Impugnabilità dei provvedimenti amministrativi generali dell’Agenzia delle Entrate e valore delle circolari

Sono impugnabili i provvedimenti dell'Agenzia delle Entrate, al pari della generalità degli atti amministrativi. Questo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 29023/2023, dalla quale è possibile partire per alcune considerazioni importanti sul valore di circolari e altri documenti di prassi

Impugnabilità dei provvedimenti amministrativi generali dell'Agenzia delle Entrate e valore delle circolari

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 29023/2023, hanno espresso rilevanti principi in tema di impugnabilità dei provvedimenti amministrativi generali dell’Agenzia delle Entrate.

La pronuncia rappresenta del resto l’occasione anche per qualche riflessione sul valore di tali atti e, in particolare delle Circolari, compresi i relativi profili processuali.

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Impugnabilità dei provvedimenti amministrativi generali dell’Agenzia delle Entrate e valore delle circolari

Nel caso esaminato dalla Cassazione, una società ricorreva avanti al TAR contro i provvedimenti emanati dall’Agenzia delle Entrate in attuazione del contributo previsto dall’art. 37 del decreto-legge 21/2022, quale prelievo straordinario posto a carico delle imprese del settore petrolifero/energetico “contro il caro bollette” conseguente alla guerra in Ucraina.

Si trattava in particolare del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 17 giugno 2022, della Circolare n. 22/E del 23 giugno 2022 e della Risoluzione n. 29/E del 20 giugno 2022.

Il TAR adito dichiarava inammissibile il ricorso, affermando il difetto assoluto di giurisdizione in ordine ai provvedimenti impugnati, nonché il difetto di interesse ad agire della ricorrente.

Il Consiglio di Stato, accogliendo l’appello della società contribuente, annullava la sentenza e rinviava la causa avanti al giudice di primo grado, osservando, in particolare, che l’art. 7, comma 1, cod. proc. amm., prevede, in linea generale, la giurisdizione amministrativa sulle “controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi .. concernenti l’esercizio .. del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti .. posti in essere da pubbliche amministrazioni” e che la controversia in esame doveva farsi rientrare in tale previsione normativa, posto che i provvedimenti impugnati erano stati emessi sulla base dell’art. 37, comma 5, decreto-legge 21/22 nell’esercizio di una potestà amministrativa, secondo la prescrizione di cui all’art. 23, Cost.

Trattandosi di “atti generali” si doveva escluderne peraltro la giurisdizione diretta del giudice tributario, al quale spetta soltanto un potere di disapplicazione ex art. 7, comma 5, Dlgs. 546/1992, in via di cognizione incidentale, in una lite avente ad oggetto un atto rientrante nelle previsioni di cui all’art. 19, stesso decreto.

Secondo il CdS erano inoltre errate le considerazioni del Tar, laddove negavano la natura di atti amministrativi dei provvedimenti impugnati, non avendo rilievo la sussistenza/insussistenza di discrezionalità dell’Autorità emittente, che, comunque, almeno in astratto, andava nella specie affermata, vista la previsione di un parere obbligatorio dell’ authority del settore (ARERA).

Del resto, rilevavano i giudici di secondo grado, diversamente opinando, ed affermando, come asseriva il TAR, la totale assenza di giurisdizione, si sarebbe concretizzato un “vuoto di tutela”, in contrasto con gli artt. 24, 113, Cost.

Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate, il Ministero dell’economia e delle finanze, la Presidenza del Consiglio del Ministri e ARERA, proponevano ricorso per cassazione, deducendo il difetto assoluto di giurisdizione in ordine ai provvedimenti impugnati, essendo questi “meramente attuativi” del dettato normativo (art. 37, comma 5, decreto-legge 21/22), e non costituendo esercizio di potestà amministrativa discrezionale, né ingenerando alcuna situazione giuridica soggettiva qualificabile come «interesse legittimo» tutelabile avanti al Giudice amministrativo ex art. 7, comma 1, cod. proc. amm., ovvero avanti al Giudice tributario.

I ricorrenti evidenziavano inoltre che la normativa istitutiva delle agenzie fiscali (artt. 56, comma 1, lett. b), 62, comma 2, Dlgs. 300/1999) precludeva la stessa possibilità di esercizio di un potere con natura regolamentare da parte delle medesime, essendo esso riservato al MEF e dovendo le agenzie fiscali limitarsi alla gestione e riscossione dei tributi.

