Smart working, per il lavoratore estero in Italia conta il luogo della prestazione

Domenico Catalano - Imposte

Smart working, in quale stato è tassato il lavoratore dipendente estero che svolge la prestazione di lavoro agile in Italia? Con la risposta all'interpello numero 626 del 27 settembre 2021, l'Agenzia delle Entrate chiarisce che si deve fare riferimento al TUIR e alle convenzioni tra gli Stati per evitare doppie imposizioni. Ad incidere è il luogo della prestazione.

Smart working, per il lavoratore estero in Italia conta il luogo della prestazione

Smart working, in quale Stato dovrà pagare le tasse il lavoratore estero che svolge la prestazione di lavoro agile in Italia?

Non esiste una risposta univoca, come spiega la risposta all’interpello numero 626 del 27 settembre 2021 dell’Agenzia delle Entrate.

Per determinare dove è prevista l’imposizione fiscale si dovrà prendere in considerazione il luogo della prestazione.

L’attività di una dipendente di una società lussemburghese che ha svolto la propria prestazione in Italia, rileva anche nel nostro Paese.

A risolvere eventuali problemi di doppia imposizione è l’apposita convenzione tra Italia e Lussemburgo.

Smart working, per i lavoratori esteri in Italia conta il luogo della prestazione

Nel caso di smart working svolto in Italia da una lavoratrice dipendente di una società lussemburgese, in quale stato si dovrà pagare le tasse?

I chiarimenti al quesito arrivano con la risposta all’interpello numero 626 del 27 settembre 2021 dell’Agenzia delle Entrate e con altri recenti documenti di prassi sul tema.

Agenzia delle Entrate - Risposta all’interpello numero 626 del 27 settembre 2021
Trattamento fiscale del reddito di lavoro dipendente percepito da un soggetto non residente che, a causa dell’emergenza epidemiologica, svolge l’attività lavorativa in Italia, in smart working, invece che nel Paese estero - articoli 49 e 51 del TUIR

Per rispondere al caso concreto l’Amministrazione finanziaria richiama il quadro normativo di riferimento che è composto dal TUIR e dall’apposita Convenzione tra Italia e Lussemburgo.

L’articolo 3, comma 1, del TUIR stabilisce quanto segue:

"l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato".

L’articolo 23, comma 1, lettera c), del TUIR prevede inoltre che debbano essere considerati come prodotti in Italia i redditi di lavoro dipendente prestati nel territorio dello Stato, a meno che non venga previsto diversamente da apposite convenzioni tra i due Stati per evitare le doppie imposizioni.

Nel caso specifico, quindi, si deve tenere conto di quanto stabilito dalla Convenzione firmata a Lussemburgo il 3 giugno 1981 e ratificata con legge 14 agosto 1982, n. 747

In base a quanto previsto dall’articolo 15 della Convenzione, i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni che un lavoratore riceve per un’attività dipendente sono imponibili soltanto nello Stato di residenza, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente.

In tal caso le somme risulteranno imponibili nell’altro Stato. In quest’ultima ipotesi è prevista l’imposizione concorrente in entrambi i Paesi.

Smart working, le regole per evitare la doppia imposizione

Il paragrafo 2 dell’articolo 15 della Convenzione prevede la tassazione esclusiva nello Stato di residenza anche per i redditi di lavoro dipendente relativi all’attività svolta nell’altro Stato.

In tale ipotesi, tuttavia, devono ricorrere le seguenti condizioni:

  • il beneficiario deve soggiornare nell’altro Stato per un periodo massimo di 183 giorni nel corso di un anno fiscale;
  • le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato;
  • l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato.

Nel caso in esame non viene soddisfatto il 1° dei requisiti indicati.

Per determinare l’imposizione fiscale è necessario fare riferimento al “luogo della prestazione”.

In merito il documento di prassi precisa quanto segue:

“Al riguardo, un utile riferimento interpretativo è fornito dal commentario all’articolo 15, paragrafo 1, del modello OCSE di convenzione per eliminare le doppie imposizioni, secondo il quale per individuare lo Stato contraente in cui si considera effettivamente svolta la prestazione lavorativa bisogna avere riguardo al luogo dove il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato.

Si aggiunge che il reddito percepito dal lavoratore dipendente non può essere assoggettato a imposizione nell’altro Stato contraente, anche se i risultati della prestazione lavorativa sono utilizzati in detto Stato.”

Tenendo conto del combinato disposto dell’articolo 15 della Convenzione e dell’articolo 23 del TUIR, l’Agenzia delle Entrate ritiene che il reddito percepito dall’Istante, residente in Lussemburgo, rilevi fiscalmente anche nel nostro Paese.

Non può infatti essere applicato quanto disposto dal paragrafo 2 dell’articolo 15 in quanto non viene rispettata la lunghezza massima del soggiorno all’estero di 183 giorni.

Per risolvere problemi sull’eventuale doppia imposizione si deve fare riferimento all’articolo 24, paragrafo 1.

Tale disposizione prevede che debba essere riconosciuto un credito d’imposta da parte del Lussemburgo, Stato di residenza del lavoratore dipendente.

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