Nessun riconoscimento di costi forfetari se l’accertamento è da studi di settore

Emiliano Marvulli - Studi di settore

In caso di accertamento derivante dalle risultanze degli studi di settore, il riconoscimento dei costi forfettari è ammesso solo in caso di presentazione di idonea documentazione. Questo è quanto stabilito dalla Cassazione con l'Ordinanza n. 17365 del 19 agosto 2020.

Nessun riconoscimento di costi forfetari se l'accertamento è da studi di settore

Le risultanze degli studi di settore, dopo la regolare instaurazione del contraddittorio con il contribuente, sono idonee a integrare presunzioni legali che, anche da sole, sono sufficienti ad assicurare un valido fondamento all’accertamento, fermo restando la possibilità per il contribuente di fornire la prova contraria, sia in sede amministrativa che contenziosa.

Resta comunque escluso il riconoscimento di costi forfetari se il soggetto controllato non fornisce un idoneo corredo documentale.

Questo il contenuto dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 17365 del 19 agosto 2020.

Corte di Cassazione - ordinanza n. 17365 del 19 agosto 2020
Nessun riconoscimento di costi forfetari se l’accertamento è da studi di settore

La sentenza - Il procedimento attiene a una causa relativa all’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate per la rideterminazione, sulla base delle risultanze dello specifico studio di settore, dei ricavi dell’attività del contribuente esercente attività di artigiano edile non specializzato.

Il ricorso è giunto sin dinanzi alla CTR, che ha accolto parzialmente l’appello proposto dal contribuente.

A parere del giudice l’esclusione della deduzione dei costi non documentati è da ritenersi limitata solo ai casi di un accertamento condotto sulla base delle stesse scritture contabili (il cd. accertamento analitico puro).

Tuttavia, qualora la ricostruzione del reddito avvenga con criteri induttivo-sintetici, si dovrebbe tenere conto comunque delle passività, in assenza delle quali verrebbe ad essere tassato non il profitto netto dell’impresa, bensì il fatturato lordo.

Avverso tale decisione l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 39, lettera d), del D.P.R. n. 600/1973, dell’art. 62- sexies del D.L. 30 agosto 1993 n. 331, dell’art. 109 del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, nonché dell’art. 2697 cod.civ.

La Suprema Corte, ritenendo fondato il motivo, ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha rigettato il ricorso del contribuente.

A parere dei giudici, che sul punto hanno avallato la tesi dell’amministrazione finanziaria, trattandosi di accertamento basato sugli studi di settore, l’unico dovere dell’ufficio è dedurre i costi e gli oneri correlati ai maggiori ricavi solo in relazione alle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente.

A riguardo i giudici di legittimità hanno richiamato il principio per cui:

“in tema di imposte sui redditi, l’accertamento induttivo di maggiori ricavi derivanti da un’attività di impresa non comporta l’automatico e forfettario riconoscimento degli elementi negativi del reddito, incombendo sul contribuente l’onere di provare la certezza dei costi e la loro inerenza all’attività.”

Con specifico riferimento al perimetro dell’onere probatorio in capo al contribuente accertato sulla base delle risultanze degli studi di settore, il Collegio di legittimità ha chiarito che il reddito così determinato dopo l’instaurazione del contraddittorio con la parte è idoneo

“a integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare un valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per il contribuente che vi è sottoposto, di fornire la prova contraria, nella fase amministrativa e anche in sede contenziosa.”

Nel caso di specie l’amministrazione finanziaria aveva accertato i maggiori ricavi con l’applicazione degli studi di settore, rideterminando gli stessi all’esito del contraddittorio con il contribuente, tenendo conto della circostanza dedotta da quest’ultimo in ordine alla prassi di rivolgersi ad artigiani esterni per contenere i costi delle prestazioni lavorative dipendenti, con conseguente aumento delle spese per prestazioni diverse e abbattimento del reddito imponibile.

I giudici di merito, che hanno riconosciuto genericamente la deducibilità di ulteriori costi senza alcun supporto probatorio, non hanno fatto corretta applicazione dei principi suddetti e ciò ha determinato la cassazione della sentenza impugnata.

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