Omesso versamento IVA e crisi di liquidità

Omesso versamento dell'IVA in caso di crisi di liquidità: per escludere la volontarietà della condotta è necessario dimostrare che l'inadempimento dipende da fatti non imputabili all'imprenditore. A ribadirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30677/2021. Solo la forza maggiore, un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, può escludere la responsabilità del soggetto, ma non può ricollegarsi ad un'azione o omissione cosciente e volontaria.

Omesso versamento IVA e crisi di liquidità

La Corte di Cassazione, Sezione Penale, con la Sentenza n. 30677 del 5 agosto 2021, ha chiarito rilevanti profili in tema di reato di omesso versamento IVA ed eventuale “giustificazione” da crisi di liquidità.

Nel caso di specie, la Corte di appello aveva confermato la condanna inflitta dal Tribunale all’imputato alla pena di un anno e due mesi di reclusione, per il reato ex art. 10-ter Dlgs. 74/2000, perché, quale legale rappresentante di una SRL, non aveva versato l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per più di cinquecentomila euro, con la recidiva specifica, reiterata infraquinquennale.

Avverso tale sentenza l’imputato proponeva ricorso per cassazione, deducendo i vizi di violazione di legge e della motivazione in riferimento alla rilevanza della crisi di liquidità e alla valutazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato quanto alla volontà dell’omissione.

Corte di Cassazione - sentenza n. 30677 del 5 agosto 2021
Omesso versamento IVA e crisi di liquidità - il testo integrale della sentenza n. 30677/2021

Omesso versamento IVA e crisi di liquidità

La motivazione sull’irrilevanza della crisi di liquidità della società, secondo il ricorrente, sarebbe stata illogica e contraddittoria, essendo l’esistenza della crisi un dato accertato.

Secondo il ricorrente, del resto, in base alla giurisprudenza richiamata (laddove la rilevanza della crisi di impresa era già stata riconosciuta da due sentenze passate in giudicato che avevano assolto il ricorrente dallo stesso reato, riferito ad annualità diverse), la crisi di liquidità doveva escludere l’elemento soggettivo del reato ex art. 10-ter Dlgs.74/2000, avendo la Corte territoriale illegittimamente fatto coincidere il perdurare della crisi con la non imprevedibilità ed imputabilità al contribuente.

Il ricorrente indicava infine le iniziative prese per proseguire l’attività economica e per recuperare liquidità, idonee ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

Secondo la Suprema Corte le censure erano infondate.

Evidenziano i giudici di legittimità che nel ricorso la sussistenza della crisi di liquidità era data per provata, senza minimamente spiegare in cosa sarebbe consistita.

Inoltre, ricorda la Cassazione, l’art. 10-ter Dlgs. 74/2000 prevede come reato il fatto di chi non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.

Il delitto in esame è dunque un reato omissivo ed istantaneo, che si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.

Ciò che rileva è, quindi, solo l’indicazione nella dichiarazione di un debito d’imposta e l’inadempimento alla conseguente e corrispondente obbligazione di pagamento.

E infatti, ai fini della integrazione del reato, l’entità della somma da versare, costituente il debito IVA, è quella risultante dalla dichiarazione e non quella effettiva, desumibile dalle annotazioni contabili (così Cass., n. 14595 del 17/11/2017).

Omesso versamento IVA e crisi di liquidità: la scelta di non pagare l’imposta prova il dolo

Sottolinea poi la Cassazione che il DPR 26 ottobre 1972, n. 633, prevede degli specifici obblighi per il contribuente (art. 21 e ss.), dai quali emerge, sia con riferimento all’emissione della fattura che agli obblighi di registrazione, che il soggetto obbligato, già all’atto del compimento dell’operazione economica, conosce quanto è poi dovuto a titolo di IVA, dovendo essere indicata l’aliquota, l’ammontare dell’imposta e dell’imponibile.

E sono dunque irrilevanti, ai fini della configurabilità del reato, sia l’effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate (tranne i casi di applicabilità del regime di “IVA per cassa”, cfr. Cass., n. 6220 del 23/01/2018), sia le condotte successive dell’obbligato, stante la natura del reato, che è, come detto, a consumazione istantanea.

Per la configurabilità dell’elemento soggettivo è quindi sufficiente, stante l’evidenziata struttura della fattispecie, la consapevolezza di omettere il versamento dell’imposta dovuta sulla base della dichiarazione annuale, a prescindere dagli intendimenti e dalle condotte successive del debitore, posto che ciò che determina la configurabilità del reato è appunto solo quanto emergente dalla dichiarazione annuale e l’inadempimento alla scadenza dell’obbligazione tributaria dalla stessa risultante.

Il delitto è dunque punibile a titolo di dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le somme dovute a titolo di IVA del periodo considerato, laddove, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la prova del dolo è insita nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato entro il termine previsto.

