrato proprio attraverso la valorizzazione di elementi (di natura sia comportamentale sia negoziale) che non emergono dall’atto presentato alla registrazione, quali:

  • la riorganizzazione aziendale intercorsa nei mesi precedenti;
  • gli atti collegati costituiti dalla cessazione dei rapporti di lavoro e dalla risoluzione del contratto di somministrazione con la cooperativa;
  • la sostituzione delle colture e del bestiame in funzione di una diversa destinazione produttiva.

È evidente che tutto non è consentito dalla norma. Il richiamato paradigma dell’imposta di registro quale imposta d’atto esclude che si possa dare ingresso ad elementi esterni comprovanti la circostanza che l’atto presentato alla registrazione costituisca, nella sua sostanza, l’elemento terminale di un più vasto programma negoziale, ovvero di una più o meno complessa operazione preparatoria di tipo giuridico-economico o anche soltanto organizzativo.

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