La fine del blocco dei licenziamenti si avvicina: quanti sono i posti di lavoro a rischio?

Rosy D’Elia - Leggi e prassi

La fine del blocco dei licenziamenti si avvicina: quanti sono i posti di lavoro a rischio? Difficile stabilirlo con certezza, ma un confronto tra i dati INPS sulle cessazioni dei rapporti del 2019 e quelli del 2020, uno sguardo sulle ultime cifre che riguardano cassa integrazione e tendenze dell'occupazione fanno presagire un impatto importante.

La fine del blocco dei licenziamenti si avvicina: quanti sono i posti di lavoro a rischio?

La fine del blocco dei licenziamenti si avvicina, quanti sono i posti di lavoro a rischio? Prevederlo con esattezza è alquanto difficile, ma un confronto tra i dati INPS sulle cessazioni dei rapporti di lavoro del 2019 e quelli del 2020 lascia presagire che l’interruzione del divieto potrebbe interessare, al minimo, il futuro di oltre un milione di lavoratori.

Introdotto dal Decreto Cura Italia, il blocco dei licenziamenti è in vigore da quasi un anno ed è stato prorogato dalla Legge di Bilancio 2021 fino al 31 marzo: pur avendo arginato una possibile emorragia di posti di lavoro in questi mesi di emergenza sanitaria ed economica, la misura potrebbe aver un costo molto alto. Sempre più alto col passare del tempo.

La fine del blocco dei licenziamenti si avvicina: quanti sono i posti di lavoro a rischio?

La necessità di intervenire su questo fronte è stata citata anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il 2 febbraio 2021, tra le questioni che richiedono una risposta immediata e che fanno emergere con forza la necessità di formare un nuovo governo senza ricorrere alle elezioni anticipate.

“A fine marzo verrà meno il blocco dei licenziamenti, e questa scadenza richiede decisioni e provvedimenti di tutela sociale adeguati e tempestivi, molto difficili da assumere da parte di un governo senza pienezza di funzioni, in piena campagna elettorale”.

Ha sottolineato il Presidente, menzionando la gestione della misura insieme a questioni di cruciale importanza per il Paese, come la campagna vaccinale.

La strategia per arginare le conseguenze dello sblocco dei licenziamenti ancora non c’è.

Il Ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri, ancora in carica, nei giorni scorsi aveva parlato della possibilità di lasciare congelate le procedure ancora per qualche mese, per poi passare a un’ulteriore proroga solo per i settori più colpiti, diversamente da quanto previsto in questa fase.

Stando alle regole in vigore, infatti, i datori di lavoro non possono:

  • avviare la procedura di licenziamento collettivo previsto dalla legge del 23 luglio 1991, che riguarda le aziende che occupano più di 15 dipendenti, e in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, hanno intenzione di effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco temporale di 120 giorni nell’unità produttiva oppure in più unità produttive dislocate nella stessa provincia e quelle in CIGS, nel caso in cui nel corso o al termine del programma emerga la necessità di procedere anche ad un solo licenziamento;
  • indipendentemente dal numero dei dipendenti, recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, ovvero procedere al licenziamento che può essere determinato da due fattori:
    • notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro;
    • ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di questa.

L’eccezione alla regola, e quindi la possibilità di licenziare, è prevista solo in due casi: se viene meno il soggetto imprenditoriale o se si arriva a un accordo collettivo aziendale.

La fine del blocco dei licenziamenti si avvicina: definire una strategia per arginare le conseguenze

Il divieto dei licenziamenti ha congelato dei rapporti di lavoro che, in condizioni normali, i datori di lavoro avrebbero potuto interrompere.

Se da un lato, quindi, la misura insieme alla cassa integrazione per coronavirus ha permesso di tutelare i lavoratori in questi mesi di emergenza, dall’altro non ha risolto la questione ma ha spostato in avanti i tempi per adottare una soluzione efficace.

Il blocco, per definizione, ha agito come una forzatura creando delle temporanee distorsioni sul mercato del lavoro: si è creata una diga, che prima o poi, però, deve essere aperta.

Ed è proprio questo il punto critico: trovare una strategia perché la forza dell’acqua non travolga i lavoratori coinvolti. Numerosissimi.

Facendo un confronto con i dati INPS che riguardano le cessazioni dei rapporti di lavoro nel 2019 e nel 2020, nei mesi che vanno da marzo a ottobre, si registra un calo di 1.227.010 unità.

In altre parole, rispetto all’anno precedente oltre un milione e duecento mila persone in più hanno conservato i loro posti di lavoro. Sarebbe un dato positivo se non fosse falsato da due elementi collegati tra loro:

  • il blocco dei licenziamenti in vigore in tutto il periodo considerato;
  • lo stato di salute del mercato del lavoro messo a dura prova da mesi di emergenza coronavirus e quindi caratterizzato da condizioni che non si possono paragonare in alcun modo al 2019 e che hanno portato allo stesso divieto.

Per queste due ragioni, la fine di questa misura potrebbe non solo pareggiare i conti con i dati del 2019, ma superare di gran lunga le cifre di quell’anno.

A suggerirlo sono altri due dati che permettono di avere uno sguardo più completo:

  • secondo l’INPS, dall’inizio dell’emergenza fino a inizio dicembre i lavoratori per cui è stata richiesta la cassa integrazione ordinaria, in deroga e fondi di solidarietà hanno superato quota 6,7 milioni;
  • facendo riferimento alle cifre ISTAT pubblicate il 1° febbraio 2021, sempre a dicembre 2020 l’andamento del mercato del lavoro ha registrato un calo di 444 mila occupati rispetto all’anno precedente.

Nonostante si tratti di cifre eloquenti, è difficile dare dei numeri precisi sui posti di lavoro che sono a rischio con la fine del blocco dei licenziamenti, ma un dato è certo: i numeri danno tutti segnali negativi.

Ed è proprio su questa traccia che il nuovo governo dovrà pianificare tempi e modi per un’apertura cauta e sicura della diga che si è creata con il divieto per i datori di lavoro di procedere con i licenziamenti.

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