Il parare della Cassazione in merito agli effetti del cram down come possibile causa di non punibilità

La Corte di Cassazione, Sezione Penale, con la sentenza n. 1043/2025, si è pronunciata in tema di effetti dell’omologazione forzosa (il cosiddetto cram down) come possibile causa di non punibilità, affermando che, entro certi limiti e in presenza di determinate condizioni, l’omologazione, anche forzosa, della transazione fiscale (intervenuta prima della scadenza del termine per il versamento) può escludere la sussistenza del reato.
Omologazione forzosa e causa di non punibilità
Nel caso di specie, il Tribunale, pronunciando in materia di misure cautelari reali, aveva rigettato l’istanza di riesame proposta dall’imputato avverso il decreto con il quale il GIP aveva disposto, nei confronti dello stesso, il sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente con riguardo al reato di cui all’art. 10-bis del Dlgs n. 74 del 2000, se e nella misura in cui non fosse possibile eseguire il sequestro a fini di confisca diretta nei confronti della società beneficiaria dell’illecito penale.
Il reato per cui si procedeva, relativo all’omesso versamento di ritenute certificate, era stato infatti ipotizzato nei confronti dell’imputato nella sua qualità di amministratore della società.
In sede esecutiva, il vincolo reale era stato apposto sulla somma giacente sui conti della società e, per il residuo, sulla somma presente sul conto dell’amministratore, nonché su due immobili intestati allo stesso.
L’amministratore presentava quindi ricorso per cassazione, denunciando, per quanto di interesse, l’illegittimità della sentenza avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del “fumus commissi delicti” dei reati ipotizzati nonostante l’omologazione della proposta di concordato preventivo, laddove il mancato versamento delle ritenute certificate doveva appunto ritenersi consentito dall’omologazione del piano di concordato preventivo.
Nella specie, rilevava il ricorrente, il Tribunale aveva in effetti disposto l’omologazione del piano di concordato, superando il voto contrario dell’Agenzia delle Entrate rispetto alla transazione ex art. 182-ter della legge fallimentare, laddove, visto che l’istanza di ammissione al concordato non era stata pretestuosa ed aveva avuto uno sviluppo favorevole, poteva postularsi l’efficacia retroattiva della procedura alla data di presentazione della domanda, sicuramente operativa agli effetti civili e penali, con conseguente irrilevanza dell’inadempimento del debito tributario (cfr. Cass. n. 36320/2019).
In caso contrario, del resto, si sarebbe avuta la rilevanza penale di un mancato adempimento del tutto lecito per effetto dell’ammissione al concordato, laddove, a norma dell’art. 182-ter legge fall., come modificato dal DL n. 125 del 2020, i debiti tributari oggetto dei reati contestati sono sottoposti ai tempi e modi del pagamento previsti nel piano concordatario ed hanno un contenuto diverso da quelli originari indicati nell’imputazione.
Secondo il ricorrente, nel caso di omologazione del piano, ritenere “impermeabili” le vicende penali alla procedura di concordato avrebbe peraltro implicato l’assegnazione, alle sanzioni penali, del ruolo di presidio di obblighi non più esistenti.
Si doveva quindi concludere che la condotta di inadempimento del debito tributario, il cui contenuto era stato ridefinito da un piano di concordato omologato, costituisse attività legittima ex art. 51 cod. pen.
Con altro motivo di ricorso si rilevava poi che il giudice aveva illegittimamente ritenuto il sequestro conforme ai principi di adeguatezza e proporzionalità, avendo omesso di considerare il perfezionarsi della causa di non punibilità determinata appunto dall’adempimento della transazione fiscale.
Ai sensi dell’articolo 13 del Dlgs n. 74 del 2000 si prevede infatti la non punibilità in casi di “pagamento integrale degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione previste dalle norme tributarie”, dovendosi ritenere rientrare nelle speciali procedure conciliative e di adesione cui fa riferimento l’art. 13 cit. anche le transazioni fiscali di cui all’art. 182-ter legge fall. (cfr., Cass. n. 40217/2018 e Cass. n. 28225/2016).
Il mantenimento del sequestro, nella specie, avrebbe inoltre impedito alla società anche di eseguire il piano concordatario, mirante a preservare la continuità aziendale, determinando così la risoluzione del concordato per inadempimento e la conseguente liquidazione giudiziale dell’impresa.
Il parere della Corte di Cassazione
Secondo la Suprema Corte, nel caso concreto, il ricorso era inammissibile e, nei limiti indicati, le censure infondate.
La stessa Corte afferma però principi generali che meritano di essere rilevati per la loro valenza anche oltre lo specifico caso processuale.
I giudici di legittimità affermano innanzitutto che la procedura di concordato preventivo, quanto agli obblighi scaduti tra la presentazione dell’istanza di ammissione al concordato e l’adozione del relativo decreto, scrimina il reato di omesso versamento di ritenute di cui all’art. 10-bis del Dlgs n. 74/2000 solo nel caso in cui sia intervenuto un provvedimento del Tribunale che abbia vietato, o comunque non autorizzato, il pagamento dei debiti, essendo in tal caso configurabile la scriminante dell’adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell’autorità di cui all’art. 51 cod. pen. (così, tra le tante, Cass. n. 9248/2022).
