Accertamenti bancari sul coniuge solo se c’è la prova di evasione

L'Amministrazione finanziaria può utilizzare a carico dell'impresa le indagini su conti correnti bancari intestati a soggetti terzi dall'imprenditore, solo se prova che l'intestazione a terzi è fittizia. Lo stabilisce la corte di Cassazione con la sentenza numero 2386 del 2019.

Accertamenti bancari sul coniuge solo se c'è la prova di evasione

L’Amministrazione finanziaria può utilizzare a carico dell’impresa le risultanze delle indagini bancarie su conti correnti bancari intestati a soggetti terzi dall’imprenditore, anche se legati da vincoli familiari o d’affari, solo se prova adeguatamente che l’intestazione a terzi è fittizia o comunque che i movimenti risultanti su tali conti sono sostanzialmente imputabili ad attività non dichiarate del contribuente.

Sono queste le precisazioni contenute nella Sentenza della Corte di Cassazione n. 2386\2019.

Corte di Cassazione - Sentenza numero 2386 del 29 gennaio 2019
La Corte di Cassazione stabilisce: accertamenti bancari sul coniuge solo se c’è la prova di evasione.

La sentenza – La controversia nasce dall’impugnazione da parte di un imprenditore individuale di una serie di avvisi di accertamento contenenti le risultanze di una verifica fiscale, nel corso della quale i verificatori avevano esteso le indagini bancarie su conti riferibili al consorte dell’imprenditore. Detto controllo nei confronti del coniuge era stato disposto perché, nel corso della verifica, era emerso il suo ruolo all’interno dell’impresa, quale co-responsabile dei rapporti con i fornitori, operatore sui conti correnti riferibili alle attività imprenditoriali e garante finanziario dell’attività di cui era titolare la moglie.

Nel ricorso il contribuente ha contestato la riferibilità all’attività di impresa delle movimentazioni bancarie rilevate, in particolare su un conto corrente intestato a una terza persona, estranea alla coppia e non sottoposto a controllo, su cui il coniuge dell’imprenditore risultava essere procuratore.

Il giudizio giungeva dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha ritenuto fondato il motivo di ricorso dell’imprenditore circa l’illegittimità di qualificare come ricavi le movimentazioni bancarie rilevate su un conto terzo all’impresa.

A parere dei giudici di legittimità al caso di specie è applicabile il principio giurisprudenziale oramai consolidato secondo cui, in tema di accertamenti bancari ai sensi gli artt. 32 co. 1, n. 1 e 7 del D.P.R. n. 600/1973, e 51, co. 2, n. 2 e 7 del D.P.R. n. 633/1972, la presunzione dell’Ufficio di attrarre ad operazioni imponibili le movimentazioni bancarie è applicabile, in linea di principio, solo con riferimento ai conti intestati o cointestati al contribuente e non a quelli riferibili a terzi, seppur legati al contribuente da vincoli familiari o d’affari.

Tale limitazione può essere superata, e la presunzione estesa alle movimentazioni rinvenute su rapporti bancari intestati a persone diverse dal contribuente sottoposto a controllo, solo qualora l’Ufficio dimostri in sede giudiziale “che l’intestazione a terzi è fittizia o comunque è superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti”.

Sulla base del summenzionato principio il collegio di legittimità ha ritenuto errato l’operato della CTR “non rinvenendosi nella motivazione alcun passaggio relativo all’imputabilità alla contribuente dei conti intestati, rispettivamente, al coniuge e ad un soggetto terzo di cui il coniuge aveva la disponibilità per essere procuratore o legale rappresentante del terzo titolare”.

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