Nota credito inesistente se l’immobile da locare risulta da ultimare

Analizziamo insieme un caso pratico relativo ad operazioni IVA inesistenti: nella fattispecie approfondiamo il caso di una nota di credito ritenuta inesistente perché relativa ad un'operazione relativa ad un immobile da locare che risultava non ultimato alla data di emissione della stessa nota credito

Nota credito inesistente se l'immobile da locare risulta da ultimare

È particolarmente interessante la sentenza della Corte di Cassazione n. 714/2023, che affronta una particolare ipotesi di operazione inesistente, legata all’emissione di una nota di credito per un immobile da locare ma non ultimato.

Ne traiamo spunto oggi per approfondire dal punto di vista teorico e pratico un tema particolarmente interessante.

Emissione nota credito per un immobile da affittare ma non ultimato: analisi di un caso pratico

L’Agenzia delle Entrate notificava nel luglio 2010 due avvisi di accertamento a carico di una contribuente, sulla base di processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, nel quale erano stati rilevati, per quel che ci interessa in questa sede, l’illegittima emissione di note di credito.

In pratica, i giudici hanno avallato la ricostruzione operata dall’Ufficio in ordine ad un’operazione, qualificata come inesistente, basata sull’emissione - nell’anno 2006 - di note di credito per Euro 4.350.000,00 a fronte di un preliminare di locazione avente ad oggetto un immobile iniziato nel 2006 ed ultimato solo nel 2008.

In special modo, la CTR avrebbe condiviso il fatto che, a fronte di ciò, incombeva alla contribuente la prova contraria che giustificherebbe la deducibilità dei costi.

La CTP respingeva il ricorso, e quindi veniva proposto gravame, anch’esso respinto dalla CTR.

La tesi della Corte di Cassazione

In Cassazione la contribuente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 88, del T.U. numero 917/86 e dell’articolo 2697 del c.p.c., c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c..

La ricorrente, in particolare, censura la sentenza, atteso che l’operazione di per sé non poteva considerarsi abusiva, poiché era perfettamente configurabile un contratto preliminare di locazione.

Dunque, sarebbe spettato all’Ufficio la prova dell’inesistenza delle operazioni.

Per gli Ermellini, il motivo è infondato.

Nel casso di specie infatti, non è in discussione la possibilità di stipulare un contratto preliminare di locazione, che in sé non è in discussione:

Dalla motivazione della sentenza emerge come la stessa abbia condiviso la ricostruzione dell’ufficio partendo dal presupposto, mai smentito, che a fronte delle note di credito e dei canoni, vi era un immobile in corso di costruzione ancora alla data della verifica, quindi non atto alla locazione, che il contratto non era presente tra la documentazione acquisita, e venne solo prodotto successivamente dal legale rappresentante in forma di scrittura privata non autenticata, quindi assolutamente priva di data certa, che il canone pattuito era molto inferiore all’entità di quanto asseritamente anticipato, che le due società (locatrice e locataria) facevano capo allo stesso gruppo famigliare, per cui verosimilmente l’originale fatturazione spiccata dalla (Omissis) celava in realtà un finanziamento

Tali elementi appaiono più che sufficienti a fondare elementi tali da presumere l’inesistenza dell’operazione inesistente, per cui a tal punto spettava al contribuente la prova della sussistenza di ragioni economiche sufficienti (Cass. 18/10/2021, n. 28628).

Brevi note di carattere operativo

La pronuncia in rassegna, si inserisce in quel filone giurisprudenziale maggioritario secondo cui qualora l’Amministrazione finanziaria contesti la fatturazione per operazioni oggettivamente inesistenti, provata, attraverso una serie di elementi, anche indiziari, incombe sul contribuente l’onere di dimostrare la veridicità dell’operazione.

Sul punto, la stessa Cassazione, con l’ordinanza numero 31878/2022 - che ha destato l’attenzione degli operatori, in quanto per la prima volta ha chiamato in causa il comma 5-bis, dell’articolo 7, del D. Lgs. n. 546/1992, introdotto dalla Legge numero 130/2022 – ha affermato che detta norma non fa altro che ribadire quanto già previsto in ordine all’onere probatorio gravante in giudizio sull’Amministrazione finanziaria, senza che ciò muti l’onere della prova.

A nostro avviso, con la chiosa finale, i giudici di Piazza Cavour non si sono riferiti alla sola “materia” delle operazioni soggettivamente inesistenti ma hanno voluto affermare un principio di carattere generale, per tutte le ipotesi non assistite da presunzioni legali che comportino l’inversione dell’onere probatorio.

Sempre i giudici di Piazza Cavour - ordinanza n. 2470/2023 – hanno confermato che con riferimento alle operazioni oggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo.

Grava, invece, sul contribuente l’onere di provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo (anche in questo caso) tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.

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