La tassazione del contratto assorbe la clausola penale

Gianfranco Antico - Imposte di registro, ipotecarie e catastali

La penale c'è se c'è il contratto. La Corte di Cassazione si è espressa sull'esclusione dall'autonoma tassazione della clausola penale e sulla sua necessaria accessorietà rispetto al contratto nella quale è inserita

La tassazione del contratto assorbe la clausola penale

La clausola penale non è soggetta ad autonoma tassazione, in ragione della sua accessorietà rispetto al contratto nella quale è inserita, poiché se può sussistere un contratto senza penale non può al contrario sussistere una penale senza il contratto.

È questo sinteticamente il principio dettato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 30983/2023.

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Il fatto oggetto della pronuncia della Corte di Cassazione

La questione investe la clausola penale contenuta in un contratto di locazione concluso da una S.r.l., dove è presente una clausola penale per il caso di ritardo nella restituzione del bene locato.

L’Agenzia delle Entrate, ritenendo applicabile l’art.21, comma 1, del d.P.R.131/86, ha provveduto al recupero dell’imposta di registro della misura fissa.

Si assume, infatti, la natura autonoma della clausola penale tenuto conto dell’autonomia strutturale e funzionale della stessa correlata al verificarsi di un evento futuro ed esterno al contratto: l’inadempimento o inesatto adempimento contrattuale.

La Corte, dopo aver operato un vero e proprio excursus sul significato da attribuire al concetto di “disposizione” e preso atto che la stessa Amministrazione Finanziaria con la circolare n. 18/E del 2013 ha avuto modo di precisare che per “disposizione” si intende “una convenzione negoziale suscettibile di produrre effetti giuridici valutabili autonomamente, in quanto in sé compiuta nei suoi riferimenti soggettivi, oggettivi e causali”, ha evidenziato che la giurisprudenza maggioritaria ha rimarcato che la funzione coercitiva e di predeterminazione del danno della clausola penale ne implica la sua necessaria accessorietà (ex multis: Cass. n. 18779/2006).

Gli Ermellini richiamano un recente pronunciamento delle Sezioni Unite, sentenza n. 9775/2022, dove è stato chiarito che clausole penali di tal tipo svolgono:

“la funzione civilistica di determinazione preventiva e consensuale della misura del risarcimento del danno derivante dall’inadempimento o dal ritardo nell’adempimento.”

In altri termini (v. anche Cass. n. 21398/2021; Cass. n. 11548/2023):

“la funzione sanzionatoria è stata correlata alla natura pubblicistica della fattispecie colà dedotta (concessione-contratto), ribadendosi, per contro, la diversa funzione civilistica delle clausole penali.”

Per i giudici di Piazza Cavour occorre verificare se la previsione di una clausola penale all’interno di un contratto, nel caso in esame di locazione, possa ritenersi per intrinseca natura connessa al contratto.

E il ragionamento non può che prendere le mosse dalle regole civilistiche:

“la clausola penale ha, secondo la previsione codicistica, lo scopo di sostenere l’esatto, reciproco, tempestivo adempimento delle obbligazioni «principali», intendendosi per tali quelle assunte con il contratto cui accede; essa non ha quindi una causa “propria” e distinta (cosa che invece potrebbe accadere in diverse ipotesi, pur segnate da accessorietà, come quella di garanzia), ma ha una funzione servente e rafforzativa intrinseca di quella del contratto nel quale è contenuta; dovendosi desumere pertanto che più che discendere dall’inadempimento dell’obbligazione assunta contrattualmente, la clausola penale si attiva sin dalla conclusione del contratto in funzione dipendente dall’obbligazione contrattuale.”

Le clausole penali non possono sopravvivere autonomamente rispetto al contratto e ad esse deve applicarsi la disciplina generale dell’oggetto del contratto (v. Cass. n. 21713/2020), tenuto conto che trovano la loro fonte e radice nella medesima causa del contratto rispetto alla quale hanno effetto ancillare.

Esse attengono, quindi, per loro inscindibile funzione ed “intrinseca natura” (ed in ciò palesano la loro essenza, appunto, di “clausole” regolamentari di una prestazione più che di “disposizioni” negoziali) all’unitaria disciplina del contratto al quale accedono; venendo per il resto a prestabilire e specificare una prestazione ovvero un obbligo, quello risarcitorio, altrimenti regolato direttamente dalla legge.

Tali prestazioni sono, pertanto:

“riconducibili ad un unico rapporto, caratterizzato da un’unica causa, atteso che il legislatore ha concesso alle parti di innestare la predeterminazione del danno risarcibile direttamente nel contenuto del disciplinare di contratto, di talchè non potrebbe affermarsi che le disposizioni - contratto e connessa clausola penale - siano rette da cause diverse e separabili; quindi con l’effetto di doverle considerare derivanti, per loro intrinseca natura, le une dalle altre (in senso conforme Cass. del 13/11/1996, n. 9938).”

Nel caso di inadempimento, si instaura una relazione di alternatività-esclusione tra le obbligazioni originate dal contratto e quella da penale, atteso che il creditore può domandare e ottenere la prestazione principale o la penale, ma non entrambe, in virtù del divieto di cumulo previsto dall’art. 1383 c.c..

