Via il limite massimo di 240.000 euro per gli stipendi nella pubblica amministrazione. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale

Il limite massimo per gli stipendi della PA introdotto nel 2014 è incostituzionale.
Il tetto deve essere parametrato al limite massimo nello stipendio del primo presidente della Corte di Cassazione.
Dai 240.000 euro lordi previsti finora, dunque, il limite torna a 311.658,53 euro. A stabilirlo è la sentenza della Corte Costituzionale n. 135/2025, pubblicato il 28 luglio.
Stipendi PA: stop al tetto di 240.000 euro
Stop al tetto di 240.000 euro per gli stipendi dei dipendenti pubblici: per la Consulta è illegittimo.
Oggetto della sentenza, in breve, non è il tetto allo stipendio, che di per sé non è incostituzionale, ma il vincolo introdotto nel 2014 che l’ha fissato nel limite di 240.000 euro lordi anziché nel trattamento economico onnicomprensivo che spetta al primo presidente della Corte di cassazione.
La Corte Costituzionale, dunque, ha dichiarato illegittimo l’art. 13, comma 1, del decreto-legge n. 66 del 2014, che ha fissato tale limite a 240.000 euro.
Il limite massimo retributivo, ricordiamo, è stato introdotto per la prima volta dal Governo Monti nel 2011 nel cosiddetto decreto Salva Italia (n. 201/2011), con l’obiettivo di limitare la spesa. Per tutti coloro che ricevevano emolumenti o retribuzioni a carico delle finanze pubbliche lo stipendio massimo doveva essere parametrato a quello del primo presidente della Corte di Cassazione, senza poterlo superare.
Nel 2014, sempre in ottica di spending review, il Governo Renzi con il decreto-legge n. 66 ha ulteriormente ridotto tale limite fissandolo a 240.000 euro, che per via dell’adeguamento periodico al tasso di aumenti medi del pubblico impiego è salito nel tempo a 255.127,83 euro lordi.
È proprio quest’ultimo vincolo, quello introdotto dall’art. 13, comma 1, del citato DL n. 66/2014, ad essere stato dichiarato incostituzionale dalla Consulta, che invece ritiene legittimo il precedente parametro del 2011, con il rinvio, quindi, allo stipendio del primo presidente della Corte di Cassazione, pari a 311.658,53 euro.
Per i primi anni in cui la norma è stata applicata, precisa la Consulta, non è stata ritenuta costituzionalmente illegittima poiché considerata appunto una misura straordinaria e temporanea, giustificata dalla situazione di eccezionale crisi finanziaria in cui versava il Paese.
“Con il trascorrere del tempo, tuttavia, essa ha definitivamente perso quel requisito di temporaneità, posto a tutela della indipendenza della magistratura e necessario ai fini della sua compatibilità costituzionale.”
Il tetto riguarda tutti i dipendenti pubblici
Oggi, dunque, un simile limite si pone come una violazione della Costituzione. La sentenza del 28 luglio, spiega la Corte, “si pone in linea con i principi ai quali si ispirano plurimi ordinamenti costituzionali di altri Stati”. Anche la Corte Europea, a inizio anno (sentenza del 25 febbraio 2025, grande sezione, cause C-146/23 e C-374/23), si è espressa sul tema, censurando analogamente la riduzione del trattamento retributivo dei magistrati.
Come precisato dalla Consulta, l’incostituzionalità del vincolo retributivo “non può che operare in riferimento a tutti i pubblici dipendenti”. La decisione, dunque, vale per tutti i dipendenti pubblici sottoposti al tetto e non solo per i magistrati.
Trattandosi di una incostituzionalità sopravvenuta, la declaratoria di illegittimità non è retroattiva e produrrà i suoi effetti solo dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale. Non è pertanto previsto il riconoscimento di eventuali arretrati.
Si tratta però di una sentenza che rimette in discussione i trattamenti economici dei vertici delle amministrazioni statali, riaprendo anche il discorso dell’attrattività delle posizioni dirigenziali pubbliche rispetto a quelle nel privato, dove non ci sono limiti ai possibili guadagni.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Stipendi PA: stop al tetto massimo di 240.000 euro