L’autotutela tributaria obbligatoria e facoltativa

Il decreto legislativo n. 219 del 30 dicembre 2023, in vigore dal 18 gennaio scorso, modifica la legge n. 212/2000 introducendo due forme distinte di autotutela, obbligatoria e facoltativa: una panoramica sull'evoluzione normativa

L'autotutela tributaria obbligatoria e facoltativa

Il 3 gennaio 2024 nella Gazzetta Ufficiale n. 2 è stato pubblicato il Dlgs n. 219 del 30 dicembre 2023, in vigore a decorrere dal 18 gennaio scorso.

Tale decreto modifica la Legge n. 212/2000, introducendo due distinte forme di autotutela: quella obbligatoria e quella facoltativa.

L’art. 2-quater del DL n. 524 del 1994, con le regole di attuazione del d.m. 11.2.1997, n. 37, come noto, disciplinava invece il potere di esercizio di autotutela dell’Amministrazione finanziaria, in termini non di obbligo ma di mera facoltà.

L’autotutela tributaria: la revisione della disciplina

In base al citato art. 2, la stessa Amministrazione poteva annullare l’atto o rinunciare all’imposizione nei casi di:

  • errore di persona;
  • evidente errore logico o di calcolo;
  • errore nel presupposto dell’imposta;
  • doppia imposizione;
  • mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti;
  • mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;
  • sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;
  • errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’amministrazione.

Il citato Dlgs. 30.12.2023, n. 219, rivede dunque ora la disciplina previgente, individuando, nell’ambito della L. 27.7.2000, n. 212, i casi di esercizio di autotutela obbligatoria (art. 10-quater) e di autotutela facoltativa (art. 10-quinquies).

Secondo l’art. 10-quater della L. 27.07.2000, n.212, l’Amministrazione finanziaria provvede in tutto o in parte all’annullamento degli atti di imposizione ovvero alla rinuncia all’imposizione senza che il contribuente proponga l’apposita istanza, “anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi”.

La procedura è attivata comunque soltanto nei “casi di manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione” riferiti a:

  • errore di persona;
  • errore di calcolo;
  • errore sull’individuazione del tributo;
  • errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’amministrazione finanziaria;
  • errore sul presupposto dell’imposta;
  • mancata considerazione di pagamenti di imposte regolarmente eseguiti;
  • mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini previsti a pena di decadenza.

La nuova elencazione appare più ristretta rispetto a quella del Dm 37/97, non contemplando ad esempio l’errore logico, la doppia imposizione e la sussistenza dei requisiti per fruire di detrazioni, deduzioni e regimi agevolativi.

A parte la non perfetta coincidenza con i casi già individuati dal Dm 37/97, la Circolare 5.8.1998, n. 198, precisava che “l’ufficio ha il potere ma non il dovere giuridico di ritirare l’atto viziato (mentre è certo che il contribuente, a sua volta, non ha un diritto soggettivo a che l’ufficio eserciti tale potere), è tuttavia indubbio che l’ufficio stesso non possiede un potere discrezionale di decidere a suo piacimento se correggere o meno i propri errori”.

Ora invece la norma prevede un vero e proprio dovere giuridico di autotutela (obbligatoria), tranne che in caso di intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria (laddove prima vigeva un vero e proprio divieto di autotutela), “nonché in caso di atti definitivi dopo che è decorso un anno dalla data in cui la sentenza è divenuta definitiva per mancata impugnazione dell’atto viziato”.

Fuori dai suddetti casi, l’art. 10-quinquies consente comunque all’Amministrazione finanziaria, in via facoltativa, di procedere all’annullamento dell’atto, “anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in pendenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’impugnazione”.

Per effetto dell’art. 1, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30.12.2023, n. 220, le forme di autotutela vengono poi espressamente aggiunte tra gli atti impugnabili avanti le Corti di Giustizia Tributaria, assumendo però a tal proposito un ruolo fondamentale la decisione del contribuente di presentare o meno istanza di autotutela.

All’art. 19 del d.lgs. 31.12.1992, n. 546, sono state infatti aggiunte le lettere g-bis) e g-ter) per cui, a decorrere dal 4.1.2024, il ricorso può essere proposto avverso:

  • il rifiuto espresso o tacito sull’istanza di autotutela nei casi previsti dall’art 10-quater della l. 27.7.2000, n. 212” (lett. g-bis);
  • il rifiuto espresso sull’istanza di autotutela nei casi previsti dall’art. 10-quinquies della l. 27.7.2000, n. 212” (lett. g-ter).

Se la risposta è negativa, il termine per l’impugnazione è di 60 giorni dal ricevimento del provvedimento di rifiuto.

In caso di silenzio-rifiuto il ricorso può esser invece notificato dopo che sono decorsi 90 giorni dalla domanda di autotutela.

L’impugnazione dell’autotutela obbligatoria (lett. g-bis) e dell’autotutela facoltativa (lett. g-ter) non può avere comunque come fine l’ottenimento del rimborso di somme, o l’annullamento dell’atto, ma, in base alla sentenza favorevole emessa dalla Corte di Giustizia, l’ente impositore può riesaminare la questione oggetto dell’istanza.