Sul piano giuridico, osservano gli Ermellini:

“l’obbligazione insorgente dalla clausola penale, sebbene si attivi conseguentemente all’inadempimento dell’obbligazione, non si pone come causa diversa dall’obbligazione principale, alla luce della funzione ripristinatoria e deterrente-coercitiva rispetto all’adempimento sua propria, finalizzata a disincentivare e «riparare» l’inadempimento, oltre che introdotta dal legislatore come elemento contrattuale volto a ridurre la conflittualità in caso di inadempienza, tutelando anche in ciò, ab initio, la parte adempiente.”

È dunque la stessa disposizione di legge che correla gli effetti della clausola penale all’inadempimento contrattuale, con la conseguenza che, assumendo appunto la clausola penale una funzione puramente accessoria e non autonoma, come confermato da Cass. n. 18779/2005, rispetto al contratto che la prevede, l’obbligo che da essa deriva non può sussistere autonomamente rispetto all’obbligazione principale.

Obbligazione principale che difatti:

“se per qualsiasi ragione (diversa dall’inadempimento) travolta, non può che rendere per ciò solo al pari inoperante la penale; il che equivale ad osservare che se certo può sussistere, com’è ovvio, un contratto senza penale (tranne che nei casi in cui questa sia imposta direttamente dalla legge, come in materia di appalti pubblici), non può al contrario sussistere quest’ultima senza il contratto, di cui segue per intero le sorti, anche nel caso di sua invalidazione o cessione.”

Né può ritenersi violato il principio ex art. 53 Cost., posto a presidio anche dell’imposizione di registro:

“perché la clausola penale - sia e proprio per la sua natura risarcitoria e dunque meramente reintegrativa di un patrimonio diminuito dall’inadempimento, sia per il suo tipico effetto di esonero probatorio - non esprime di per sé alcuna ricchezza significativa di forza economica e capacità contributiva (o, quantomeno, non più di quelle espresse per il caso di regolare adempimento del contratto).”

Né a diversa conclusione la Corte perviene nell’ipotesi in cui le parti stabiliscano, a titolo di penale per il ritardo, un tasso di interesse moratorio eccedente quello legale.

“Seppure si sia affermato (v. Cass. Sez. 3, n. 5379/23) che, in tal caso, non tanto di clausola penale si verterebbe quanto di effetto corrispettivo-retributivo dell’inadempimento, con conseguente sua riducibilità ad equità non ex art. 1384 cit., ma in applicazione dei tassi-soglia di usurarietà ex L. n. 108 del 1996, resta che - ai fini tributari - anche una simile pattuizione presenta gli illustrati caratteri della intrinseca e necessaria derivazione ex art. 21, comma 2, Tur..”

Ciò per la Corte tanto più considerando che sia la penale sia l’interesse moratorio sono volti a predeterminare le conseguenze dannose dell’inadempimento (quanto ai secondi, nel caso in cui il ritardo riguardi un’obbligazione pecuniaria), e che il pagamento degli interessi di mora (salva la loro quantificazione) non discende dalla volontà delle parti, ma direttamente dall’art. 1224 c.c.; e, nell’ottica risarcitoria, anche in questo caso il creditore è ammesso a dimostrare di aver subito “un danno maggiore”, così da spettargli “l’ulteriore risarcimento”.

Il principio di diritto affermato:

“ai fini di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 21, la clausola penale (nella specie inserita in un contratto di locazione) non è soggetta a distinta imposta di registro, in quanto sottoposta alla regola dell’imposizione della disposizione più onerosa prevista dal comma 2 della norma citata.”

Brevi note

Ai sensi dell’art.1382 del codice civile, la clausola penale è una pattuizione:

“[...] con cui le parti convengono preventivamente che, in caso di inadempimento, o di ritardo nell’adempimento uno dei contraenti è tenuto ad una determinata prestazione ha l’effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore. La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno.”

La clausola penale è una pattuizione mediante la quale le parti stabiliscono anticipatamente quanto il debitore dovrà pagare, a titolo di penale, ove dovesse rendersi inadempiente, senza che il creditore debba dare la prova di avere subito effettivamente un danno di misura corrispondente.

La posizione delle Entrate è sempre rimasta ferma sulla natura autonoma (risposta ad interpello n.246/2022):

“pattuizione autonoma che si inserisce all’interno di un contratto principale, con una funzione accessoria.”

E antecedentemente, la stessa A.F., con la risoluzione, n.91 del 16 luglio 2004, aveva affermato che atteso il rapporto di necessaria causalità tra la clausola penale e le disposizioni di un contratto in generale, l’atto è soggetto all’imposta di registro dovuta per la sola disposizione che da luogo all’imposizione più onerosa secondo le disposizioni contenute nell’art.21 del T.U. n. 131/1986 (nella fattispecie il contratto d’appalto è soggetto all’imposta di registro in misura fissa, mentre alla clausola penale l’imposta va applicata con l’aliquota del 3 per cento, pertanto l’imposizione più onerosa è costituita dalla clausola penale).

Ricordiamo che il pagamento che consegue, in caso di inadempimento, dalla stessa clausola è escluso dalla base imponibile IVA, ai sensi dell’articolo 15, comma 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e assoggettato ad imposta di registro ai sensi dell’articolo 40 del TUR (c.d. principio di alternatività IVA/ Registro).

La Cassazione, quindi, ha escluso l’autonoma tassazione della clausola penale, in ragione della sua accessorietà rispetto al contratto nella quale è inserita: la penale c’è se c’è il contratto.

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