La responsabilità solidale IVA del cessionario

La responsabilità solidale IVA del cessionario è l'oggetto dell'Ordinanza n. 2097/2023 della Corte di Cassazione

La responsabilità solidale IVA del cessionario

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 2097/2023, ha chiarito alcuni importanti profili di applicazione della responsabilità solidale IVA del cessionario, ex art. 60 bis del DPR n. 633/72.

Nel caso di specie, era stata notificata alla società contribuente (operante nel settore della compravendita delle auto usate) una cartella di pagamento, relativa all’anno d’imposta 2006, con la quale veniva richiesto, a titolo di responsabilità solidale di cui all’art. 60 bis, DPR n. 633/1972, il pagamento dell’IVA non versata dalla società cedente sulle vendite di autovetture, in quanto ritenute inferiori al valore normale.

La responsabilità solidale IVA del cessionario

Avverso la cartella di pagamento la società aveva proposto ricorso, che era stato accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale, la quale aveva ritenuto non provato il coinvolgimento della società nella frode, anche considerato che, quanto al fatto che le vetture fossero state acquistate ad un prezzo inferiore al valore normale, la documentazione prodotta dalla società provava invece una coerenza con i prezzi di mercato.

Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate proponeva appello, respinto dalla Commissione Tributaria Regionale, che riteneva in particolare che dovesse essere confermata la decisione del giudice di primo grado circa la mancanza di prova dell’Amministrazione finanziaria del fatto che gli acquisti erano stati compiuti ad un prezzo inferiore a quello normale e la idoneità della prova contraria.

La CTR rilevava inoltre come al cessionario avrebbe dovuto essere notificato specifico avviso di accertamento e non una semplice cartella di pagamento.

L’Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo la violazione dell’art. 60 bis del DPR n. 633/1972 ed evidenziando che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di appello, ai fini dell’applicabilità della previsione di cui all’art. 60 bis cit. non è necessaria la prova della consapevolezza del cessionario di partecipare ad una frode, essendo invece sufficiente la dimostrazione che il valore di acquisto della merce sia inferiore a quello normale.

Con un secondo motivo di ricorso si censurava poi la sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, consistente nella prova della cessione ad un prezzo inferiore a quello normale, evidenziando parte ricorrente che il giudice di secondo grado aveva ritenuto non sussistente la prova della cessione ad un prezzo inferiore a quello normale senza però precisare il percorso logico seguito, e nonostante il fatto che l’Amministrazione finanziaria avesse basato la pretesa sulla circostanza che il venditore aveva ceduto beni ad un prezzo inferiore a quello di acquisto.

Con un terzo motivo di ricorso si censurava infine la sentenza per violazione dell’art. 60 bis, DPR n. 633/1972 e dell’art. 24, Cost., per avere i giudici di merito erroneamente ritenuto che l’Amministrazione finanziaria fosse tenuta a notificare alla società, quale cessionaria, l’avviso di accertamento emesso nei confronti del cedente, al fine di potere svolgere le proprie difese, tenuto altresì conto del fatto che la cartella di pagamento era stata comunque preceduta da una comunicazione con la quale la società veniva avvisata che, in mancanza di pagamento dell’Iva da parte della cedente, si sarebbe proceduto nei suoi confronti a titolo di responsabilità solidale. Secondo la Suprema Corte le censure erano fondate.

L’obbligazione solidale del cessionario

Evidenziano i giudici di legittimità che l’art. 60 bis, DPR n. 633/1972, prevede (comma 2) l’obbligazione solidale del cessionario per il pagamento dell’IVA non versata dal cedente relativamente alle cessioni di beni elencati nel Dm. n. 22 dicembre 2005 (tra cui, per quel che qui rilevava, anche gli autoveicoli, ex art. 1, comma 1, lett. a), con una presunzione di solidarietà valida per le “cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale”.

Tale presunzione, rileva la Corte, può essere superata qualora l’obbligato solidale dimostri documentalmente:

“che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta (comma 3).”