Si è così recepito in via normativa quell’allargamento degli atti impugnabili che era stato frutto della interpretazione giurisprudenziale.

Rispetto al tipo ed effetti di impugnazione poco dovrebbe cambiare rispetto all’attuale indirizzo giurisprudenziale, laddove, come visto, l’impugnazione dell’autotutela obbligatoria (lett. g-bis) e dell’autotutela facoltativa (lett. g-ter) non può riguardare comunque l’ottenimento, nel merito, del rimborso di somme o l’annullamento dell’atto, ma può solo comportare, in base alla sentenza favorevole emessa dalla Corte di Giustizia, che l’ente impositore possa riesaminare la questione oggetto dell’istanza.

Vedremo poi nell’applicazione pratica della giurisprudenza come la stessa si evolverà anche sotto tale profilo.

Certo è che, sul piano generale, in ogni caso, l’autotutela non dovrebbe costituire un mezzo di riesame degli atti sospettati di illegittimità, dovendosi evitare che essa si trasformi in uno strumento elusivo dei termini di decadenza tipici del processo tributario.

L’autotutela tributaria: le differenza rispetto all’autotutela amministrativa

Le modifiche sopra indicate erano comunque già state tracciate dalla Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria, la quale aveva, tra le altre, proposto un intervento in tema di autotutela obbligatoria in caso di provvedimenti palesemente illegittimi.

Per razionalizzare e velocizzare il processo tributario, secondo la Commissione, era infatti necessario incentivare lo strumento dell’autotutela, in particolare quando gli atti sono palesemente illegittimi, rendendo anche obbligatorio il contraddittorio preventivo con il contribuente ed introducendo un’apposita norma nello Statuto del contribuente.

Il punto cruciale resta comunque la particolare natura dell’autotutela tributaria, che si differenzia dalla più generale autotutela amministrativa.

Nel diritto amministrativo, ai fini dell’esercizio dell’autotutela, l’Amministrazione deve infatti tenere conto dei confliggenti interessi privati e dello stesso interesse pubblico, specifico e diverso da quello del mero ripristino della legalità violata, con obbligo di ponderazione anche dell’eventuale consolidamento di posizioni soggettive conseguenti all’atto illegittimo.

L’autotutela tributaria, invece, presenta una connotazione specifica, diversa da quella amministrativa.

In campo amministrativo infatti vi è un bilanciamento di interessi diverso da quello tributario, laddove l’esercizio dell’autotutela, oltre a dover conformarsi ai principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento, deve tenere comunque conto anche dei principi costituzionali che presiedono al prelievo tributario ed in particolare del principio in base al quale tutti devono concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva (art. 53, Cost.).

Un’altra sostanziale differenza tra autotutela amministrativa e autotutela tributaria risiede inoltre nel fatto che, mentre in diritto amministrativo il destinatario dell’originario atto illegittimo e quindi del successivo provvedimento di annullamento o revoca, è titolare di un interesse legittimo, invece in campo tributario la posizione del soggetto passivo è di diritto soggettivo.

L’interesse legittimo presuppone infatti un potere discrezionale, inteso come mediazione tra interessi, che qui invece manca.

In campo tributario, quando si deve decidere di eliminare gli esiti sfavorevoli di un atto illegittimo, non si dovrà valutare il conflitto tra l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto e quello del privato alla conservazione dell’atto stesso. L’interesse pubblico, infatti, nel caso dell’autotutela tributaria, riguarda semmai il ristabilimento di una giusta imposizione, in luogo di quella attuata in contrasto all’effettiva capacità contributiva del soggetto passivo.

In sostanza, in caso di autotutela tributaria vi è coincidenza di vantaggio e interesse tra contribuente e Amministrazione, laddove mentre il primo ottiene l’annullamento di un provvedimento per lui sfavorevole, la seconda ottiene il ripristino del rispetto di principi di valenza costituzionale erroneamente sacrificati con l’atto ritenuto illegittimo.

In campo tributario, quindi, l’interesse del privato all’autotutela coincide e si compenetra con l’interesse alla legalità dell’azione amministrativa.

Per concludere, mentre nel diritto amministrativo vi è spazio per la discrezionalità della pubblica autorità a scegliere tra le diverse opzioni e tra i diversi interessi confliggenti (quello pubblico originario, quello pubblico successivo, quello privato del destinatario dell’originario atto illegittimo e quello dell’eventuale controinteressato), invece, in campo tributario, l’annullamento dell’atto illegittimo comporta soltanto (l’obbligo del)la riparazione della lesione del diritto del contribuente a non vedersi richiedere indebiti tributi e la riparazione quindi dei principi costituzionali di uguaglianza e capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 Cost.

Insomma, in campo tributario, l’applicazione dell’istituto dell’autotutela (quanto meno quella ora considerata “obbligatoria”) dovrebbe essere più semplice, anche considerato che l’autotutela tributaria investe atti posti in essere dall’ente impositore nell’esercizio di un’attività legislativamente vincolata, per il principio (anche questo di ordine costituzionale) di indisponibilità dell’obbligazione tributaria.

Tale carattere vincolato si estende quindi necessariamente anche alla successiva fase del riesame: il potere di autotutela partecipa, in pratica, della vincolatezza propria della funzione impositiva.

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