Buste paga dei giovani (e degli impatriati) senza IRPEF ma con la flat tax?

Buste paga più ricche per i giovani, senza IRPEF ma con flat tax.
Secondo la proposta dovrebbe arrivare in Parlamento nei prossimi giorni, per 5 anni i dipendenti under 30 con redditi imponibili IRPEF fino a 40.000 euro applicherebbero una flat tax del 5 per cento (al posto della stessa Irpef).
L’esenzione arriverebbe addirittura a 100.000 euro per gli impatriati.
Ci sarebbe un vantaggio anche per le aziende ovvero un nuovo esonero totale dal versamento dei contributi previdenziali per tre anni.
È solo una proposta ma già fa discutere e non poco.
Ciclicamente, infatti, torna in auge il tema della flat tax, un’aliquota piatta che sostituisce l’IRPEF e che, in Italia, è ampiamente utilizzata. Al momento ce ne sono 26 e mettono a durissima prova il principio costituzionale di progressività del sistema tributario.
Al di là della provenienza della proposta e della sua assoluta condizione di astrattezza, vorrei fare qui due ordini di considerazioni.
La prima riguarda l’eccessivo ricorso alle flat tax. Sono troppe nel sistema tributario italiano e, a volte, come nel caso del regime forfettario per le piccole partite IVA, creano anche alcuni effetti distorsivi sul sistema (in generale) e iniquità fiscale e, di conseguenza, sociale.
Sulla tassazione dei redditi da lavoro (e di impresa) occorre certamente intervenire, riducendo in tutti i modi possibili l’eccessiva pressione fiscale oggi in vigore.
Ma la proposta di una flat tax al 5 per cento sugli stipendi dei più giovani rischia, prima ancora di nascere, di creare le solite e pericolose false illusioni.
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Innanzitutto in ordine ai volumi di reddito imponibile che farebbero scattare questa agevolazione fiscale, al momento si parla di:
- 40.000 euro per le giovani lavoratrici e i giovani lavoratori residenti in Italia;
- 100.000 euro per gli impatriati.
E qui già si aprirebbero diversi scenari relativi all’equità di una scelta di questo tipo che, in un certo senso, vedrebbe un ipotetico under 29 avere un’agevolazione fiscale fino a un certo reddito se residente in Italia mentre, contemporaneamente, lo stesso under 29 che tornasse in Italia dopo due o più anni all’estero potrebbe vedersi defiscalizzato un reddito imponibile ben maggiore, fino a 100.000 euro.
Poi una seconda considerazione, che riguarda il regime degli impatriati: la proposta di cui si parla in queste ore, posto che si concretizzi mai, renderebbe necessario rivedere nuovamente un regime fiscale che negli anni ha funzionato molto bene ma che, purtroppo, è stato di fatto depotenziato con l’ultima riforma.
Con la riforma fiscale, infatti, sono state del tutto riscritte le regole alla base delle agevolazioni fiscali previste per il rientro dei cervelli, in particolare per ciò che concerne le lavoratrici e i lavoratori impatriati.
È stato abrogato l’articolo 16 del decreto legislativo numero 147/2015, rivisto in maniera profonda nel 2019 dall’articolo 5 del Decreto Crescita.
Tra le principali novità si è ridotta l’agevolazione, con il ritorno a un’esenzione pari al 50 per cento, e non più del 70 per cento, e si è introdotto anche un limite per l’applicazione dei benefici, 600.000 euro nell’arco di un anno (si veda anche il decreto legislativo numero 209/ 2023 sulla fiscalità internazionale).
Intatte, invece, sono rimaste le regole per docenti e ricercatori regolare dall’articolo 44 del DL numero 78/2010 che, allo stesso modo, era stato rivisto nel 2019.
Se si intervenisse sulla flat tax per i giovani ci auguriamo solo che non venga nuovamente toccato e depotenziato il sistema del regime degli impatriati, che consente a molte e molti giovani di tornare in Italia, portando valore vero, costruito in anni di sacrifici all’estero.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Buste paga più ricche per i giovani?