La ragionevolezza della previsione e la sua compatibilità con l’ordinamento comunitario, ricorda la Cassazione, trova riscontro nella sentenza della Corte di Giustizia UE, 11 maggio 2006, causa C384/04, Federation of Technological Industries, il cui punto 1 del dispositivo statuisce quanto segue:

“L’art. 21, n. 3, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, …. deve essere interpretato nel senso che esso permette ad uno Stato membro di adottare una normativa, quale quella di cui alla causa principale, ai sensi della quale un soggetto passivo, a favore del quale è stata effettuata una cessione di beni o una prestazione di servizi e che era a conoscenza del fatto, o aveva ragionevoli motivi per sospettare, che la totalità o parte dell’imposta sul valore aggiunto dovuta per tale cessione o tale prestazione, ovvero per qualsiasi altra cessione o qualsiasi altra prestazione precedente o successiva, non sarebbe stata versata, può essere obbligato a versare tale imposta in solido con il debitore. Tuttavia, una tale normativa deve rispettare i principi generali del diritto che fanno parte dell’ordinamento giuridico comunitario, quali, in particolare, i principi di certezza del diritto e di proporzionalità.”

A tale ultimo proposito, la pronuncia chiarisce poi che, benché l’art. 21, n. 3, della sesta direttiva permetta di fondarsi su presunzioni in merito al fatto che l’interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’imposta non sarebbe stata assolta, tali presunzioni non possono essere formulate in maniera tale da rendere praticamente impossibile, o eccessivamente difficile, per tale soggetto superarle, fornendo la prova contraria.

In sostanza, la possibilità di configurare la responsabilità del cessionario per il mancato pagamento dell’IVA da parte del soggetto cedente si fonda su una valutazione del legislatore interno di una presunzione relativa di conoscibilità da parte del cessionario del fatto che l’IVA non sarebbe stata corrisposta dal cedente e questo elemento di presunzione relativa, nell’ordinamento italiano, è stato cristallizzato nel fatto, in sé, della cessione a prezzo inferiore a quello “normale”.

Sotto tale profilo, pertanto, sottolineano i giudici, l’obiettiva divaricazione fra il prezzo sostenuto e quello di mercato è sufficiente elemento costitutivo della solidarietà nel recupero dell’imposta, e ciò per ragioni di economicità e celerità dell’accertamento fiscale in relazione a comportamenti incauti del cessionario, in cui la responsabilità solidale del cessionario è configurata anche senza dimostrazione della colpevole ignoranza della frode, essendo basata, come detto, su di una valutazione operata dal legislatore di una presunzione relativa di conoscibilità, ove si accerti che il prezzo di acquisto è inferiore a quello normale.

In termini concettuali e giuridici, rileva la Cassazione, non si tratta quindi di negare il diritto alla detrazione dell’IVA, che opera in caso di accertamento della natura soggettivamente inesistente dell’operazione, ma di individuare la responsabilità solidale di un soggetto diverso da quello tenuto al versamento dell’imposta e ciò, come detto, in ragione della sussistenza di elementi presuntivi, configurati a monte dal legislatore, della sua possibilità di rendersi conto della possibile alterazione dell’ordinario regime di operatività dell’IVA.

Tanto premesso, nell’ambito del perimetro di applicazione della previsione di cui all’art. 60 bis, cit., l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare unicamente le due circostanze di fatto relative:

  • all’omesso versamento dell’IVA da parte del cedente;
  • all’inferiorità al valore di mercato del prezzo praticato.

A fronte di tali deduzioni e prove, l’onere si trasferisce poi sul contribuente, che, ai sensi dell’art. 60 bis, comma 3, cit., dovrà dare la prova che:

“il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta. (Cass. civ., 16 gennaio 2019, n. 877).”

La Commissione Tributaria Regionale aveva quindi erroneamente ritenuto che fosse necessaria la prova della consapevolezza della cessionaria di partecipare ad una frode IVA, essendo sufficiente la prova che il prezzo di acquisto fosse inferiore a quello normale.

Secondo la Cassazione, anche il secondo motivo di impugnazione era poi fondato. La questione su cui il giudice era chiamato a pronunciare, come detto, era relativa al fatto se la cessione fosse o meno avvenuta a prezzi inferiori a quelli normali.

A tal proposito la Corte rileva che il parametro di riferimento entro il quale deve essere compiuta tale valutazione è l’art. 60 bis, cit., che deve essere coordinato con l’art. 14, DPR n. 633/1972, il quale, nel testo vigente ratione temporis, stabiliva che:

“Per valore normale dei beni e dei servizi si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe dell’impresa che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini della camera di commercio più vicina, alle tariffe professionali e ai listini di borsa.”