L’art. 37, comma 5, decreto-legge 21/22, appunto in tal senso, prevedeva l’attribuzione all’Agenzia delle Entrate di una competenza meramente attuativa dello speciale contributo per il caro energia, che rifletteva la detta previsione normativa, essendo an e quantum del contributo direttamente fissati dai precedenti commi della disposizione legislativa, residuando all’agenzia fiscale soltanto le modalità dichiarative, solutorie ed informative, senza alcun potere autoritativo integrativo delle norme primarie.

Secondo i ricorrenti, quindi, esclusa la competenza giurisdizionale del giudice amministrativo, doveva altresì escludersi qualsiasi altra giurisdizione, concretando l’azione impugnatoria proposta “un’aggressione giudiziale” diretta alle norme primarie istitutive del contributo de quo, ovvero un’anticipazione di tutela rispetto agli atti di accertamento/riscossione emittendi, e quindi, nella sostanza, un’azione di «accertamento negativo» dell’obbligazione contributiva, in chiaro contrasto con i limiti c.d. «verticali» della giurisdizione tributaria ex art. 19, Dlgs 546/1992.

Nessun “vuoto di tutela” era del resto configurabile nel caso di specie, residuando poi, comunque, quella prevista dal Dlgs 546/1992 avverso gli eventuali atti impositivi, in relazione all’attuazione del contributo da parte dell’Agenzia delle Entrate, trovandosi invece, in questa fase, la società contribuente in una posizione di «interesse di mero fatto», non giudizialmente tutelabile.

In ogni caso, poi, la circolare impugnata non si poteva ritenere un atto giustiziabile avanti all’Autorità giudiziaria amministrativa, trattandosi di attività interpretativa interna, ex se non vincolante per i contribuenti.

Per la Cassazione i provvedimenti direttoriali sono impugnabili

Tali censure, tuttavia, secondo la Cassazione, erano infondate.

Evidenziano i giudici di legittimità che la tesi per cui il provvedimento direttoriale deve considerarsi esente da qualsivoglia sindacato giurisdizionale non è condivisibile.

Si tratta infatti di un atto amministrativo generale, come tale impugnabile avanti al Giudice amministrativo, in virtù della previsione di cui all’art. 7, commi 1 e 4, cod. proc. amm., che, rispettivamente, prevedono che:

“Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni. Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico”,

e che:

“Sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma.”

Osserva peraltro la Corte che non ha rilievo la natura discrezionale ovvero vincolata (meramente attuativa della norma primaria) dell’atto, non essendo questo un presupposto necessario a fondare la competenza giurisdizionale del giudice amministrativo (in tal senso, tra le molte, cfr., Cons. stato, 2916/2023, 8434/2022), ma essendo invece sufficiente che si tratti di un atto autoritativo proveniente da una PA, laddove, del resto, ad indirizzare verso la natura pur latamente discrezionale del provvedimento de quo portava anche la medesima norma primaria istitutiva della potestà amministrativa, che prevedeva l’acquisizione obbligatoria del parere dell’Autorità regolatrice del settore energia (ARERA), la cui non vincolatività è un chiaro “indizio” della facoltà di scelta demandata all’Agenzia delle Entrate.

Circolari dell’Agenzia delle Entrate presupposto per l’azione impositiva

La Cassazione condivide quindi l’affermazione della giurisdizione amministrativa sancita dalla sentenza impugnata, poiché l’esercizio del potere discrezionale dell’Agenzia delle Entrate, pur attuativo della voluntas legis, costituisce il presupposto generale dell’azione impositrice concreta, con la conseguenza che la situazione soggettiva che ne deriva deve essere qualificata come interesse legittimo, determinandosi altrimenti un’assenza di giustiziabilità costituzionalmente non consentita.

Sotto altro profilo la Corte evidenzia che l’azione proposta coincide comunque con una forma di tutela preventiva avverso i regolamenti/atti amministrativi generali rispetto agli atti impositivi/riscossivi “individuali”, che è del tutto legittimata dall’art. 7, commi 1-4, cod. proc. amm., e, per converso, dall’art. 7, comma 5, Dlgs 546/1992, il quale, appunto, prevede che:

“Le corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente.”

Si tratta quindi, rilevano i giudici, di un’azione di annullamento esercitabile “in prevenzione” ed alternativamente alla disapplicazione da parte del giudice tributario.