Ciò posto, l’omologazione del concordato preventivo esclude la configurabilità del delitto di omesso versamento di ritenute certificate solo se interviene prima della data di scadenza del versamento prevista dall’art. 10-bis del Dlgs n. 74 del 2000, avendo tale reato carattere istantaneo, con la conseguenza che l’ammissione al concordato preventivo della società in epoca successiva a tale termine (come era anche nel caso in esame) non elide la responsabilità del rappresentante legale dell’ente (cfr. Cass. n. 3541/2016).
Tale orientamento risulta del resto perfettamente coerente con il complessivo assetto del sistema normativo desumibile dal Dlgs n. 74 del 2000, laddove, a norma dell’art. 13, comma 1, del medesimo decreto, l’integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso, è previsto come causa di non punibilità per i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, del Dlgs cit., e, quindi, non certo come elemento negativo di tipicità del fatto.
La Cassazione rileva poi che l’omologazione del concordato preventivo in data successiva a quella in cui l’inadempimento determina la consumazione del delitto di cui all’art. 10-bis del Dlgs n. 74 del 2000, anche se disposta in presenza di voto contrario dell’Amministrazione finanziaria, concorre comunque ad integrare una causa di non punibilità per tale reato quando all’omologa fa seguito, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’integrale pagamento dell’importo stabilito nell’atto omologato.
Diverse pronunce hanno del resto espressamente qualificato la conciliazione giudiziale e la transazione fiscale come assunzioni di impegno in presenza delle quali, a norma dell’art. 12-bis, comma 2, Dlgs n. 74 del 2000, nel testo vigente prima della riforma recata dal Dlgs n. 87/2014, non opera la confisca, salvo il caso di mancato versamento di quanto già concordato (cfr., per tutte, Cass. n. 28225/2016).
Anche da un punto di vista sistematico, secondo la Corte, appare comunque del resto ragionevole includere anche il concordato omologato nell’ambito delle “speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie” di cui all’art. 13, comma 1, del Dlgs n. 74 del 2000, anche considerato che gli effetti del concordato omologato, anche nel caso di cram down, sono obbligatori per tutti i creditori.
Posto che il concordato preventivo omologato ha efficacia liberatoria per l’imprenditore nei confronti di tutti i creditori, e quindi anche dell’Amministrazione finanziaria, eccetto i casi di annullamento o di risoluzione per inadempimento, non sembra quindi coerente ritenere lo stesso irrilevante ai fini dell’integrazione della causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 1, del Dlgs n. 74 del 2000, che risponde all’esigenza di assicurare un’efficace attività di riscossione da parte dell’Amministrazione finanziaria, nonché allo scopo pratico di incentivare la definizione delle pendenze con il Fisco mediante adempimento volontario di quanto dovuto (come riquantificato a seguito del medesimo concordato).
In ogni caso, rileva la Corte, il concordato omologato in data successiva a quella di perfezionamento del reato di cui all’art. 10-bis del Dlgs n. 74 del 2000 non solo non esclude la configurabilità di tale fattispecie delittuosa, ma è anche da solo insufficiente ad integrare la causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 1, del Dlgs cit., perché, ai fini della verificazione di questa è anche necessario l’intero pagamento delle somme dovute.
Gli effetti del cram down
Tanto premesso, anche al di là dello specifico caso processuale, si conferma sempre più che il tema della delicatezza della concessione “allegra” del cram down non ha potenziali effetti solo sul principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, ma anche su quello di colpevolezza.
La pronuncia richiamata, come visto, era relativa alle ritenute, ma c’è perfino giurisprudenza che estende la scriminante all’omesso versamento Iva, laddove la previsione di cui all’art. 51 c.p. diventa in sostanza il terreno di bilanciamento che, in conclusione, si risolve a favore dell’interesse concorsuale rispetto a quello erariale, posto che:
“l’interesse statale e comunitario al versamento integrale dell’IVA può recedere di fronte a situazioni di insolvenza affrontate con la procedura di concordato preventivo, la quale, come riconosciuto dalla Corte di Giustizia U.E., offre ampie garanzie allo Stato (e alla stessa U.E.) per il recupero dei crediti IVA. (in questo senso Cass. n. 39696/2018).”
Si evidenzia peraltro che la disposizione di cui all’art. 13 D.lgs. n. 74/2000 (come modificato dal Dlgs n. 87 del 2024, art 1) è stata recentemente arricchita di due commi.
Il nuovo comma 3 bis è dedicato appunto alla crisi di liquidità e lega la non punibilità (per i delitti di cui agli artt. 10 bis e 10 ter) alla presenza di cause non imputabili all’autore, che siano sopravvenute rispetto all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’IVA; la disposizione, poi, nel secondo inciso, prevede anche una serie di criteri di cui il giudice deve tenere conto, fra i quali:
- la crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche;
- e la non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi.
Il comma 3 ter introduce infine una disciplina specifica dell’art. 131 bis c.p. nel contesto dei reati tributari, individuando un elenco di circostanze che il giudice deve valutare in modo prevalente, fra le quali spicca, per i profili qui di interesse, anche lo stato di crisi del debitore, come definito dall’art. 2, co. 1, lett. a) del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
In conclusione, data la possibile applicazione di scriminanti e cause di non punibilità, una valutazione troppo “morbida” dello stato di crisi (e soprattutto delle sue cause) e un’applicazione estesa dell’omologa forzosa potrebbero, in sostanza, davvero gettare un colpo di spugna su pretese tributarie, magari anche definitive a seguito di anni di contenzioso, e perfino su procedimenti penali.
Sarebbe dunque necessario un più ragionato raccordo tra piano tributario, penale e (soprattutto) concorsuale.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Omologazione forzosa e causa di non punibilità