L’atto con l’Ufficio che riduce in autotutela la pretesa non è un nuovo atto impositivo

L'atto che riduce la pretesa in autotutela non rappresenta un nuovo atto impositivo ma un mero ridimensionamento delle pretese dell'Ufficio. Lo ha evidenziato la Corte di Cassazione

L'atto con l'Ufficio che riduce in autotutela la pretesa non è un nuovo atto impositivo

L’atto con cui l’Agenzia, preso atto delle modifiche normative introdotte dal Dlgs n. 158 del 2015 e delle disposizioni sanzionatorie in materia di applicazione del regime di inversione contabile in caso di operazioni inesistenti, annulla per intero il recupero dell’imposta previsto dal precedente avviso di accertamento e riduce le sanzioni, è un atto formalmente e sostanzialmente di autotutela riduttiva.

In tal caso non sussiste un nuovo” atto impositivo, recante nuova causa petendi e nuovo petitum, ma un mero ridimensionamento delle pretese dell’Ufficio per quanto attiene a tributo e sanzioni, resosi necessario in forza di sopravvenute modifiche normative.

Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 5660/2024.

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L’atto con l’Ufficio riduce in autotutela la pretesa non è un nuovo atto impositivo, un caso pratico

La vicenda processuale tratta il ricorso proposto da una società avverso un avviso di accertamento per indebita detrazione dell’IVA su operazioni di acquisto soggettivamente inesistenti.

Successivamente all’emissione dell’atto l’Ufficio, operando in autotutela, ha proceduto ad auto-annullare l’avviso di accertamento in “autotutela parziale”, così provvedendo ad abbandonare il recupero dell’imposta e ad irrogare alla società la sanzione in minor misura, ai sensi dell’articolo 6 comma 9-bis n. 3, del Dlgs n. 471/1997, come modificato dal Dlgs n. 158/2015.

La CTP respingeva il ricorso e la decisione, avversa alla società, è stata confermata anche dalla CTR.

La contribuente ha quindi proposto ricorso per Cassazione contro la decisione di secondo grado, lamentando violazione degli artt. 2, 7 e 19 del DL n. 564 del 1994 e del DM n. 37 del 1997.

A parere della ricorrente, la CTR avrebbe erroneamente ritenuto che il provvedimento di autotutela parziale reso nel corso del giudizio di merito avrebbe operato una mera rettifica della pretesa erariale, costituendo esso invece una vera e propria sostituzione, non consentita e quindi illegittima perché nuova, della medesima pretesa, poiché le sanzioni in esso irrogate sarebbero previste per una differente fattispecie giuridica introdotta con il Dlgs n. 158 del 2015, in forza del disposto innovativo dell’art. 6 comma 9-bis n. 3 del DLgs. n. 471 del 1997.

In tal modo la società lamenta la compromissione del proprio diritto di difesa, colpito da una sanzione precedentemente non applicata.

La Corte di Cassazione, nel ritenere infondata la tesi della società, ha ricordato che l’articolo 15, comma 1 lett. f), del Dlgs n. 158/2015 ha modificato le sanzioni amministrative in materia di documentazione e registrazione delle operazioni IVA, previste nell’art. 6 del Dlgs n. 471 del 1997, intervenendo, soprattutto, nella disciplina sanzionatoria dell’inversione contabile, c.d. reverse charge.

Le nuove disposizioni sono entrate in vigore dal 1° gennaio 2016 e trovano applicazione, per il principio del favor rei, anche per le violazioni commesse fino al 31 dicembre 2015 per le quali non siano stati emessi atti che si sono resi “definitivi” anteriormente al 1° gennaio 2016.

L’atto dell’ufficio in autotutela è un mero ridimensionamento delle pretese

Il legislatore, modificando la previgente disciplina, ha introdotto regole specifiche, applicabili quando la violazione riguarda l’applicazione del regime di inversione contabile, per operazioni di cui al primo periodo del comma 9-bis, ma che sono inesistenti. Tali regole attengono sia alla sanzione applicabile che ai criteri di recupero dell’imposta in sede di accertamento.

In effetti, con il Dlgs n. 158/2015, è stato modificato l’intero impianto sanzionatorio amministrativo delle operazioni inesistenti nell’ambito dell’inversione contabile.

In particolare, da un lato, il Legislatore ha modificato l’art. 21 comma 7, circoscrivendone la portata al solo regime ordinario (mediante la sostituzione del riferimento soggettivo, che ora non è più a “chiunque” ma al “cedente o prestatore”).

Dall’altro, ha introdotto, nel comma 9-bis n. 3 dell’art. 6 del Dlgs n. 471/1997, una procedura dedicata a delineare il trattamento della violazione anche da un punto di vista sanzionatorio.

La norma, infatti, ora dispone che, in sede di accertamento, nei confronti del cessionario venga espunto sia il debito che il credito computato nelle liquidazioni dell’imposta (eliminando così gli effetti dell’operazione contabilizzata), come già previsto per le operazioni esenti, non imponibili e non soggette cui è stato erroneamente applicato il sistema dell’inversione contabile.

La medesima norma, tuttavia, prevede a carico di costui una diversa specifica sanzione nel caso di operazioni inesistenti, di misura compresa tra il 5 e il 10 per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro.

Ciò detto, la società contribuente ritiene che l’Ufficio non avrebbe unicamente recepito la modifica normativa in tema di sanzioni nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, applicando la sanzione secondo i criteri rideterminati dal legislatore in misura più favorevole al contribuente, ma avrebbe applicato una nuova sanzione.

Alla luce di quanto chiarito in precedenza, risulta corretta l’affermazione centrale della CTR, secondo la quale:

“l’atto in questa sede impugnato è atto formalmente e sostanzialmente di autotutela, con il quale l’Agenzia, preso atto delle modifiche normative introdotta dal DLgs. n. 158 del 2015 e all’art. 21 co. 7 del DPR 26 ottobre 1972 n. 633 ed alle disposizioni sanzionatorie in materia di applicazione del regime di inversione contabile in caso di operazioni inesistenti di cui all’art. 6 co. 9-bis n. 3 del DLgs. 471/97, ha annullato per intero il recupero dell’imposta previsto dal precedente avviso di accertamento ed ha ridotto le sanzioni.”

Nel caso di specie, infatti, non sussiste un nuovo” atto impositivo, recante nuova causa petendi e nuovo petitum, come tale illegittimo, ma un mero ridimensionamento delle pretese dell’Ufficio, sia quanto a tributo sia quanto a sanzioni.

Tale ridimensionamento si è reso necessario in forza delle sopravvenute modifiche normative cui sopra si è fatto riferimento.

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