Fisco punitivo con chi non accetta il concordato preventivo biennale

Mano dura del Fisco per chi non accetterà la proposta di concordato preventivo biennale. Si dimezzano i limiti per le sanzioni accessorie, che possono portare anche alla chiusura temporanea dell'attività. Le novità e le richieste di revisione richieste dalle Commissioni al Governo

Fisco punitivo con chi non accetta il concordato preventivo biennale

Non accettare la proposta di concordato preventivo biennale avrà conseguenze anche sul fronte delle sanzioni tributarie in materia di imposte dirette e IVA.

Questa una delle novità contenute nel decreto legislativo di riforma delle sanzioni in ambito fiscale, sulla quale arrivano però le richieste di correttivi da parte delle Commissioni Giustizia e Finanze della Camera.

Il 10 aprile 2024 si è concluso l’iter di esame dello schema di decreto legislativo in materia di revisione del sistema sanzionatorio tributario, con parere favorevole e con alcune osservazioni.

La “mano pesante” del Fisco nei confronti di chi non aderirà alla proposta di concordato preventivo biennale è uno degli aspetti critici posti in evidenza, sui quali si chiedono passi indietro al Governo.

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Fisco punitivo con chi non accetta il concordato preventivo biennale

Alla previsione di maggiori controlli, il decreto legislativo di riforma delle sanzioni tributarie prevede una disciplina più gravosa per i titolari di partita IVA che non aderiranno al concordato preventivo biennale.

In particolare, nella revisione della disciplina sanzionatoria prevista dal decreto legislativo n. 471/1997, spiccano le modifiche all’articolo 12 relativo alle sanzioni accessorie, anche sul fronte della sospensione dell’attività in caso di violazioni in materia di imposte dirette e IVA.

Come evidenziato nelle schede di lettura predisposte dal Dipartimento per la Giustizia:

“la novità saliente introdotta dallo schema di decreto sottoposto a parere parlamentare è rappresentata dal fatto che quando una sanzione amministrativa irrogata per violazioni riferibili ai periodi d’imposta e ai tributi oggetto di proposta di concordato preventivo biennale non è accolta dal contribuente, le soglie per l’applicazione delle sanzioni accessorie sono ridotte della metà. Stessa riduzione si ha nei casi di sanzioni amministrative nei confronti di un contribuente decaduto dall’accordo di concordato preventivo biennale per inosservanza degli obblighi previsti dalle norme che lo disciplinano.”

Si interviene sul limite di 50.000 euro previsto in via generale dal comma 1 dell’articolo 12, che per quel che riguarda i contribuenti che non accetteranno la proposta di concordato preventivo biennale sarà dimezzato. Stessa regola anche per chi decadrà dall’accordo.

Le sanzioni accessorie, stando alla formulazione della norma prevista dallo schema di decreto, potranno essere applicate per un periodo da tre a sei mesi in caso di sanzioni superiori a 25.000 euro, e per una durata fino a 12 mesi in caso di sanzioni superiori a 50.000 euro (100.000 euro per la generalità dei casi).

L’eccessiva gravosità delle regole, legate al debutto del concordato preventivo biennale, era stata evidenziata anche dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili nel corso dell’Audizione dello scorso 27 marzo presso le Commissioni congiunte Giustizia e Finanze della Camera.

Il parere elaborato a conclusione dell’esame del provvedimento riprende quindi le osservazioni dei Commercialisti e la richiesta al Governo è di rivedere quanto previsto ad oggi.

Dalle nuove sanzioni pressioni del Governo per l’adesione al concordato preventivo biennale

Tra le sanzioni accessorie per le quali i limiti d’applicazione rischiano di dimezzarsi vi è anche la sospensione dell’esercizio dell’attività. Questo uno dei motivi che hanno portato prima i Commercialisti, e ora le Commissioni parlamentari competenti, a richiedere al Governo di tornare sui propri passi.

Il dimezzamento delle soglie per chi non accetterà la proposta che verrà elaborata dall’Agenzia delle Entrate:

rischia di tramutarsi in una indebita pressione all’accettazione della proposta medesima, in un contesto in cui, tenuto conto della volontarietà dell’adesione, il contribuente dovrebbe essere invece lasciato libero nella sua decisione.”

Dal Governo sembrano quindi arrivare pressioni eccessive per convincere i contribuenti ad accettare il patto biennale con il Fisco, e non sembra certo un’anomalia se si tiene conto che sulle entrate che deriveranno dal concordato si reggerà parte della politica fiscale del prossimo triennio.

È stato lo stesso Viceministro Leo a evidenziare a più riprese che le entrate da concordato preventivo biennale saranno la base anche per la conferma della riforma dell’IRPEF nel 2025 e, risorse permettendo, del nuovo passo che dovrebbe portare da tre a due le aliquote dell’imposta.

Ad oggi però aderire al concordato preventivo biennale non appare così vantaggioso, anche considerando che è stato già palesato come si tenterà di aumentare gradualmente il reddito dei contribuenti, con il fine di arrivare alla piena affidabilità fiscale per tutte le partite IVA aderenti.

Un obiettivo “10 in pagella per tutti” che rischia di trasformarsi in un aumento eccessivo di reddito per i titolari di partita IVA che ad oggi presentano punteggi ISA più bassi. Ma, se non sarà questo il fronte che convincerà ad accettare la proposta del Fisco, il Governo tenta la via della “mano pesante” delle sanzioni tributarie.

Dopo la formulazione dei pareri delle Commissioni di Camera e Senato, il testo del decreto di riforma dovrà in ogni caso tornare in Consiglio dei Ministri per il via libera definitivo. Il Governo potrà scegliere di accettare o meno le indicazioni parlamentari, che non assumono quindi natura vincolante.

Per il momento quindi non vi è nulla di certo, ad eccezione della necessità di massimizzare il più possibile le entrate derivanti dal concordato preventivo biennale. Lo scenario resta caratterizzato da numerosi dubbi, incertezze e criticità ancora senza soluzione.

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