Smart working per chi ha figli under 14: novità nel decreto Rilancio

Stefano Paterna - Lavoro

Decreto Rilancio, smart working per i lavoratori dipendenti con figli fino a 14 anni di età. Il lavoro agile diventa un diritto e sarà obbligatorio accordarlo per il datore di lavoro. Dall'ENEA uno studio sui vantaggi per la collettività.

Smart working per chi ha figli under 14: novità nel decreto Rilancio

Decreto Rilancio, diritto allo smart working per i lavoratori dipendenti con figli under 14, che potranno richiedere di lavorare da casa al datore di lavoro.

Il diritto al lavoro agile è una delle novità contenute nella bozza del Decreto Rilancio.

In particolare viene previsto il diritto dei dipendenti di aziende private con figli sotto i 14 anni a lavorare in smart working, l’impiego di strumenti informatici di proprietà del dipendente e, infine, le modalità di cessazione delle prestazioni in “lavoro agile”.

Accordare lo smart working diventerà quindi obbligatorio per il datore di lavoro, che dovrà altresì comunicare ogni cessazione al Ministero del Lavoro.

Ma vediamo con ordine le novità che prevede la bozza del decreto.

Decreto Rilancio, novità smart working per chi ha figli under 14

Nella bozza del provvedimento ex Decreto Aprile ora ribattezzato “Rilancio” si prevede innanzitutto il diritto dei lavoratori dipendenti che siano anche genitori di almeno un ragazzo sotto i 14 anni:

“a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali, fermo restando il rispetto degli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 181 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81 e a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”.

Tale diritto permarrà fino alla cessazione dello stato di emergenza sanitaria determinato dalla pandemia di COVID-19. Accordare lo smart working al dipendente diventerà quindi obbligatorio per il datore di lavoro.

Inoltre, la prestazione di lavoro potrà essere offerta anche attraverso strumenti informatici di proprietà dello stesso dipendente nel caso che questi non vengano forniti dall’azienda.

Peraltro, le aziende che decideranno di far cessare lo smart working ai propri dipendenti dovranno darne comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, fornendo in via telematica i nomi dei lavoratori e la data di cessazione del lavoro da remoto.

A tal fine le aziende dovranno impiegare i moduli presenti sul sito del ministero.

Anche questo obbligo di comunicazione rimarrà in vigore per tutta la durata dell’emergenza epidemiologica.

È evidente in quest’ultimo caso l’esigenza da parte del governo di monitorare l’andamento della diffusione del lavoro agile e soprattutto del flusso di lavoratori che si rimetteranno in movimento ogni giorno per andare al lavoro.

I vantaggi dello smart working in uno studio ENEA

Del resto che il fenomeno del lavoro da remoto presenti molteplici vantaggi al di là dell’aspetto contingente del Coronavirus è stato anche recentemente certificato da uno studio dell’ENEA.

Il 30 aprile è infatti uscita l’indagine “Il tempo dello Smart Working. La PA tra conciliazione, valorizzazione del lavoro e dell’ambiente”, la prima di carattere nazionale condotta dall’ente pubblico di ricerca alla quale hanno partecipato 29 amministrazioni pubbliche che avevano attivato progetti di smart working già prima dell’emergenza sanitaria.

La ricerca ha visto la partecipazione di 3.397 dipendenti di PA che hanno lavorato da remoto tra il 2015 e il 2018 a un sondaggio (61% del target di circa 5.500 al quale era stato indirizzato). Il campione era composto per il 76% da donne e per il 24 da uomini e ha permesso di verificare i risultati ottenuti in termini di sostenibilità ambientale urbana, miglioramento della qualità del lavoro e conciliazione del tempo da suddividere tra ufficio e famiglia.

Dal punto di vista della mobilità giornaliera, ad esempio, l’indagine ENEA ha indicato una riduzione di un ora e mezza a testa per i componenti del campione che in questo modo hanno evitato di percorrere 46 milioni di chilometri e hanno risparmiato 4 milioni di euro di carburante in quattro anni.

Un impatto notevole in una città come Roma dove lavorano nelle pubbliche amministrazioni 400.000 persone in pubbliche amministrazioni di vario tipo, secondo l’INRIX 2018 Global Traffic Scorecard è la seconda al mondo per numero di ore trascorse in auto.

Infatti, ENEA stima in 8.000 tonnellate di CO2, 1,75 tonnellate di particelle di PM10 e 17,9 tonnellate di ossidi di azoto, il taglio di emissioni del campione nel periodo oggetto di indagine.

Dati molto significativi in un momento come questo in cui il 75% lavora da remoto come ha affermato Marina Penna, una delle ricercatrici che hanno curato l’indagine che però illustrato anche i rischi che si aprono nella fase 2 dell’emergenza da Coronavirus:

“L’analisi trimestrale ENEA, in uscita in questi giorni, riporta dati sulla riduzione dei consumi e delle emissioni nel periodo che comprende la pandemia. Dal momento che il calo non è strutturale, ma si lega a condizioni di emergenza il timore è l’effetto rimbalzo sui consumi di carburanti e sulle relative emissioni. Le conseguenze sarebbero pesanti sia per l’avvio di una fase di crescita, che allontanerà l’Italia sempre più dai target dell’accordo di Parigi sia per il repentino incremento dei costi dei carburanti, che aprirebbe il fianco a speculazioni estremamente penalizzanti per la nostra economia. Per uscire da questa emergenza sanitaria meglio di come ci siamo entrati lo “smart working” andrà compreso, mantenuto, potenziato e reso più efficace. Soprattutto nelle grandi città in assenza di misure, si prospetta un massiccio ricorso al mezzo privato che offre una percezione di sicurezza dal contagio”.

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