Si va verso la festa della mamma 2025 senza alcuna buona notizia per le lavoratrici madri: la child penalty non è una solo questione femminile, ma riguarda anche il calo della natalità

I papà vanno al lavoro e le mamme restano a casa: è ancora questo il ritratto della famiglia con figli o figlie che domina in Italia.
E a confermarlo sono gli ultimi dati che arrivano dal report Le equilibriste diffuso il 6 maggio da Save the children: in media lavora il 91,5 per cento dei padri e solo il 62,3 per cento delle madri dai 25 ai 54 anni. E tra gli under 35 il divario tocca il 40 per cento.
Si va verso una festa della mamma senza buone notizie, anche per la natalità.
Festa della mamma senza buone notizie: perché le donne smettono di lavorare dopo un figlio?
Il 20 per cento delle donne lascia il mercato del lavoro dopo il primo figlio. E un terzo delle madri neanche cerca più un’occupazione: sono il 33 per cento le inattive tra i 25 e i 54 anni, condizione che interessa i padri solo nel 5,2 per cento dei casi.
Perché? In occasione di una nascita, crescono in maniera esponenziale le necessità di cura all’interno di una famiglia.
Ed è alle donne che si chiede di dare risposta a causa di un intreccio di motivazioni culturali e strutturali, che difficilmente si possono scindere e che si alimentano a vicenda.
Ad esempio, il congedo riconosciuto ai padri prevede un periodo di pausa dal lavoro, interamente retribuito, di soli 10 giorni, ben lontano dai 5 mesi di maternità che spetta alla donna. Ed è la norma a stabilirlo.
Ma è la resistenza culturale a spingere i neo papà a utilizzare poco anche quelle due settimane di stop: nonostante i progressi degli ultimi anni, nel 2023 solo il 64,5 per cento di coloro che ne avevano diritto lo hanno richiesto.
A un assetto normativo che si è preoccupato di assicurare solo alle donne l’adempimento della essenziale funzione familiare, come recita l’articolo 37 della Costituzione, si affiancano carenze strutturali importanti.
Festa della mamma senza buone notizie: asili nido ancora lontani dagli standard europei
La più rilevante, senza dubbio, è la carenza di posti negli asili nido che neanche la spinta del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sta riuscendo a sanare.
In Europa si parla del potenziamento degli asili nido come strategia per eliminare i disincentivi alla partecipazione femminile al mercato del lavoro da più di 20 anni.
Secondo quanto previsto sul piano europeo, entro il 2010 gli Stati membri avrebbero dovuto garantire l’educazione e la cura della prima infanzia ad almeno il 33 per cento dei bambini e delle bambine di età inferiore ai tre anni, per il 2030 si dovrebbe arrivare al 45 per cento.
Ma, secondo l’ultima fotografia scattata dall’INPS, l’Italia nell’anno scolastico 2022-2023 era ancora ferma al 30 per cento con importanti divari territoriali tra Nord e Sud. E ad agevolare la corsa verso l’obiettivo interno del 33 per cento entro il 2027 è il calo della natalità, non l’aumento dei posti.
Perché le madri lasciano il lavoro?
È in questo contesto che le donne, madri, si allontanano la mercato del lavoro retribuito. E lo confermano anche la relazione INL sulle convalide delle dimissioni nei primi tre anni di vita del bambino o della bambina.
Nel 2022, ultimo anno analizzato, 44.699 donne hanno interrotto il loro rapporto lavorativo, mentre la stessa scelta ha riguardato 16.692 uomini nella stessa condizione.
Ma più eloquente del divario numerico è quello relativo alle motivazioni. Nella maggior parte dei casi le madri hanno indicato la difficoltà di conciliare le attività lavorative con la cura dei figli e delle figlie per la scarsa disponibilità dei servizi come gli asili nido o per questioni legate alle aziende: il datore di lavoro non vuole concedere il part time o degli orari flessibili, cambia la sede di lavoro.
Mentre i neo papà perlopiù lasciano per passare a un’altra azienda.
La child penalty? È strettamente connessa alla natalità
Dopo essere diventati genitori, gli uomini raggiungono avanzamenti di carriera, firmano contratti più stabili, guadagnano di più. Le donne subiscono battute d’arresto, lavorano e guadagnano di meno, si assicurano pensioni più basse. Sono diversi i dati INPS che lo confermano.
Ed è così che si entra in un circolo vizioso: quando è necessario scegliere all’intero di una famiglia, se il lavoro retribuito delle donne vale meno, sarà più semplice abbandonarlo per incrementare quello di cura. Necessario, costante, senza sosta. Eppure invisibile.
Ma la cosiddetta child penalty, ovvero l’effetto negativo delle nascite sulle carriere femminili, non può più essere trattata come una questione esclusivamente femminile, è anche una questione di futuro.
Se il 2024 ha registrato un nuovo record negativo, con soli 370.000 nuove nascite, è anche perché la maternità pesa, e non solo in termini lavorativi.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Festa della mamma senza buone notizie: il 20% delle donne smette di lavorare dopo un figlio