Accertamento con adesione e principi penali emergenti nella recente giurisprudenza

Gianfranco Antico - Dichiarazioni e adempimenti

Analisi dei principali elementi emergenti dallo studio della recente giurisprudenza in materia di risvolti penali nell'accertamento con adesione.

Accertamento con adesione e principi penali emergenti nella recente giurisprudenza

Nel precedente intervento abbiamo parlato dei vantaggi penali derivanti dall’accertamento con adesione.

Abbiamo considerato, in particolare, come il giudice penale non sia vincolato all’accertamento del giudice tributario, così che la sopravvenienza di un accordo amministrativo, che va a modificare sostanzialmente l’iniziale determinazione dell’imposta evasa, coincidente con quella presa a riferimento per la formulazione dell’imputazione in sede penale, non comporta l’automatico venir meno dell’ipotesi delittuosa originaria.

L’assenza di tale vincolo automatico ha naturalmente chiamato in causa la Sezione penale della Corte di Cassazione che più volte è intervenuta.

Indichiamo i pronunciamenti più significativi:

  • Cass. Pen. sentenza n. 5640 del 14 febbraio 2012 (ud 2 dicembre 2011). Osserva la Corte – richiamando una precedente pronuncia (Cass. sent.n.21213/2008) - “che ai fini dell’individuazione del superamento o meno della soglia di punibilità, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all’accertamento e alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario. Quindi è ben possibile che la pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria venga ridimensionata o addirittura invalidata nel giudizio innanzi al giudice tributario. Ciò però non vincola il giudice penale e quindi non può escludersi che quest’ultimo possa eventualmente pervenire - sulla base di elementi di fatto in ipotesi non considerati dal giudice tributario - ad un convincimento diverso e ritenere nondimeno superata la soglia di punibilità per essere l’ammontare dell’imposta evasa superiore a quella accertata nel giudizio tributario. Ma i possibili esiti del giudizio tributario, che può definirsi anche con una pronuncia meramente in rito, costituiscono un dato ben distinto dalla pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria che fissa il limite della soglia di punibilità: il giudice penale non è vincolato all’accertamento del giudice tributario, ma non può prescindere dalla pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria”;
  • Cass. Pen. Sentenza n.17706 del 18 aprile 2013, secondo cui “il giudice penale non è vincolato dalle risultanze dell’atto negoziale concordato dal contribuente evasore con l’ente impositore, ma sola dalla considerazione metodologica dell’esistenza di un tale diverso contenuto dell’obbligazione tributaria, rispetto a quella originariamente contestata con l’avviso di accertamento”;
  • Cass. Pen. sentenza n.7615 del 18 febbraio 2014. Per la Corte l’atto di adesione redatto incide sul calcolo delle soglie di punibilità. “È ovvio però che di tale diverso convincimento occorre dare specifica e congrua motivazione”. Osservano gli Ermellini che, “ai fini dell’individuazione del superamento o meno della soglia di punibilità, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all’accertamento e alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria (Sez. 3, n. 36396 del 18/05/2011, Mariutti, Rv. 251280; Sez. 3, n. 21213 del 26/02/2008, De Cicco, Rv. 239984). È quindi ben possibile che la pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria venga ridimensionata o addirittura invalidata nel giudizio innanzi al giudice tributario, senza che ciò possa vincolare il giudice penale e senza che possa quindi escludersi che quest’ultimo pervenga - sulla base di elementi di fatto in ipotesi non considerati dal giudice tributario - ad un convincimento diverso e ritenere nondimeno superata la soglia di punibilità per essere l’ammontare dell’imposta evasa superiore a quella accertata nel giudizio tributario”;
  • Cass. Pen. sentenza n.4906 del 2 febbraio 2015, secondo cui il giudice penale è vincolato alle risultanze dell’atto di adesione, ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele;
  • Cass. Pen. Sentenza n. 37094 del 15 settembre 2015, che ha ritenuto comunque che il giudice penale possa prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per determinare l’imposta evasa: “ cambia la regola di giudizio, non la regola da applicare”, fermo restando che “ di tali costi non contabilizzati sussista la prova, diretta o indiziaria”. E concludono i massimi giudici, ritenendo non legittimo, nemmeno in sede penale, presumere l’esistenza di costi deducibili in assenza quantomeno di allegazioni fattuali che rendano almeno legittimo il dubbio in ordine alla loro sussistenza (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 37131 del 09/04/2013);
  • Cass. Pen. sentenza n.39379 del 22 settembre 2016, che ha ritenuto di esclusiva competenza del giudice penale la quantificazione dell’imposta evasa, confermando che per imposta evasa deve intendersi l’imposta dovuta, determinata sulla base delle risultanze penali, ponendo a confronto i ricavi con i costi. Sul punto, la Corte di Cassazione ritiene che debba darsi prevalenza al dato fattuale reale piuttosto che ai criteri formali che caratterizzano la determinazione dell’imposta ai fini tributari, che può essere diversa da quella determinata dal giudice tributario, e rappresentata nell’avviso di accertamento. Per i supremi giudici, i costi dichiarati sono riferiti ai ricavi indicati in contabilità mentre per i ricavi omessi occorre tenere conto di ulteriori costi se detraibili (pur se, a nostro avviso, non sussiste alcuna automatica correlazione tra ricavi non contabilizzati ed eventuali costi non contabilizzati). La Corte, inoltre, nel rinviare ad altra sezione della Corte di Appello, precisa che occorrerà appurare gli eventuali costi documentati “o, in ogni caso presumibili”;
  • Cass. Sez. penale n. 7020 del 14 febbraio 2018, secondo cui ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, il giudice non è vincolato, nella determinazione dell’imposta evasa, all’imposta risultante a seguito dell’accertamento con adesione, purché indichi concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’iniziale quantificazione dell’imposta dovuta. Tuttavia, in assenza di elementi che facciano ritenere esistenti dei costi, la determinazione delle imposte evase può essere effettuata anche solo sulla base dei ricavi accertati.

In pratica, la Corte fa sempre salvo il principio del doppio binario.

Tuttavia, se il giudice penale non è vincolato dall’accertamento fiscale, non può comunque prescindere dalla pretesa tributaria.

L’iniziale pretesa tributaria - ridimensionata da un atto negoziale concordato tra le parti – non vincola il giudice penale all’imposta così accertata; ma per discostarsi dalla nuova imposta determinata in contraddittorio con il contribuente per tener conto, invece, dell’iniziale pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria al fine della verifica della soglia di punibilità prevista dagli articoli 4 e 5 del Decreto Legislativo numero 74/2000

occorre che risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’iniziale quantificazione dell’imposta dovuta

E sicuramente appare difficile riscontrare per il giudice penale concreti elementi che rendano maggiormente attendibile l’imposta accertata o accertabile rispetto a quella concordata.

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