Antieconomicità solo se manca la prova contraria

Emiliano Marvulli - Imposte

Per l'accertamento basato sullo studio di settore, il giudice deve valutare gli elementi presuntivi su cui si basa l'inattendibilità della documentazione contabile o l'antieconomicità dell'attività in caso di contabilità regolare, ma anche gli elementi utilizzati dal contribuente per contrastare tali presunzioni. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 17372 del 19 agosto 2020.

Antieconomicità solo se manca la prova contraria

In caso di accertamento fondato sulle risultanze degli studi di settore, il giudice di merito deve valutare sia gli elementi presuntivi in base ai quali l’Ufficio tende a dimostrare l’inattendibilità della documentazione contabile o l’antieconomicità dell’attività in caso di contabilità formalmente regolare, sia gli elementi (avente anch’essi valore indiziario) in base ai quali il contribuente intende contrastare tali presunzioni.

Questo il contenuto dell’Ordinanza n. 17372 della Corte di Cassazione depositata il 19 agosto 2020.

Corte di Cassazione - Ordinanza numero 17371 del 19 agosto 2020
Antieconomicità solo se manca la prova contraria. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l’Ordinanza numero 17372 del 19 agosto 2020.

La sentenza – La controversia riguarda il ricorso proposto da un imprenditore esercente attività di taxista con il quale l’Agenzia delle entrate aveva rideterminato maggiori ricavi a fronte di quelli minori dichiarati, recuperando a tassazione maggiori imposte ai fini Irpef e Irap.

In sede di verifica, infatti, era stata riscontrata l’inattendibilità del ricavo giornaliero medio e le anomalie nelle spese di manutenzione e di consumo di carburante, ricalcolando il costo di una corsa media sulla base delle tariffe regolamentari, nonché della lunghezza media delle corse oltre che del numero di chilometri dichiarati dal contribuente.

La CTR, a conferma della sentenza di primo grado, rigettava il ricorso dell’imprenditore e confermava la legittimità dell’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate, basato su presunzioni gravi precise e concordanti non superate dalle contestazioni del contribuente rimaste prive di qualsiasi sostegno probatorio.

Il caso è giunto allora dinanzi alla corte di cassazione, che ha accolto il ricorso proposto dal contribuente e cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale in diversa composizione.

Per quanto di interesse il contribuente ha lamentato violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 laddove, nonostante egli risultasse congruo rispetto agli specifici studi di settore e l’adeguamento agli studi costituisse una presunzione semplice che onerava l’Ufficio a contrastarla, la Commissione regionale ha completamente sovvertito il regime probatorio gravante sulle parti, ritenendo legittimo l’accertamento dell’Ufficio.

Nel caso di specie la Commissione regionale ha ritenuto l’accertamento dell’ufficio legittimo osservando che le doglianze di parte si riducessero a mere affermazioni, non supportate da alcun sostegno probatorio, legittimandosi l’accertamento dell’Ufficio in quanto “inattendibili appaiono i ricavi dichiarati, irrisoria la remunerazione media per km, eccessivamente ridotta la percorrenza giornaliera”.

Sul punto i giudici di legittimità hanno ritenuto la ratio decidendi della pronuncia d’appello “oscura e incomprensibile”, perché priva di un’esplicita e ordinata esposizione delle ragioni logico-giuridiche che hanno determinato al rigetto dell’appello.

Nel merito il Collegio di Piazza Cavour ha affermato che gli studi di settore regolati dall’art. 62-sexies del DL n. 331 del 1993, costituiscono solo uno degli strumenti che l’Amministrazione finanziaria può utilizzare per accertare, in via induttiva, il reddito reale del contribuente, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile.

In relazione all’accertamento basato sulle risultanze degli studi di settore, “per stabilirne la fondatezza nel merito, occorrerà valutare sia gli elementi (aventi efficacia presuntiva forte) in base ai quali l’Ufficio tende a dimostrare l’inattendibilità della documentazione contabile e, conseguentemente, di dimostrare i maggiori redditi d’impresa, sia gli elementi (avente anch’essi valore indiziario) in base ai quali il contribuente ha contrastato tali presunzioni (i tempi di attività giornaliere, le fatture relative alla cooperativa di riferimento, le schede carburante, le tariffe da praticare allegate alla delibera del Consiglio Comunale, i risultati dell’ufficio statistica comunale, i costi di manutenzione, i chilometri percorsi nell’anno come dichiarati dal contribuente negli studi dì settore, la corsa media effettiva, il costo medio di ogni corsa etc.)”.

Nel caso di specie, la Ctr non aveva correttamente valorizzato gli elementi utilizzati dall’ufficio per la ricostruzione, con argomentazioni censurabili dal punto di vista logico-formale.

Per tale motivo la sentenza è stata cassata con rinvio affinché la Commissione tributaria regionale procedesse ad un nuovo esame della controversia, alla luce dei principi sopra esposti.

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