Non sanzionabile l’erronea eccedenza IVA non utilizzata

Il riporto di una eccedenza di imposta in misura superiore a quella dovuta non è sanzionabile se la parte di credito non spettante non è stata effettivamente utilizzata dal contribuente. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 8588 del 26 marzo 2021.

Non sanzionabile l'erronea eccedenza IVA non utilizzata

Con l’Ordinanza n. 8588 del 26 marzo 2021 la Corte di Cassazione ha precisato che il riporto di una eccedenza di imposta in misura superiore a quella dovuta non è sanzionabile come una violazione sostanziale se la parte di credito non spettante non è stata effettivamente utilizzata dal contribuente.

Infatti in assenza dell’utilizzo del credito in eccesso il contribuente non ha tratto alcun vantaggio dalla violazione, né ha arrecato alcun danno all’Erario.

Corte di Cassazione - Ordinanza numero 8588 del 26 marzo 2021
Il testo integrale dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 8588 del 26 marzo 2021.

La sentenza – Nella presente controversia una società, dopo avere presentato la dichiarazione Iva per l’anno 2008, dalla quale emergeva una eccedenza di imposta, in data 15 settembre 2011 presentava una dichiarazione integrativa “a sfavore”, con la quale rettificava in riduzione l’eccedenza di imposta precedentemente esposta per il precedente esercizio 2008.

L’Agenzia delle entrate ha emesso un atto di irrogazione sanzione per l’esposizione di un’eccedenza detraibile superiore a quanto spettante e avverso l’atto de qua la società ha proposto ricorso sostenendo la natura meramente formale della violazione in quanto il credito Iva erroneamente dichiarato non era stata comunque utilizzato.

La CTP ha parzialmente accolto il ricorso mentre la CTR ha riformato la sentenza accogliendo l’appello della società che a parere dei giudici avesse commesso una violazione solo formale non sanzionabile perché per la parte erroneamente dichiarata in eccedenza non era stata utilizzata.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, lamentando l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui i giudici hanno ritenuto non sanzionabile la presentazione di una dichiarazione Iva, successivamente rettificata, nella quale era stata esposta un’eccedenza di imposta non dovuta, senza che a tale violazione si sia accompagnato l’omesso versamento delle imposte.

I giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno ritenuto infondato il motivo di doglianza e rigettato il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria.

Nel caso in esame la società non aveva utilizzato il credito esposto in misura superiore a quella spettante e l’Ufficio aveva sanzionato la sola esposizione di un’eccedenza in parte non dovuta a norma dell’art. 5, comma 4, d. Igs. n. 471 del 1997 per il fatto di avere esposto una “eccedenza detraibile superiore a quella spettante”.

A fronte dell’atto impositivo la società aveva invocato l’applicazione dell’art. 6, comma 5-bis, d.lgs. n. 472 del 1997 e dell’art. 10, comma 3, legge n. 212 del 2000, assumendo che, nel caso concreto, la violazione contestata si era tradotta in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta, non aveva arrecato pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non aveva inciso sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo.

Nell’accogliere questa posizione la Corte di cassazione ha richiamato il principio per cui “la sanzione per infedele dichiarazione si riferisce a quella parte di credito non spettante effettivamente utilizzata dal contribuente, in assenza del cui utilizzo il contribuente non ha tratto alcun vantaggio dalla violazione, né ha arrecato alcun danno all’Erario”.

Nello stesso senso i giudici di legittimità hanno affermato che “il riporto di una eccedenza di imposta in misura superiore a quella dovuta non è equiparabile all’indebito o fraudolento uso di tale credito, ove all’irregolarità formale della dichiarazione non segua il mancato versamento di imposte, cui solo è riconducibile un concreto danno erariale, non potendo ipotizzarsi un tentativo di illecito fiscale qualora il contribuente tenga una condotta in buona fede e non ponga in essere atti diretti all’utilizzo del maggior credito erroneamente riportato nelle dichiarazioni successive”.

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