Welfare aziendale, cassa e spese mediche: esclusione dal reddito o fringe benefit?

Tommaso Gavi - Ordini e casse professionali

Welfare aziendale, i pacchetti di una cassa sanitaria con rimborsi di spese mediche ed odontoiatriche concorrono alla formazione del reddito del lavoratore dipendente e si devono considerare fringe benefit se la cassa sanitaria non è contraente e beneficiaria della polizza assicurativa. Lo spiega la risposta all'interpello numero 443 del 6 ottobre 2020 dell'Agenzia delle Entrate che richiama il principio di mutualità.

Welfare aziendale, cassa e spese mediche: esclusione dal reddito o fringe benefit?

Welfare aziendale, i pacchetti di una cassa sanitaria che comprendono rimborsi di spese mediche ed odontoiatriche e altre prestazioni assicurative non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente o devono essere considerate un fringe benefit?

A fornire chiarimenti è la risposta all’interpello numero 443 del 6 ottobre 2020 dell’Agenzia delle Entrate.

Le somme non si considerano tra i redditi da lavoro dipendente, in linea con quanto previsto dall’articolo 51 del TUIR, se viene rispettato il principio di mutualità.

In caso contrario le spese devono essere considerate un fringe benefit ma possono essere escluse dal concorso alla formazione del reddito se non superano il limite annuo di 258,23 euro.

Welfare aziendale, cassa e spese mediche: esclusione dal reddito o fringe benefit?

Il welfare aziendale e le prestazioni fornite da una cassa sanitaria sono l’oggetto della risposta all’interpello numero 443 del 6 ottobre 2020 dell’Agenzia delle Entrate.

Agenzia delle Entrate - Risposta all’interpello numero 443 del 6 ottobre 2020
Trattamento fiscale dei contributi di assistenza sanitaria versati a Casse aventi esclusivamente fine assistenziale. Articolo 51, comma 2, lett. a), Tuit. Articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212.

A porre il quesito è una banca che intende attivare dei “pacchetti” di welfare aziendale di cui i dipendenti possono beneficiare in alternativa ad un premio in denaro.

Il piano di welfare prevede un servizio di assistenza da parte di una cassa sanitaria, costituita in forma di associazione non riconosciuta, con esclusivo fine assistenziale.

I pacchetti sottoposti all’esame dell’Amministrazione finanziaria prevedono prestazioni sanitarie relative alle tre seguenti categorie:

  • rimborso di spese mediche;
  • copertura del rischio di non autosufficienza (long term care), con l’erogazione di una rendita vitalizia;
  • copertura di spese odontoiatriche.

Tali pacchetti prevedono un contributo annuale a carico del dipendente, che varia al variare delle prestazioni incluse nel pacchetto, e il pagamento di una quota di iscrizione.

L’istante chiede all’Agenzia delle Entrate se tali importi possono essere esclusi dalla formazione del reddito di lavoro dipendente.

Prima di rispondere nel dettagli all’istante, in relazione ai pacchetti specifici, l’Agenzia delle Entrate richiama la legge di bilancio 2016 e l’articolo 51 del TUIR.

In sintesi, l’istante intende sapere il corretto trattamento fiscale dei contributi versati alla cassa sanitaria in sostituzione del premio di risultato, erogato in base a quanto previsto dall’articolo 1, commi da 182 a 189, della legge di bilancio 2016.

Secondo quanto previsto dall’articolo 51, comma 2, lettera a), del TUIR non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente:

“i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale (...) per un importo non superiore complessivamente ad euro 3.615,20. Ai fini del calcolo del predetto limite si tiene conto anche dei contributi di assistenza sanitaria versati ai sensi dell’articolo 10, comma 1, lettera e-ter).”

Non c’è differenza se le prestazioni sanitarie sono erogate dal servizio sanitario nazionale o da centri privati.

Tuttavia l’istante rende noto che per le prestazioni di assistenza sanitaria relative alla copertura della long term care e per le spese sanitarie la cassa stipula distinte polizze assicurative, destinando parte della contribuzione ricevuta al versamento del premio assicurativo.

Per la non concorrenza al reddito l’Agenzia delle Entrate spiega che la cassa sanitaria deve risultare sia contraente sia beneficiaria della polizza assicurativa.

In caso contrario il benefici sarebbero aggiuntivi alla retribuzione e si configurerebbero come fringe benefit.

Welfare aziendale, cassa e spese mediche: il principio di mutualità

Nel caso in cui il beneficio deve ritenuto aggiuntivo alla retribuzione, e quindi fringe benefit, c’è tuttavia un caso in cui tali redditi possono essere esclusi dalla formazione di quelli da lavoro dipendente.

L’Agenzia delle Entrate specifica, infatti:

“Pertanto, l’importo dei contributi in questione si configurerebbe quale componente positivo del reddito di lavoro dipendente imponibile ai sensi del citato articolo 51, comma 1, del Tuir, ferma restando l’applicazione del comma 3 del medesimo articolo, in base al quale il valore dell’emolumento in natura - nel caso di specie l’importo dei contributi - non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente se, sommato al valore degli altri eventuali beni e servizi in natura concessi al dipendente nel medesimo periodo d’imposta, non risulta superato l’importo complessivo di euro 258,23.”

Se dunque gli importi non superano il valore annuo di 258,23 euro, sommato al valore degli altri eventuali beni e servizi, non rientrano nella formazione del reddito.

Nel documento di prassi viene inoltre richiamata la circolare 29 marzo 2018, n. 5/E che mette in risalto le perplessità sul rispetto del principio di mutualità del principio di mutualità:

“ogni qual volta per ciascuniscritto/dipendente, sussista una stretta correlazione fra quanto percepito dalla «Cassa», a titolo di contribuzione, ed il valore della prestazione resa nei confronti del lavoratore, o dei suoi familiari e conviventi, al punto che la prestazione sanitaria, ove erogata, sia sotto forma di prestazione diretta, che di rimborso della spesa, non possa comunque mai eccedere, in termini di valore, il contributo versato dal dipendente o dal suo datore di lavoro.”

In conclusione l’Agenza delle Entrate esprime il proprio parere sulla quota associativa.

Come sottolineato dall’istante, la somma da pagare è articolata in due voci:

  • un importo fisso a carico del datore di lavoro, ovvero un costo una tantum di associazione;
  • un importo annuale a carico del dipendente.

Il versamento di tali importi prescinde dall’effettiva erogazione delle prestazioni sanitarie.

Proprio per questa ragione l’Amministrazione Finanziaria spiega che non è corretto escludere dalla base imponibile l’importo, in quanto lo stesso non è direttamente collegato con gli obiettivi della cassa, nell’ottica di una maggiore copertura sanitaria dei lavoratori.

L’iscrizione alla cassa è infatti necessaria per ricevere le prestazioni ma il pagamento della quota non è direttamente finalizzato al finanziamento delle stesse.

L’amministrazione finanziaria sottolinea infatti che:

“Conseguentemente, non potendo ravvisarsi un collegamento diretto tra il versamento del datore di lavoro e la posizione di ogni singolo iscritto alla Cassa, non è possibile riconoscere in tale contribuzione una componente reddituale nei confronti del lavoratore (cfr. risoluzione 25 luglio 2005, n. 96/E).”

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