La Cassazione richiama infine anche il precedente delle Sezioni Unite - Ordinanza n. 25479 del 21/09/2021 -, la quale ha già chiarito, in vicenda analoga, che il provvedimento direttoriale (o la circolare) “si configura come atto, tipicamente amministrativo, meramente ricognitivo e attuativo del disposto di legge”, che “si limita a regolare gli aspetti pratici dell’attuazione del meccanismo previsto per legge”, concludendo che:

Si tratta, quindi, di atto amministrativo generale, non contenente una pretesa tributaria sostanziale, rispetto al quale .. appare evidente l’estraneità alla materia devoluta alla giurisdizione tributaria, secondo i canoni fissati dalla giurisprudenza consolidata di queste Sezioni Unite (cfr. Cass. Sez.Un. n.7664 del 18 aprile 2016 con ulteriori richiami) dalla quale è dato evincere che nessuna disposizione del d.lgs. 31 dicembre 1992 n.546 attribuisce alle Commissioni tributarie un potere direttamente incisivo degli atti generali, in deroga alla tipica giurisdizione di legittimità costituzionalmente riservata agli organi della giustizia amministrativa.

Le circolari dell’Agenzia delle Entrate non possono prevalere sulle norme e restano fonti di parte

Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, giova rilevare che i principi espressi dalla Suprema Corte hanno una valenza davvero “di sistema”, che non va sottovalutata.

Il tema è appunto quello del possibile vuoto di tutela su Circolari o atti amministrativi generali dell’Amministrazione finanziaria. E non è certo la prima volta che viene affrontato in sede giurisprudenziale.

Il presupposto da cui bisogna partire per comprendere l’importanza delle conclusioni della Corte è che le circolari dell’Amministrazione Finanziaria non vincolano né il contribuente, né il giudice, non costituendo fonte di diritto. Ammettere infatti che la circolare sia vincolante per i giudici o per il contribuente, equivarrebbe a riconoscerle un potere normativo, in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione (cfr., Cass., n. 5349 del 27/02/2020).

Il senso è che le prescrizioni indicate in una Risoluzione, o comunque in un documento di prassi dell’Amministrazione finanziaria, non possono prevalere sul disposto normativo, la cui interpretazione finale spetta comunque al potere giudiziario. L’affermazione in sé, piuttosto scontata, nella realtà, in effetti, non è sempre così scontata, laddove, a volte, si tende a date agli atti di prassi un valore di fonte normativa, che invece, ovviamente, non hanno.

Che la questione non sia sempre così chiara lo dimostrano del resto anche le varie pronunce di Cassazione che sul tema si sono espresse.

La stessa Corte, con la sentenza n. 21872 del 28.10.2016, ha ad esempio affermato che la Circolare, con la quale l’Agenzia delle Entrate interpreti una norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati perché vi si uniformino, esprime esclusivamente un parere dell’Amministrazione, non vincolante per il contribuente.

Posizione questa ribadita anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23031 del 02 novembre 2007, laddove i giudici di legittimità avevano evidenziato come:

“la cosiddetta interpretazione ministeriale (proveniente di solito da uffici centrali), sia essa contenuta in Circolari o risoluzioni, non vincola né i contribuenti, né i giudici, né costituisce fonte di diritto”.

In tale orientamento, però, la stessa Corte affermava che contro le Circolari non era possibile presentare ricorso, sussistendo un difetto assoluto di giurisdizione, con la conseguenza che, quand’anche gli uffici finanziari dovessero scorrettamente interpretare una Circolare, il contribuente non potrebbe invocare l’illegittimità dell’atto impositivo “per violazione della circolare”, dovendo piuttosto impugnare gli atti, che a tale Circolare si conformano, per violazione della norma impositiva.

Le Circolari, in sostanza, pur essendo autorevoli fonti interpretative, restano pur sempre fonti di parte e non assumono mai valore normativo.

Certo, quella parte è poi però quella che procederà all’accertamento e dunque, in proiezione prospettica, il contribuente sa già cosa succederà se non vi si adeguerà. E, laddove ritenesse di non adeguarsi, nell’impugnare l’atto che a tale interpretazione si conformasse, dovrà contestarne la correttezza davanti ad un Giudice (tributario).

L’altra faccia della medaglia, che può far comprendere l’esigenza di tutela “anticipata” avverso il provvedimento amministrativo generale (davanti al giudice amministrativo), è allora però che, essendo gli atti impositivi già esecutori (che cioè per essere resi esecutivi non necessitano dell’avvallo di un giudice), il solo modo per contestarli sarà impugnarli, tempestivamente, davanti allo stesso giudice.

Altrimenti, corretta o meno quella interpretazione, l’avviso di accertamento sarebbe definitivo e non più contestabile.

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