Associazione culturale: che fine ha fatto?

Cristina Cherubini - Associazioni

La riforma del terzo settore iniziata con la legge delega 106/2016 e ancora non del tutto attuata ha obbligato gli operatori del settore a dover compiere delle scelte di tipo organizzativo gestionale per trovare la strada corretta da percorrere e continuare a svolgere l'attività istituzionale beneficiando della vestizione giuridica a loro più adatta. Qual è il ruolo dell'associazione culturale?

Associazione culturale: che fine ha fatto?

Gli enti non profit stanno compiendo scelte molto importanti in questi ultimi anni, dettate dalle nuove normative imposte dal legislatore che stanno letteralmente rivoluzionando uno dei settori più importanti del tessuto socio-economico italiano.

Il legislatore, con l’intento di fornire il tempo necessario agli operatori per compiere i passi adeguati al fine di eleggere la strada più in linea con gli intenti e le caratteristiche peculiari dei singoli enti, ha concesso svariate proroghe, tra cui l’ultima confermata anche dalla conversione in legge del decreto Mille proroghe che ha esteso al 31 dicembre 2023 la possibilità per le associazioni intenzionate ad adeguare i propri statuti per iscriversi al RUNTS con l’ulteriore agevolazione di usufruire delle modalità semplificate fino alla fine dell’anno.

Molte tipologie di associazioni per come eravamo abituati ad identificarle stanno scomparendo e continuano ad esistere solo grazie al gap temporale e legislativo che si è creato per l’incompleta attuazione delle normative contenute nel codice del terzo settore.

E comunque, pur continuando ad esistere, stanno per perdere molte delle caratteristiche che le rendevano appetibili dagli operatori del settore. Una di queste è sicuramente l’associazione culturale, ma vediamo di seguito che significato assume oggi tale categoria associativa e quale è il suo ruolo.

Associazione culturale: caratteristiche e ruolo

L’associazione culturale è una delle forme di enti non profit più utilizzate, e quindi anche conosciute tra il pubblico.

Tendenzialmente tali tipologie di associazioni si occupano di promuovere la cultura in ogni sua forma e declinazione attraverso l’organizzazione di corsi, convegni ed eventi ad interesse diffuso.

La riforma del terzo settore tra le diverse categorie associative che ha delineato e previsto all’interno del nuovo registro unico non ha incluso l’associazione culturale se non comprendendola nella più ampia categoria dell’APS, associazione di promozione sociale.

Le associazioni culturali sembrano quindi essere state messe da parte inglobate in un nuovo organismo molto più ampio ed a volte forse troppo imponente per quelli che erano gli intenti che le tenevano in vita ed animavano i loro propositi.

Risulta quindi lecito chiedersi quale sarà il loro destino. Come spesso abbiamo sottolineato, per nessun tipo di ente è obbligatorio il passaggio al terzo settore ma è anche vero che in alcuni casi la trasformazione è indirettamente obbligata a causa dei numerosi benefici che il mancato adeguamento alle disposizioni del codice del terzo settore farebbe perdere alle associazioni.

Questa riflessione vale anche per le associazioni culturali, che il legislatore ha rimosso dall’art. 148 del TUIR attraverso l’approvazione dell’art. 89 del d.lgs 117/2017, privandole di un’agevolazione estremamente importante per lo svolgimento di alcune delle loro attività tipiche.

Associazioni culturali: cosa è cambiato dopo la riforma del terzo settore

La riforma del terzo settore ha portato indirettamente alla semi scomparsa delle associazioni culturali, soprattutto a causa delle modifiche introdotte dall’art. 89 del d.lgs 117/2017.

Il legislatore con l’art. 89 del Codice del Terzo Settore ha difatti rimosso alcune categorie di enti dalla previsione contenuta nell’art. 148 del TUIR, articolo di fondamentale importanza per la gestione fiscale degli enti non commerciali.

L’art. 148 al comma 3 nella sua previsione originale conteneva il seguente assunto:

“Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, nonché per le strutture periferiche di natura privatistica necessarie agli enti pubblici non economici per attuare la funzione di preposto a servizi di pubblico interesse non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati”.

L’art. 89 del d.lgs 117/2017 ha rimosso da tale previsione le seguenti categorie associative:

  • associazioni culturali;
  • associazioni di promozione sociale;
  • associazioni di formazione extra-scolastica della persona.

Alle quali non sarà quindi più consentito considerare di natura non commerciale le seguenti entrate:

  • Corrispettivi specifici versati dai propri soci o partecipanti, dagli associati o partecipanti di altre associazioni (che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale) o dai tesserati alle rispettive organizzazioni nazionali, per partecipare ad attività organizzate dall’associazione nell’ambito delle finalità istituzionali (art.148, comma 3, TUIR). Esempio: le quote di partecipazione a corsi ed attività;
  • Vendita di proprie pubblicazioni a soci e non soci anche se la cessione avviene prevalentemente agli associati. Era ad esempio il caso dell’associazione che stampava e diffondeva un periodico sociale destinato prevalentemente, ma non esclusivamente, agli associati: in tal caso gli eventuali proventi legati a tali vendite rientravano tra le entrate istituzionali.

È chiaro quindi che secondo quanto previsto dall’art. 89 del CTS le associazioni culturale pur potendo continuare ad esistere anche post riforma ed al di fuori del terzo settore, saranno private delle tipiche attività che da sempre le hanno contraddistinte o saranno comunque costrette a considerare di natura commerciale in caso di eventuale loro svolgimento.

Aprire adesso un’associazione culturale: è ancora possibile

A fronte di quanto sopra analizzato è opportuno però chiarire che ad oggi è ancora possibile operare con un’associazione culturale mantenendo le stesse agevolazioni fiscali da sempre previste.

Le disposizioni fiscali contenute nel Titolo X del d.lgs 117/2017 comprese negli artt. 79-89 incluse quelle di coordinamento quale l’art. 89, entreranno in vigore e si applicheranno quindi solo dal periodo d’imposta successivo all’autorizzazione della Commissione Europea.

Fino a che quindi tale periodo di vacatio non sarà terminato potranno paradossalmente continuare ad esistere e a costituirsi associazioni culturali, godendo della gestione fiscale previgente rispetto alla riforma del terzo settore.

Quando invece sarà possibile applicare quanto previsto dall’art. 89 del d.lgs 117/2017 le associazioni culturali dovranno decidere se continuare a restare al di fuori del terzo settore perdendo i benefici fiscali legati alla de-commercializzazione delle attività per loro tipiche sopra indicate o se iscriversi al RUNTS compiendo prima l’adeguamento statutario come richiesto dal legislatore.

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