Frodi fiscali: se c’è consapevolezza niente detrazione IVA

Fatture per operazioni soggettivamente inesistenti: niente detrazione IVA se c'è consapevolezza da parte del cessionario e se questi non riesce a dimostrare la propria buona fede. Nella Sentenza n. 20587/2019 la Cassazione fornisce alcuni elementi utili per individuare possibili casi di frodi fiscali.

Frodi fiscali: se c'è consapevolezza niente detrazione IVA

Nel caso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, spetta all’Amministrazione dimostrare - anche attraverso presunzioni - che il soggetto formale emittente la fattura non sia quello reale nonché la consapevolezza della frode da parte del cessionario.

Se dall’altra parte, il contribuente non riesce a dimostrare la propria buona fede è legittimo il mancato riconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA relativa all’operazione falsa.

È questo il sunto dei principi contenuti nella Sentenza della Corte di Cassazione n. 20587/2019.

Corte di Cassazione - Sentenza n. 20587/2019
Frodi fiscali: se c’è consapevolezza niente detrazione IVA

La sentenza - Il caso riguarda l’impugnazione di un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle entrate ad una società per indebita detrazione IVA conseguente all’utilizzo di una fattura per operazione soggettivamente inesistente.

La controversia è giunta dinanzi alla CTR la quale, nell’accogliere i motivi d’appello dell’Amministrazione finanziaria, aveva dedotto che sulla base degli elementi emersi nel corso del giudizio era ragionevole presumere la conoscenza o, quantomeno, la conoscibilità, da parte della società di partecipare ad una frode fiscale. La ricorrente, infatti, tra l’altro:

  • risultava essere l’unica cliente della società emittente la fattura asseritamente falsa,
  • aveva costituito a favore del fornitore una fideiussione bancaria di elevato ammontare senza acquisire informazioni bancarie e commerciali sul beneficiario,
  • aveva usufruito di prezzi considerevolmente e ingiustificatamente inferiori a quelli di mercato.

A parere dei giudici, se la società avesse fatto ricorso all’ordinaria diligenza commerciale avrebbe potuto realizzare di essere fronte ad operazioni poco limpide alla cui base vi era una frode fiscale, di qui la propria responsabilità.

Avverso tale decisione la società ha proposto ricorso per cassazione lamentando che i giudici di merito avessero ascritto a proprio carico la consapevolezza di partecipare ad una frode carosello, quando invece non era proprio onere provare l’estraneità al meccanismo fraudolento oggetto di contestazione.

La Corte di cassazione ha respinto la tesi della società rigettando in via definitiva il ricorso.

Gli ermellini hanno ribadito che in tema di contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti l’Amministrazione finanziaria ha l’obbligo di provare due circostanze.

La prima che il soggetto formale dell’operazione falsa non è quello reale, anche mediante presunzioni, come prevede l’art. 54, co. 2 del DPR n. 633 del 1972.

La seconda che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione Iva, indipendentemente dalla prova di effettiva partecipazione all’evasione.

Sul punto la Corte ha ribadito che “l’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va dunque ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta all’Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in una evasione all’Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione.”

La decisione fornisce anche alcune circostanze sintomatiche della possibile inesistenza delle operazioni, quali:

  • l’acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato e il modesto ricarico applicato;
  • la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione;
  • la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato;
  • la tempistica dei pagamenti, soprattutto se operati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali;
  • il numero, la qualità e la durata delle transazioni, in specie a fronte di rapporti contigui e frequentazioni reiterate con i titolari della cartiera, ovvero nel caso in cui il contribuente abbia rapporti commerciali con una pluralità di soggetti aventi la quantità di cartiera.

Una volta assolto l’onere probatorio in capo all’Ufficio finanziario, spetta al “contribuente dimostrare la propria buona fede, ossia di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto - secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto - al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto.”

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