Ciò deriva peraltro, afferma la Corte, anche dai principi affermati da Sez. U, n. 37424 del 28 marzo 2013, secondo cui il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili, laddove ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere l’obbligazione tributaria.

E questo anche considerato che il pagamento è il criterio prevalente previsto dall’art. 6 del Dpr. 26 ottobre 1972, n. 633 per ritenere effettuata l’operazione relativa alla cessione di beni o alla prestazione di servizi a cui si applica l’imposta.

Inoltre, sottolinea ancora la Cassazione, l’art. 26 dello stesso decreto prevede specifiche regole nel caso di inadempimento, con il diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione.

E proprio in conseguenza di tali principi, Cass., n. 38594 del 23 gennaio 2018 ha affermato che l’emissione della fattura, se antecedente al pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all’obbligo di versare comunque la relativa imposta, non potendo quindi egli dedurre il mancato pagamento della fattura, né lo sconto bancario della fattura, quale causa di forza maggiore, o di mancanza dell’elemento soggettivo.

Ancora Cassazione n. 6506 del 24/09/2019 ha poi affermato il principio per cui, in tema di reati tributari, l’omesso versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale dei propri clienti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’art. 10-ter del Dlgs. 10 marzo 2000, n. 74, atteso che l’obbligo del versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all’ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi.

E quindi, anche in conseguenza della citata riscossione e dell’obbligo di accantonamento, la scelta di non pagare l’imposta prova il dolo; soprattutto quando risulti che, al contempo, si siano pagati altri debiti, o che le somme, che avrebbero dovuto essere accantonate, sono state impiegate in altro (cfr., Cass., n. 43599 del 09 settembre 2015).

Né, d’altronde, rileva la Cassazione, è possibile consentire che l’autore del reato possa autofinanziarsi con risorse non proprie, quali quelle IVA destinate alla collettività, percependo così il profitto illecito del reato, reimpiegandolo, e sottraendolo anche alla confisca obbligatoria (così Cass., n. 50007 del 04 ottobre 2019).

Omesso versamento IVA e crisi di liquidità: serve dimostrare l’“assoluta impossibilità” al pagamento

Venendo dunque al caso in giudizio, era pacifico che le somme dovute a titolo di IVA, per la natura delle prestazioni economiche fornite (vendita al dettaglio e on line), erano state effettivamente incassate dalla società, ma non risultavano essere state accantonate, né versate.

Le stesse somme erano dunque state impiegate per autofinanziamento, risultando anzi l’uso sistematico di non corrispondere l’IVA, laddove, come detto, il reato di omesso versamento IVA è integrato dalla scelta consapevole di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che la società attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte al pagamento di debiti ritenuti più urgenti, elemento che rientra nell’ordinario rischio di impresa e che non può certamente comportare l’inadempimento dell’obbligazione fiscale contratta con l’erario.

La stessa Corte ricorda infine come esiste un orientamento della giurisprudenza per cui, quanto alla incidenza dello stato di difficoltà o di crisi finanziaria dell’impresa obbligata al pagamento dell’imposta, al fine della dimostrazione della “assoluta impossibilità” di provvedere ai pagamenti omessi, occorrono comunque l’allegazione e la prova della non addebitabilità all’imputato della crisi economica che ha investito l’impresa e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia conseguita tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto (cfr., Cass., n. 20266 del 08 aprile 2014; n. 8352 del 24 giugno 2014; n. 16035 del 10 ottobre 2018).

E dunque anche le sentenze che hanno ritenuto in qualche modo possibile la rilevanza della crisi di liquidità partono sempre dal presupposto che, per escludere la volontarietà della condotta, è necessaria, in ogni caso, la dimostrazione della riconducibilità dell’inadempimento all’obbligazione verso l’Erario a fatti non imputabili all’imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà (cfr., Cass., n.16035 del 10 ottobre 2018), dovendo egli provare di non essere stato in grado di reperire le necessarie risorse per l’adempimento dell’obbligo tributario, nonostante abbia posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, le somme necessarie (cfr., Cass., n. 5905 del 9 ottobre 2013; n. 5467 del 5 dicembre 2013).

Altre sentenze, infine, hanno espressamente affermato che ciò che può escludere la responsabilità è solo la forza maggiore, ex art. 45 cod. pen. (cfr., Cass., n. 23026 del 03 aprile 2017), da intendersi come situazione di un soggetto assolutamente privo della possibilità di sottrarsi a una forza per lui irresistibile (in proposito si dice che il soggetto “non agit, sed agitur”).

Ma proprio perché la forza maggiore postula l’individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, la Corte di Cassazione ha sempre escluso che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (cfr., Cass., n. 4529 del 04 dicembre 2007 e n. 12906 del 13 novembre 2018).

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