False fatturazioni: la regolarità formale non prova l’esistenza dell’operazione

Operazioni oggettivamente inesistenti: è l'Ufficio finanziario che deve fornire prova del fatto che l'operazione fatturata non è stata effettuata. Allo stesso tempo al contribuente spetta l'onere di provare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate, andando oltre la regolarità formale. Lo stabilisce la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 15217 del 1° giugno.

False fatturazioni: la regolarità formale non prova l'esistenza dell'operazione

In ipotesi di operazioni oggettivamente inesistenti, è onere dell’Ufficio finanziario fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata.

Assolto tale onere, spetterà al contribuente accertato provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, andando oltre la mera esibizione della fattura o in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.

Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza numero 15217 del 1° giugno 2021.

Corte di Cassazione - Ordinanza numero 15217 del 1° giugno 2021
Il testo integrale dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 15217 del 1° giugno 2021.

La decisione – La vicenda processuale ha origine dal ricorso proposto da una società avverso un avviso di accertamento recante le risultanze del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, recante costi indeducibili/indetraibili perché documentati da fatture (passive) per operazioni oggettivamente inesistenti.

Il ricorso è stato accolto dalla CTR a cui parere, in riforma della sentenza di primo grado, l’Amministrazione Finanziaria avesse fornito elementi indiziari che, oggettivamente, non potevano assurgere ad elementi di prova ed inducevano a ritenere che le società emittenti le fatture non fossero “cartiere” e, quindi, incombesse sull’Ufficio l’onere di dimostrare l’effettiva insussistenza delle operazioni contestate.

La CTR aveva quindi disposto l’annullamento dell’originario avviso di accertamento ed il riconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA, in ragione dell’esistenza delle prestazioni fatturate e dell’assoluta buona fede della società appellante, che non sapeva né poteva conoscere eventuali frodi commesse da uno o più dei propri fornitori.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione dell’art. 109 del TUIR e dell’art. 19 del DPR 633/72 nella parte in cui i giudici di merito avevano ravvisato la veridicità delle operazioni contestate sulla base della mera regolarità formale della documentazione contabile ed extracontabile esibita, ritenendo che l’istruttoria della Guardia di finanza fosse soltanto documentale, mentre, in realtà, si era trattato di una capillare indagine di polizia giudiziaria, supportata da una serie di controlli incrociati sui fornitori della società sottoposta a verifica.

La Corte di Cassazione ha ritenuto i motivi fondati e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata. Nella controversia in commento la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul tema del bilanciamento dell’onere probatorio tra ente impositore e contribuente in caso di contestazione avente ad oggetto operazioni ritenute oggettivamente inesistenti.

A riguardo è principio oramai consolidato, ribadito in ultimo dalla sentenza di Cassazione del 28 gennaio 2021, n. 1875 che, poiché la fattura costituisce titolo ai fini del diritto alla detrazione dell’IVA e alla deducibilità dei costi, spetta all’ufficio finanziario dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto.

Si è aggiunto che una simile dimostrazione può ben consistere in presunzioni semplici, “poiché la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa, alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento”.

Se l’Amministrazione finanziaria contesti l’oggettiva inesistenza delle operazioni, è onere dello stesso Ufficio fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una “cartiera” o una società “fantasma”.

Una volta assolto tale onere spetterà al contribuente che intende godere della detrazione dell’iva afferente alla fattura o della deducibilità del relativo costo provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.

Nel caso di specie la Commissione tributaria regionale non ha dato corretta applicazione al summenzionato principio, ritenendo esistenti e regolari le operazioni che il primo giudice aveva riqualificato come oggettivamente inesistenti.

Tale statuizione si fonda, in linea di massima, sul mero riscontro della regolarità formale delle operazioni contestate, sulla base dell’esistenza di una fattura, di un accordo transattivi tra le parti contraenti, dal pagamento a mezzo di cambiali o di assegni, annotati in contabilità omettendo, però, di valutare gli elementi probatori di segno opposto forniti dall’ufficio a dimostrazione del carattere fittizio dell’operazione come, ad esempio, i pagamenti irrisori rispetto al prezzo fatturato, effettuati mediante cambiali e assegni (che, per la loro astrazione, non sono suscettibili di una correlazione certa con le prestazioni riportate in fattura) o come la mancanza di data certa dell’accordo transattivo.

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