Sul punto la Cassazione ha peraltro già avuto modo di chiarire che, alla luce del disposto dell’art. 14 cit.:

“è dunque possibile fare legittimo riferimento anche alle tariffe di chi ha fornito i beni e non solo ai listini: dunque il valore normale avrebbe potuto benissimo corrispondere al prezzo di acquisto da parte della cedente. (Cass. civ., 16 gennaio 2019, n. 877; Cass. civ., 27 aprile 2017, n. 13425).”

Rispetto a tale ambito, in cui, come detto, la prova può essere fornita dall’Amministrazione finanziaria anche facendo riferimento ai prezzi di acquisto da parte del venditore, nella specie, il giudice di appello era pervenuto alla considerazione che nessuna prova era stata offerta in quanto:

“plausibili sono risultati essere i documenti offerti dalla contribuente circa la conformità dei prezzi con quelli di mercato di ciascuna singola operazione.”

In sostanza, però, nessuna specifica illustrazione del ragionamento logico seguito risultava così compiuta in ordine alla non rilevanza della prova offerta dall’Amministrazione finanziaria, salvo un generico richiamo a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, che aveva prospettato la considerazione, meramente astratta, che, attesa l’inattendibilità del soggetto venditore, non avrebbero potuto essere considerati attendibili i prezzi di acquisto a sua volta operati.

Inoltre, nessuna specifica indicazione del percorso logico seguito era stata compiuta in ordine alla ragione per cui il giudice del gravame avesse ritenuto di accordare rilievo decisivo alla documentazione prodotta dalla società rispetto al dato del prezzo effettivo del precedente acquisto delle autovetture poi commercializzate dal cedente ad un prezzo inferiore; operazione che non avrebbe avuto alcun senso economico, a meno che il cedente non intendesse lucrare sull’IVA pacificamente non versata. Infine anche il terzo motivo di impugnazione era fondato.

La cartella di pagamento non deve essere preceduta da attività accertativa

La Corte di Cassazione ribadisce che in tema di IVA, nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 60 bis, DPR n. 633 del 1972, notifichi all’acquirente la cartella di pagamento a titolo di responsabilità solidale, la stessa non deve essere preceduta da alcuna attività accertativa nei suoi confronti, non essendo il suddetto acquirente il soggetto passivo d’imposta.

In tema di obbligo di motivazione della cartella di pagamento, poi, quando la stessa è notificata all’acquirente ai sensi dell’art. 60 bis cit., ai fini della tutela del diritto di difesa, l’Amministrazione assolve al suddetto onere quando, pur non essendo obbligata, abbia fatto precedere la notifica da una comunicazione che contenga gli elementi idonei a rendere consapevole il cessionario della circostanza dell’omesso versamento di quanto dovuto dal cedente e delle ragioni per cui il prezzo di acquisto è inferiore a quello normale.

Non correttamente, pertanto, il giudice di appello aveva ritenuto che fosse necessaria la notifica dell’avviso di accertamento riguardante il cedente e che tale omissione, comportasse, di per sé, la violazione del diritto di difesa. Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali, giova anche evidenziare quanto segue.

La norma di cui all’art. 60 bis del DPR n. 633/72, in luogo del disconoscimento della detrazione a monte, prevede l’obbligo autonomo di pagare quanto dovuto e non versato dal cedente, e ciò, come visto, in base al semplice fatto giuridico dell’omesso versamento del dovuto da parte del cedente, senza necessità di ulteriore attività accertativa (cfr., anche Cass., n. 4798 del 14.02.2022).

La stessa Corte, del resto, ha già precisato (cfr., Cass. n. 2853 del 31/01/2019) che l’art. 60-bis, secondo comma, DPR n. 633 del 1972, nel contemplare la responsabilità solidale del cessionario in caso di mancato versamento dell’IVA da parte del cedente per le cessioni dei beni individuati dal Dm. 22 dicembre 2005, se effettuate a prezzi inferiori al valore normale, presuppone, a differenza dell’art. 21, settimo comma, del medesimo decreto, che concerne l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, l’effettività dell’operazione sia sul piano oggettivo che soggettivo, essendo consentito al cessionario portare in detrazione l’imposta non versata dal cedente e per la quale è stato chiamato al pagamento come obbligato solidale.

La radicale differenza naturalistica dei due fenomeni (da un lato l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, alla quale l’ordinamento replica con il diniego di detrazione dell’IVA esposta; e, dall’altro lato il mancato versamento dell’IVA da parte del cedente, al quale l’ordinamento replica con l’attribuzione al cessionario della responsabilità solidale per l’IVA non versata) comporta, quindi, come visto, anche una diversa perimetrazione dell’onere probatorio.

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